Interfacce Cervello-Computer, cosa possono e non possono fare?

Le BCI, Brain Computer Interface, anche chiamate interfacce neurali, possono essere molto utili in ambito medico. Vediamole insieme.

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a cura di Andrea Ferrario

Editor in Chief

In questo articolo vi parleremo delle BCI, Brain Computer Interface, anche chiamate interfacce neurali, cioè quei dispositivi che permettono di catturare i messaggi del nostro cervello e trasferirli a un computer, il quale a sua volta può controllare altri dispositivi. Le interfacce neurali sono in sviluppo da decine di anni e forse avrete sentito parlare di Neuralink, azienda di Elon Musk che ultimamente ha fatto notizia in quanto un suo prototipo ha permesso a una scimmia di giocare a Pong.

Come funzionano e cosa permettono di fare realmente le interfacce neurali? Consentiranno di effettuare il download di dati nel nostro cervello come abbiamo visto accadere in Johnny Mnemonic o Matrix, così da imparare a guidare un elicottero in pochi minuti?

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Come funziona un'interfaccia neurale?

Un’interfaccia neurale essenzialmente legge le attivazioni elettrochimiche che avvengono tra le sinapsi del cervello, le interpreta e le traduce in un segnale digitale che può essere elaborato da un computer. Quando voi effettuate un movimento, come alzare il braccio, succede qualcosa nel cervello sotto forma di segnale elettrochimico. Questi segnali, in pratica movimenti di elettroni, possono essere individuati da dispositivi connessi al cervello e trasformati in dati che vengono mandati a un computer, dove un software si occuperà di identificare la tipologia di segnale, traducendolo in qualche azione.

Ad esempio, quando alzate un braccio nel vostro cervello avviene una determinata attivazione. Il software riconosce la sua specificità e la abbina al movimento di un braccio meccanico connesso al computer stesso. Questo è, spiegato nella maniera più semplice possibile, quello che può fare oggi una BCI.

Quali tipi di interfacce neurali esistono?

Esistono due tipi di interfacce, le quali vengono categorizzate in base al modo in cui raccolgono le informazioni elettriche emesse dal cervello: quelle esterne, come le classiche cuffiette dove sono presenti molteplici cavi collegati a un computer, e quelle interne, cioè impiantate direttamente sulla superficie del cervello.

La principale differenza è che quelle esterne sono chiaramente meno invasive, ma, non essendo a contatto direttamente con il cervello, la quantità e precisione delle informazioni che possono individuare è bassa. Per farvi un esempio: immaginate di essere fuori da una stanza in cui ci sono un centinaio di persone che parlano. Quello che sentirete sarà un mix di tanti suoni; magari riuscirete a individuare alcune caratteristiche, come la presenza di voci femminili o risate, ma nulla di specifico e dettagliato. Se invece entrerete in quella stanza, la quantità di informazioni che sarete in grado di individuare sarà molto più alta: riuscirete a sentire le singole voci e capire meglio quello che dicono. Ovviamente entrare nella stanza, cioè entrare nel cervello, permette di avere molte informazioni in più da poter utilizzare.

Queste interfacce sono al momento dominio dell’ambito medico, poiché la maggior parte degli studi sono stati fatti per permettere a pazienti paralizzati di ottenere una maggiore libertà di movimento. Un esempio su tutti: un sistema esterno basato sull’elettroencefalogramma (EEG).

I sistemi esterni basati sull’elettroencefalogramma hanno permesso a pazienti paralizzati di tornare a camminare nuovamente grazie a protesi robotizzate. Prima vi abbiamo detto che quando si alza un braccio, nel cervello accade qualcosa. In realtà succede il contrario, cioè inconsciamente si pensa di fare un movimento, quindi a quel pensiero nel cervello avviene un’attivazione elettrochimica, a cui corrisponde il movimento del braccio.

Per creare quell’attivazione elettrochimica non serve che sia davvero presente un braccio, poiché il movimento del braccio è una diretta conseguenza. Ciò significa che, anche non si possedesse un braccio, il pensiero di compiere quel movimento creerebbe ugualmente una reazione elettrochimica, che in questo caso verrebbe individuata dall’interfaccia neurale, la quale, a sua volta, attiverebbe il braccio robotico per compiere quell’azione dopo che il segnale è stato elaborato dal computer. Chiaramente non è così facile, i pazienti che si trovano in questa condizione devono allenare il cervello, ma è stato dimostrato che è possibile “imparare nuovamente a camminare” facendo questo tipo di allenamento mentale.

I sistemi più invasivi e connessi direttamente al cervello permettono di individuare molti più segnali rispetto a quelli esterni. Avere a disposizione molti più segnali significa poter individuare, interpretare e gestire movimenti più complessi. Le informazioni necessarie per muovere il braccio verso l’alto sono certamente meno rispetto a un movimento più complesso, come quello di tutte le dita, per il quale un’interfaccia interna certamente sarebbe più efficace.

Qual è il futuro delle interfacce neurali?

All’inizio del 2021 è stata mostrata dalla Brown University un prototipo di BCI interna wireless che faceva affidamento su un collegamento senza fili a banda larga, rappresentando un grande avanzamento tecnologico visto che può essere impiantata in pazienti senza che questi debbano essere collegati fisicamente a un computer.

C’è tuttavia uno svantaggio per i sistemi connessi direttamente al cervello e ancora più svantaggi per quelli wireless. Infatti, queste soluzioni devono essere in grado di interpretare molti dati e di conseguenza essere complesse, necessitando di più energia per funzionare. Di conseguenza, la sfida ora si sposta sulla miniaturizzazione e efficientamento dei dispositivi.

Quello che è stato paventato da Elon Musk o dai film di fantascienza, con interfacce neurali in grado di permettere l’accesso ai ricordi o di caricare capacità all’interno del cervello, sembrano appartenere molto al campo dell’immaginazione e fantascienza, piuttosto che a un futuro possibile. C’è chi dice che siano solo pura fantasia e chi in realtà non chiude tutte le porte, anche se è certo che, se mai accadrà, ci vorranno tanti anni.

Il futuro di questa tecnologia è comunque promettente per quanto riguarda il campo medico, dando la possibilità di avere protesi che permettano a reduci di incidenti o malattie debilitanti di riacquistare la mobilità. La paralisi di un arto non corrisponde a un danno al cervello e quest’ultimo può essere utilizzato per attivare delle BCI che consentano di, in un certo senso, aggirare il problema. Ora bisogna trovare il modo di rendere disponibili queste interfacce, computer e arti robotici facilmente, non solo come parte di esperimenti all'interno di laboratori e università.