Wolf Like Me, recensione della serie TV con Josh Gad

Arriva su Prime Video Wolf Like Me, il nuovo horro comedy drama con Josh Gad e Isla Fisher disponibile dal 1° aprile.

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a cura di Rossana Barbagallo

Cosa fareste se scopriste che la persona che amate in realtà è... un lupo mannaro? È Gary, protagonista della nuova serie Prime Video, Wolf Like Me, a dover fare i conti con tale rivelazione in questa nuova serie TV diretta da Abe Forsythe, tra dramma e commedia nera, nel disperato tentativo di tenere in piedi una famiglia problematica. Disponibile dal 1° aprile sulla piattaforma targata Amazon, Wolf Like Me parla di accettazione, dolore, amore (e relazioni tossiche), riuscendo a toccare le corde emotive dello spettatore con sensibilità, sebbene la serie, con Josh Gad e Isla Fisher, non convinca al cento per cento.

Padre, figlia e lupo mannaro

Qualcuno potrebbe pensare che Wolf Like Me segua la tendenza lanciata con Twilight di un amore impossibile e dannato, perché uno dei due è una creatura della notte che può mettere in pericolo mortale la vita dell’altro. Ma le cose in realtà non sono così semplici. Lui è Gary (Josh Gad), padre single di 40 anni, che soffre ancora per la morte della moglie e fa del suo meglio per crescere da solo la figlia di 11 anni, Emma (Ariel Joy Donoghue). Non è facile, però, se quest’ultima soffre di attacchi di panico e in generale la sua sfera emotiva è delicata e sempre in bilico.

Lei invece è Mary (Isla Fisher), editorialista di consigli ai lettori che scrivono in merito ai loro problemi, volontaria in una casa di riposo e... bè il titolo è abbastanza eloquente sul segreto che la donna nasconde a ogni luna piena. Sembra che Gary e Mary siano destinati a incontrarsi (non soltanto per l’analogia dei loro nomi) quando lei tampona violentemente l’auto di lui e per Gary si apre uno spiraglio di speranza: Mary riesce infatti a tranquillizzare Emma durante uno dei suoi attacchi di panico, come il padre non era mai riuscito a fare finora. Che sia la donna giusta in grado di portare felicità nella sua vita e in quella della figlia? Quello che succede nella cantina di Mary, dove la donna si rinchiude al sorgere della luna piena, potrebbe dire il contrario.

Una storia di accettazione e amore

La serie TV ideata e diretta da Abe Forsythe fa il suo ingresso nel catalogo Prime Video dopo il debutto su Peacock, con 6 episodi della durata di circa mezz’ora ciascuno. La brevità della stagione, unita alla lunghezza ridotta di ogni puntata, gioca sicuramente a favore di Wolf Like Me, che non risulta come un prodotto pesante e indigesto, quanto al contrario una sorta di film spezzettato in 6 parti, veloce, fluido e fruibile senza diventare un onere. Esso compone gradualmente la relazione in divenire tra i due protagonisti e mette insieme i pezzi del puzzle sul segreto che non è un segreto di Mary, sul perché i rapporti tra Gary e la figlia Emma non sono esattamente idilliaci e su come è possibile lavorare insieme per far entrare la luce in esistenze tanto buie. A questo proposito, la serie cita Groucho Marx:

Blessed are the cracked, for they shall let in the light

Wolf Like Me, prima ancora di essere un comedy drama che racconta una storia d’amore, è infatti a nostro avviso un bellissimo esempio sul potere curativo delle relazioni interpersonali. Gary è un padre single in difficoltà (e a ragione), ponendo in primo piano una figura – quella del padre che tenta di gestire la famiglia nonostante la dolorosa perdita – che non è poi così scontata nella cinematografia generale. Mary è una donna dall’animo infranto, costretta a una sorta di autoreclusione e per questo afflitta da una tremenda solitudine, devastata dal suo conflitto tra i rimorsi e la voglia di rimettersi in gioco. E poi c’è Emma, che chiude il trittico con i suoi disturbi della sfera emotiva e che vorrebbe solo vedere il padre felice, in compagnia di una nuova figura materna.

Insieme, compongono un agglomerato di problemi niente male, ma l’incontro tra Mary e Gary (e quindi per estensione con Emma) può essere la colla per rimettere insieme i cocci di questi animi infranti. Wolf Like Me è quindi una grande metafora: il lupo mannaro in cui si trasforma Mary è il dolore che ci affligge, la sofferenza che ci spinge a erigere muri e chiudere porte (così come la porta blindata della cantina in cui Mary si nasconde), la disperazione che ci conduce alla solitudine. Aprendo la porta, buttando giù la fortezza (qui espressa anche musicalmente dal brano Fortress dei Queens of the Stone Age), i tre protagonisti di questa serie potrebbero accettare sé stessi e l’altro, formare una vera famiglia attraverso la comprensione e l’amore, venire a patti con quel lupo assetato di sangue (in realtà assetato di relazioni vere e profonde). E per questo la serie di Forsythe raggiunge alti picchi di emozioni, con grande sensibilità.

Wolf Like Me: sì o no?

Un incidente stradale sullo sfondo di Adelaide, città australiana, è l’evento scatenante della serie, che alterna dramma e dark humor, scene di eventi repentini e sbalorditivi a sequenze dialogate dense di emozioni, amore sincero e amore tossico. È forse su quest’ultimo punto che arricciamo il naso, poiché Wolf Like Me non è del tutto onesto con noi. Ciò che ci viene mostrato come il work in progress di una storia d’amore frutto dell’accettazione, è in realtà molto spesso una giostra di alti e bassi fondata su una relazione potenzialmente tossica. Nel loro continuo tira e molla, in fondo, Gary e Mary sono consapevoli di poter finire lui divorato e lei distrutta da un mortale senso di colpa, così diventa un susseguirsi di ripensamenti. Senza contare che potrebbe finirci di mezzo una bambina, Emma, la quale sta imparando ad aprirsi e a dialogare proprio grazie a Mary. E anche Emma, nella costruzione del personaggio che gli autori ne hanno fatto, ha le sue colpe e mantiene alto il livello di “tossicità” nel suo rapporto con il padre, colpevolizzandolo senza sosta nonostante si impegni tanto per lei.

Al ritmo di questo continuo “Ti odio, poi ti amo, poi ti amo, poi ti odio, poi ti amo” la visione di Wolf Like Me diventa in certi momenti snervante e quanto di bello i protagonisti riescono a costruire con tanta fatica tra di loro, è certamente un premio sudato per lo spettatore. A questo bisogna aggiungere che Wolf Like Me, benché si presenti come un comedy drama, avrebbe potuto sfruttare maggiormente i fraintendimenti nati dal segreto che Mary nasconde per creare più occasioni di ilarità e sarcasmo: una chance che a nostro avviso è stata mancata in favore di un eccessivo dramma, anche quando non serve.

Un altro aspetto che non convince di questa serie, è quanto succede in alcune delle sequenze finali dell’ultimo episodio. Una scena in particolare dimostra l’utilizzo di effetti speciali inadeguati, tanto da diventare una parodia di sè stessa (chi ricorda la scena di Ace Ventura in cui il protagonista veniva trascinato in una vasca da uno squalo? La resa è pressoché identica). È vero, una sola sequenza non può influenzare il giudizio su un’intera serie per quanto breve, ma nell’ambito di un momento tanto teso (e atteso), ci si sarebbe aspettati un livello decisamente più elevato.

Bene i campi lunghi sullo sfondo del deserto australiano, di cui viene colta la bellezza del paesaggio, i colori e l’immensità, con i già citati Queens of the Stone Age a incorniciare le immagini grazie alla loro musica che, con le sonorità mutuate da un passato di stoner e desert rock, si sposa con il panorama e con le emozioni che traspaiono dai protagonisti. E bene anche le performance di questi ultimi, con un plauso in particolare a Isla Fisher nel suo dimostrarsi ora sensibile e comprensiva, ora irruenta e sboccata (anche con esiti esilaranti). Il finale è aperto e anche abbastanza inquietante e concorre nel fornire una risposta alla domanda “Wolf Like Me: sì o no?”. La nostra risposta è sì, ma con alcune riserve: non bisogna pretendere troppo da questo titolo, che tuttavia rappresenta in maniera sensibile e profonda l’importanza di certe relazioni interpersonali e dell’accettazione.