Windfall, recensione: un thriller lento pronto a esplodere

Windfall, thriller dai toni hitchcockiani con Lily Collins, Jesse Plemons e Jason Segel, è già disponibile su Netflix.

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a cura di Rossana Barbagallo

Una tenuta immensa e lussuosa. Un uomo che tenta di svaligiarla credendo che i due ricchi proprietari non la visiteranno per lungo tempo. E i due proprietari della dimora che invece fanno la loro apparizione a sorpresa per trascorrere un weekend insieme, trasformando la rapina in un sequestro. Si tratta di Windfall, thriller travestito da home invasion e dai toni hitchcockiani disponibile su Netflix dal 18 marzo e che, diretto da Charlie McDowell, vede protagonisti Jason Segel, Jesse Plemons e Lily Collins. E porta in scena alcune delle dicotomie più aspre della nostra società, ma attenzione: non è per tutti.

Un colpo sfortunato

Inquadratura fissa su un portico sobrio, ma di classe. Titoli di testa su una colonna sonora che sembra giungere da un film di Hitchcock (composta da Danny Bensi e Saunder Jurriaans). Camera che si sposta su alcuni, eleganti scorci di una tenuta evidentemente immersa nel panorama californiano, tra sole, cactus e filari di aranci. Dopo questa lenta transizione, vediamo un uomo (Jason Segel) seduto in un giardino, intento a sorseggiare un succo d'arancia. Sembra godersela, nella sua tenuta, salvo poi vederlo entrare in casa e iniziare a ripulirla di denaro e gioielli.

L'uomo non è infatti il proprietario, ma un ladro sicuro del fatto che i veri proprietari non soggiorneranno presso la casa di villeggiatura molto presto. Viene però colto alla sprovvista quando i due (Jesse Plemons e Lily Collins) giungono per un weekend insieme e l'imprevisto spinge il rapinatore a sequestrarli, richiedendo una grossa somma di denaro per sparire e lasciarli liberi. Nell'arco delle 36 ore successive, il goffo tentativo di rapina e sequestro di un uomo impacciato, si trasforma per i due coniugi (ricco magnate che ha fatto fortuna con un algoritmo lui, proprietaria di diversi enti benefici lei) in una specie di seduta di autoanalisi, da cui emerge un'aspra lotta di classe ma anche ambizioni sfuggite e desideri inascoltati, pronti a esplodere in un finale inaspettato.

Windfall: il lento incedere del rancore

Come accennato inizialmente, Windfall non è un film per tutti. A dichiararlo in apertura è la lunga inquadratura fissa, seguita da un minutaggio di circa 7 minuti dedicato alle immagini della vasta tenuta californiana (situata nelle valli dell'Ojai, per inciso) e dell'uomo sconosciuto che ispeziona l'abitazione in cerca di soldi e preziosi. La dichiarazione d'intenti è molto chiara e si sviluppa lungo tutto l'arco della pellicola, in cui la narrazione procede lentamente, senza particolari momenti d'azione, ma soffermandosi su dettagli e dialoghi. Un lungo cammino verso un finale che esplode, o meglio "implode", in maniera improvvisa e inattesa, cedendo alla pressione causata da questa invasione.

Windfall non è però un tradizionale home invasion. Il ladro che intende derubare il CEO di un'azienda milionaria e la moglie (di nessuno di essi sappiamo mai il nome durante il film) è goffo e inesperto, tanto da generare alcune sequenze imbarazzanti e spingono il proprietario di casa a chiedersi se sia davvero il caso di lasciarsi intimorire da un tipo del genere. Persino la richiesta di "riscatto" avviene attraverso una trattativa in cui sono i due coniugi a proporre al rapinatore la giusta cifra che dovrebbe pretendere per lasciarli liberi. Più che l'occupazione e l'usurpazione della proprietà, Windfall si muove allora gradualmente attraverso l'analisi e l'autoanalisi dei tre protagonisti, i quali scoprono degli altri ma soprattutto di sé stessi gli aspetti inconsci più sgraditi e genuini.

Non è garantito per qualcuno, quindi, che si riesca a mantenere alta l'attenzione fino alla fine e non c'è nulla da biasimare. Windfall è effettivamente un lento incedere attraverso il rancore che risuona come un costante e cupo sottofondo tra i protagonisti. Per lungo tempo spesso non avvengono altro che dialoghi o scambi di battute sarcastiche e i momenti di tensione sono centellinati col contagocce. Tuttavia, per chi ha la pazienza di seguire questa lunga china verso il caos finale pronto a distruggere tutto in pochi, repentini istanti, Windfall si rivela essere un interessante esperimento che, giocando con le prove attoriali dei tre interpreti nonché produttori della pellicola, parla in manirea brillante di ciò che avviene quando dualità e contraddizioni vengono portate all'esasperazione.

Ricchi e poveri

Lily Collins, Jesse Plemons e Jason Segel producono insieme al regista Charlie McDowell (marito della Collins) un film evidentemente nato in parte come un gioco attoriale. I tre protagonisti danno infatti prova di sè su questo set invidiabile, fornendo un chiaro e realistico esempio di quanto un tentativo di rapina andato male (con conseguente sequestro) possa logorare gli animi dei personaggi coinvolti ed esacerbare situazioni che per lungo tempo erano rimaste sepolte sotto coltri di menzogne. Segel (How I Met Your Mother), alto e robusto con una perenne espressione da cane bastonato, è perfetto per il ruolo di ladro goffo che nulla ha pianificato se non portarsi via quanto più denaro possibile. Plemons (Il Potere del Cane) non perde un colpo nello sfoggiare con credibilità la sua parte da arrogante riccone che disprezza i parassiti della società.

È tutttavia Lily Collins (Emily in Paris) a destreggiarsi con abilità tra queste due figure maschili tossiche, ciascuna per motivi diversi. Lei rappresenta l'ago della bilancia, l'equilibrio che potrebbe scaturire anche in una situazione tanto tesa, e dimostra un'ottima capacità nel ruolo di donna costretta a muoversi entro due estremi, "abusivi" e pericolosi. È infatti proprio il suo ruolo di moglie inascoltata che vive nell'ombra del marito, a fare emergere in più punti la psicologia degli altri due personaggi, costruiti in modo da essere i portavoce di due classi sociali opposte e in lotta tra esse.

Da una parte, il CEO che confessa pateticamente quanto sia difficile vivere costantemente con un bersaglio sulla schiena, posto da tutti quelli che nel mondo vorrebbero vederlo fallire, salvo poi scagliarsi con astio verso coloro che avendo poche risorse preferiscono diventare dei parassiti per quelli come lui. Dall'altra, il rapinatore che esprime il suo disgusto per quanti fondano le proprie ricchezze sullo sfruttamento o il fallimento degli altri, come il ricco protagonista che ha sviluppato un algoritmo capace di decidere chi licenziare e chi no. Windfall insomma porta sul palcoscenico uno dei più antichi drammi della vita, quello causato dal reciproco rancore tra privilegiati e reietti, ricchi e poveri, scavando però tanto in profondità da trovare anche il rancore che essi nutrono per sè stessi.

Ammettiamo che tale retorica potrebbe risultare un po' scontata e attesa sin dall'inizio del film, ma noi in qualche modo l'abbiamo apprezzata soprattutto alla luce della sontuosa scenografia curata da Andrew Clark. È impossibile infatti rimanere impassibili di fronte alla ricchezza della tenuta che in Windfall diventa la quarta protagonista dell'opera. Invidiabile, ammirevole, curata nei dettagli, mette in chiaro le posizioni dei protagonisti con il suo aspetto vasto e solare, evidenziando l'aspra dicotomia tra il ricco proprietario e il suo sequestratore, che viene esasperata con l'entrata in scena del giardiniere messicano (Omar Leyva), umile lavoratore che ama la sua professione, ma rimane pur sempre un anonimo sottoposto di un ricco padrone, ignorato da quest'ultimo. Il consiglio, in definitiva, è di dare una chance a Windfall, soprattutto se avete la pazienza di seguire lo sviluppo psicologico dei protagonisti in questo thriller che ha, in maniera evidente, influenze hitchcockiane.