Spatial Multiplexing

Le reti Wi-Fi non funzionano sempre bene. Scopriamo problemi e risoluzioni.

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a cura di Tom's Hardware

Spatial Multiplexing

Uno dei passi Avanti più significativi ottenuti con le specifiche 802.11n è l'aggiunta dello spatial multiplexing. Consiste nello sfruttare le naturali fratture, per così dire, in un segnale radio primario che si divide in sottosegnali che arrivano a destinazione in momenti diversi. Se mettete un AP in un angolo di una palestra e un client dalla parte opposta, un segnale radio diretto che attraversi la stanza sarà leggermente più veloce di uno che corre e rimbalza lungo le pareti. I percorsi possibili normalmente sono molti, e ognuno può portare dati diversi. Il destinatario raccoglie i sottosegnali e li ricombina, alla fine.

Lo Spatial Multiplexing (SM) tende a funzionare molto bene al chiuso, ma meno in ambienti aperti, perché mancano oggetti dove i segnali possono rimbalzare, e quindi non si possono sfruttare i segnali secondari. Quando la si può sfruttare quindi questa tecnica serve a migliorare la banda disponibile e a il rapporto segnale/rumore.

Per capire la differenza tra SM e beamforming immaginate due secchi, uno pieno d'acqua (i dati) e l'altro vuoto. Vogliamo muovere i dati da un secchio all'altro. Con il beamforming avremo un tubo di gomma che li collega, e agiamo sulla pressione dell'acqua per velocizzare il trasferimento. Con la tecnica SM abbiamo due o più tubi di gomma, con la pressione standard. Con un sistema a singola radio (collegata a più antenne), generalmente il sistema SM fa molto meglio del beamforming. Se invece le radio trasmittenti sono due o più è vero il contrario.