P2P musicale illegale? Ovvio, siamo tutti più poveri

London School of Economics ha redatto un approfondito rapporto che tenta di spiegare all'industria musicale perché stia perdendo tempo nella battaglia al P2P illegale. Il crollo del fatturato di questi 10 anni si deve a fattori di crisi economica, non certo alla pirateria.

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a cura di Dario D'Elia

L'industria musicale è convinta che il file-sharing illegale sia responsabile del suo tracollo economico, ma secondo l'ultimo studio della London School of Economics (Creative Destrucion and Coyright Protection) è una valutazione errata. Le azioni di forza e l'intransigenza nei confronti del peer-to-peer non hanno risolto nulla in questi anni, e la motivazione è semplice: i fattori del declino del settore sono altri.

Vendite musicali mondiali tra il 2000 e il 2010

Se da una parte non vi è dubbio che tra il 2000 e il 2010 il fatturato è passato dai 26 ai 16 miliardi di dollari, bisogna riconoscere anche per il potere di acquisto dei consumatori è evaporato. "Il trend negativo delle spese per l'intrattenimento continuerà considerando l'aumento dei costi della vita, la disoccupazione e la drastica crescita dei costi per i servizi pubblici", si legge nel rapporto. Un'indagine statunitense (2004 US Consumer Expenditure Survey), ad esempio, ha rilevato il crollo degli acquisti di CD tra il 1999 e il 2004 basandosi su un campione di persone senza PC (quindi prive di servizi P2P). 

È evidente quindi che la crisi economica ha avuto un maggiore peso negli anni di quanto possa aver influito la pirateria. Soprattutto considerando che i "download hanno un effetto sulle vendite che è statisticamente  indistinguibile dallo zero", in base a un vecchio rapporto del 2007 redatto dal Journal of Political Economy. Semplicemente perché ogni file musicale scaricato non può essere considerato un mancato acquisto. Se una traccia è disponibile su P2P bene, sennò si può sopravvivere senza.

Gli autori del Journal of Political Economy nel 2010 hanno corretto leggermente il tiro: hanno riconosciuto, considerata la massa critica raggiunta dal P2P, che il fenomeno della pirateria può incidere sul 20% delle vendite – non di più.

Come sbloccare quindi la situazione? Secondo London School of Economics bisognerebbe sfruttare le potenzialità del file-sharing e del social networking. "Alcuni artisti ed etichette fanno un grande uso del file-sharing e della cultura partecipativa che lo sostiene invece che rifiutarli", sostengono Bart Cammaerts e Bingchun Meng del Dipartimento Media di LSE. "In questo momento, questi artisti ed etichette stanno sviluppando modelli alternativi funzionanti per un nuovo sistema di entrate".

Le grandi etichette non possono che snobbare questi sistemi adesso, ma domani con l'esplosione del mercato mobile musicale (26 volte quello attuale entro il 2015), soprattutto in paesi come Medio Oriente, Africa Sub-Sahariana e Sud-Est Asiatico, tutto cambierà. Perché si può essere certi che in molte zone vi sarà campo mobile prima che l'elettricità, e il file-sharing rappresenterà lo strumento più efficiente per il downloading.

Questi milioni di utenti non avranno soldi per acquistare musica, ma solo BitTorrent. A quel punto bisognerà scegliere se continuare a portare avanti una battaglia perdente (già in Occidente) oppure sposare nuovi modelli.