Spotify ha azzoppato la pirateria musicale, ora tocca ai film

Gli ultimi dati ufficiali confermano un calo della pirateria musicale.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Un po' meno pirateria e un po' più legalità, almeno nel mondo della musica. Questo è quanto raccontano gli ultimi dati della IFPI (International Federation of the Phonographic Industry), l'associazione che rappresenta i discografici del mondo. Tutto merito della musica in streaming offerta da Spotify e simili.

Nel corso del 2013 infatti i ricavi della musica digitali sono aumentati del 4,3% (qui il PDF), una crescita dovuta quasi interamente agli abbonamenti e alla pubblicità nei servizi gratuiti, mentre il giro d'affari per l'acquisto (download) è rimasto pressoché invariato.

I servizi in abbonamento, che costano una decina di euro al mese, sono cresciuti nel 2013 del 51,3%, fino a 28 milioni di abbonati circa. A farla da padroni sono i grandi nomi come Spotify, Deezer, Google, Apple o Microsoft, ma anche piccoli servizi regionali hanno ottenuto successi più che discreti.

Di contro, come abbiamo già visto in passato, cala la pirateria: molti sono disposti evidentemente a pagare il giusto per poter ascoltare tanta musica senza preoccupazioni di alcun tipo. E soprattutto senza la minima fatica, tranne quella di cercare la propria musica preferita. Anche chi non paga nulla genera discreti guadagni grazie alla pubblicità: i ricavi da servizi come YouTube o Vevo, per esempio, sono cresciuti del 17,6%.

In Italia sembra che il pubblico nazionale abbia una certa preferenza per lo streaming, tanto a pagamento quanto gratuito. Il 32% degli utenti nel 2013 infatti ha usato uno dei servizi disponibili - forse molti volevano solo provare la novità ovviamente, ma in tanti avranno deciso di continuare a usare il prodotto.

Ciò che importa sottolineare è che nel caso della musica sembra davvero che l'offerta legale stia riducendo sempre più la pirateria. La chiave è stata offrire il prodotto a poco prezzo, anche gratuitamente con pubblicità. Molto importante inoltre il servizio in mobilità, soprattutto tramite smartphone: molti preferiscono pagare Google Play Music o simili piuttosto che scaricarsi una libreria pirata, per poi organizzarla e copiarne una parte sul telefono.

Insomma pacche sulle spalle per tutti in casa IFPI e FIMI (la versione italiana dell'associazione). Ora tocca al mondo del cinema e della televisione: quanto sareste disposti a pagare per uno "Spotify video"?