DRM via HTML, per blindare anche i browser e i video online

Il W3C ha ammesso che si può discutere di strumenti DRM inseriti nel linguaggio HTML. Un'idea sostenuta da Google e Microsoft, che sta già sollevando polemiche sulla sua utilità e sulle implicazioni etiche.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Il W3C (World Wide Web Consortium) sta prendendo in considerazione l'idea di realizzare DRM per il Web. Si sta parlando infatti d'inserire nei contenuti online i famosi (famigerati) sistemi di Digital Rights Management. Il consorzio, infatti, ha stabilito che la proposta rientra nei suoi interessi.

Questo non significa che la Encrypted Media Extensions diventerà uno standard, ma solo che se ne parlerà. Si può dare quasi per certo tuttavia che almeno per qualche aspetto i DRM faranno il loro ingresso nella programmazione HTML, cioè nel linguaggio con cui si creano le pagine web. Anche perché tra i sostenitori ci sono alcuni tra i più grandi colossi della Rete, come Google e Microsoft.

DRM, secondo chi vi si oppone

Anche in questo caso le funzioni DRM (Wikipedia) servirebbero a "controllare la riproduzione di contenuti protetti", cioè a evitare che, per esempio, qualcuno scarichi un film che ha noleggiato online. Questo tipo di protezione esiste da anni ormai, e si è dimostrato più volte sostanzialmente inutile: non impedisce le copie illegali ed è una grossa seccatura per i consumatori onesti. Ma non è questo l'unico problema sollevato.

L'idea di strumenti che limitano la possibilità di riprodurre contenuti, o altresì obbligano l'utente a seguire regole predeterminate, è infatti sostanzialmente in antitesi con il concetto di una rete aperta e flessibile, di cui il linguaggio HTML è lo strumento principe. Un'opinione espressa in primo luogo da Ian Hickson, che in passato ha collaborato a scrivere le regole del W3C.

Oltre alla questione etica e ai principi, la proposta Encrypted Media Extensions, per com'è al momento, presenta anche dei problemi pratici: i browser open source non vi si potrebbero adattare, a meno di inserire nel proprio codice componenti "chiusi" - andando di fatto contro la filosofia del software libero.

Inoltre al momento ciò che si sta proponendo è una semplice API, che se accettata darebbe vita "a un proliferare di plugin, (che) danneggiano l'interoperabilità perché è inevitabile che i produttori di plugin DRM non potranno supportare sempre tutte le piattaforme. Quindi alcuni consumatori potranno vedere i contenuti e altri no", ha spiegato un altro specialista, Manu Sporny.

Consumatori estasiati assistono allo spettacolo con DRM

Una situazione che ricorda "molto i brutti tempi in cui ci volevano Flash, Real Player, Window Media Player e dozzine di altri piccoli plugin installati solo per vedere un video. Un Web a cui nessuno vuole tornare", scrive Scott Gilbertson su Wired.com.

Non funzionano, sono scomodi e una versione HTML sarebbe eticamente discutibile. Eppure ci sono ancora tante aziende che vedono nei DRM qualcosa di imprescindibile. Google vuole noleggiare film su YouTube, anche Microsoft probabilmente punta a qualcosa di simile con Xbox Video, e Netflix ha costruito un business di successo sui video online. La lista potrebbe continuare con Apple, Sony e altri.

Dietro a questi giganti ci sono gli editori, i colossi del cinema e della musica; persuasi che la pirateria sia il vero cancro dell'età moderna. Può darsi che sia così, e che le copie illegittime finiranno per distruggere cinema e musica, ma forse è vero anche il fatto che queste società si stanno attaccando con denti e unghie a modelli di distribuzione ormai obsoleti, e sono storicamente incapaci di riconoscerne e gestirne le ricadute positive se non come problema da risolvere. Quanto ai danni per gli artisti, andrebbero fatti i conti anche con Spotify e simili.