Passato, presente e futuro di LibreOffice, con un ostacolo: Microsoft

Intervista a Italo Vignoli, uno dei responsabili di The Document Foundation, in merito ai progressi e alla diffusione della suite libera per la produttività LibreOffice.

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a cura di Manolo De Agostini

LibreOffice, la sfida aperta e libera a Microsoft Office

The Document Foundation, l'organizzazione no profit che coordina lo sviluppo di LibreOffice, organizza il proprio incontro annuale - chiamato LibreOffice Conference - a Milano, dal 25 al 27 settembre 2013, nelle aule del Dipartimento di Scienze dell'Informazione dell'Università Statale.

In quell'occasione saranno toccati diversi temi e fatti alcuni annunci, come il Protocollo di Migrazione creato dalla Document Foundation per aiutare le aziende e le pubbliche amministrazioni che intendono migrare a LibreOffice. Abbiamo pensato di anticipare l'evento, ponendo a Italo Vignoli, una delle figure di spicco di The Document Foundation, alcune domande relative a LibreOffice e alla sfida che la suite libera per la produttività affronta di giorno in giorno per trovare spazio in settori strategici come la Pubblica Amministrazione.

Italo Vignoli

Tom's Hardware: Per quale motivo gli sviluppatori hanno deciso di abbandonare l'impegno in OpenOffice e creare LibreOffice? Quante sono le persone impegnate nello sviluppo della suite in Italia e nel mondo?

Italo Vignoli: OpenOffice è stato un progetto fondamentale per la maturazione e la crescita del software libero, ma era legato a una singola azienda - Sun - che controllava sia lo sviluppo sia la community (attraverso un community manager che era la sintesi di tutto quello che non si dovrebbe mai fare in quella posizione). Quando Oracle ha acquisito Sun, è stato immediatamente chiaro che i giorni di OpenOffice erano contati, e quindi il gruppo dei leader dei diversi sottoprogetti ha iniziato a pensare a un fork sotto l'egida di quella fondazione indipendente che era stata promessa da Sun nel 2001 ma era stata perennemente rimandata, e poi dimenticata.

Quindi, il 28 settembre 2010 questo gruppo di 16 incoscienti ha annunciato The Document Foundation - l'organizzazione - e LibreOffice - il software, facendo un salto nel vuoto senza paracadute che è stato salutato in modo positivo dalla parte più ampia della comunità, che si è riconosciuta nei cinque "pilastri" di TDF: la licenza copyleft, che protegge gli sviluppatori; l'assenza di un copyright assignment, che elimina il principale ostacolo psicologico all'arrivo di sviluppatori volontari; la democrazia "meritocratica", dove i ruoli sono definiti dalle attività e non dalla decisione di una struttura gerarchica; l'indipendenza reale da qualsiasi vendor, con uno sbarramento al 30% dei voti in tutti gli organismi decisionali; e la governance da parte della community, con i membri - e si diventa membro se si contribuisce al progetto - che possono sia eleggere che essere eletti.

Gli sviluppatori italiani sono pochissimi, così come erano pochissimi all'epoca di OpenOffice. Al contrario, a livello internazionale gli sviluppatori di LibreOffice hanno appena superato quota 700 - anche se non tutti e non sempre attivi - con oltre 100 sviluppatori attivi su base mensile e circa 350 su base annuale.

Oggi, LibreOffice è il più grande progetto veramente indipendente di software libero per la produttività individuale, e il terzo dopo Firefox e Chrome a livello di desktop. Oggi, è facile fare gli sbruffoni e sostenere che era già tutto previsto, ma nella realtà la crescita è stata talmente rapida da sorprendere anche i fondatori (e mandare su tutte le furie i detrattori). La comunità italiana dei volontari che contribuiscono agli altri aspetti del progetto, a partire dalla localizzazione, sta invece crescendo in modo regolare, e dovrebbe ben presto essere trasformata in una fondazione di partecipazione, che avrà il nome di LibreItalia.

TH: Quali sono gli obiettivi di The Document Foundation?

IV: L'obiettivo continua a essere quello dichiarato il giorno dell'annuncio del fork: offrire un futuro indipendente ed economicamente sostenibile a un software che le grandi aziende vorrebbero controllare (e di fatto hanno controllato in passato con Sun nel caso di OpenOffice, e stanno controllando oggi con IBM nel caso di Apache OpenOffice).

Una suite di produttività libera - e quindi priva di costi di licenza - come LibreOffice (e OpenOffice all'epoca di Sun) attira l'attenzione di grandi aziende e pubbliche amministrazioni, in quanto consente un risparmio significativo rispetto a Microsoft Office, anche se viene installato solo su una percentuale dei PC.

Le opportunità di migrazione scatenano la cupidigia delle aziende, e nel caso di OpenOffice prima di Sun e poi di IBM, che intravedono opportunità di lock-in "à la Microsoft" che secondo loro derivano dal controllo del progetto. In realtà, la mossa è molto miope, in quanto gli utenti - che sono molto più intelligenti - non intendono passare da un lock-in palese a uno mascherato, e quindi non migrano a OpenOffice con il supporto dell'azienda. Quindi, il controllo si traduce nel 100% di un business pari a zero.

Un ecosistema aperto e libero come quello di LibreOffice, invece, permette lo sviluppo di una sana concorrenza tra chi fornisce servizi a valore aggiunto, tanto che non è certamente un caso se da agosto 2011 tutte le migrazioni da MS Office a una suite libera sono state a LibreOffice, e in quasi tutti i casi sono state sostenute da un'azienda che fa parte dell'ecosistema (generando un business di un ordine di grandezza superiore a quello generato da OpenOffice all'apice del suo successo, in un terzo del tempo). Questa offerta di servizi a valore aggiunto si sta allargando, e sta finalmente arrivando anche in Italia. In questo momento è prematuro fare dei nomi, ma ci saranno degli annunci entro la fine del 2013.