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Affamare i tumori li rende più vulnerabili ai trattamenti

Inibendo la macropinocitosi nel tumore al pancreas, i ricercatori hanno migliorato la risposta del tessuto ai farmaci nei test su modelli murini.

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a cura di Patrizio Coccia

Editor

Pubblicato il 07/08/2025 alle 20:31

La notizia in un minuto

  • I ricercatori hanno scoperto che bloccare la macropinocitosi nel cancro pancreatico trasforma l'ambiente tumorale da impenetrabile ad accessibile, permettendo alle terapie di raggiungere più efficacemente il bersaglio
  • L'inibizione di questo meccanismo di "saccheggio cellulare" riprogramma i fibroblasti complici del tumore, riducendo la rigidità tissutale e aumentando l'infiltrazione delle cellule immunitarie
  • Le terapie combinate con inibitore EIPA hanno mostrato risultati promettenti nei test preclinici, prolungando la sopravvivenza e riducendo le metastasi quando associate ad immunoterapia o chemioterapia
Riassunto generato con l'IA. Potrebbe non essere accurato.

Nel complesso ecosistema che circonda i tumori pancreatici, una battaglia silenziosa per le risorse nutritive determina spesso l'esito della malattia. I ricercatori del Sanford Burnham Prebys hanno scoperto che interferire con questo meccanismo di "saccheggio cellulare" può trasformare l'ambiente tumorale da fortezza impenetrabile a territorio accessibile per le terapie. La scoperta, pubblicata su Cancer Cell il 24 luglio 2025, apre nuove prospettive per combattere l'adenocarcinoma duttale pancreatico (PDAC), una delle forme più aggressive di cancro.

La strategia predatoria delle cellule tumorali

Come un peschereccio che stende le reti per catturare il pesce, le cellule del PDAC modificano la propria superficie per appropriarsi di nutrienti dalla matrice extracellulare, quella sostanza gelatinosa che riempie gli spazi tra le cellule. Questo processo, chiamato macropinocitosi, rappresenta una vera e propria strategia di sopravvivenza che permette al tumore di alimentare la propria crescita incontrollata.

L'impatto di questa attività predatoria va ben oltre il semplice approvvigionamento di nutrienti. Il saccheggio sistematico irrigidisce i tessuti connettivi circostanti e crea una barriera che impedisce alle cellule immunitarie di raggiungere il bersaglio tumorale, rendendo inefficaci molte terapie convenzionali.

I fibroblasti complici del tumore

Al centro di questo meccanismo si trovano i fibroblasti associati al cancro (CAF), cellule che normalmente producono tessuto connettivo ma che, sotto l'influenza tumorale, diventano alleate del nemico. "Questi CAF forniscono metaboliti e segnali di crescita al tumore, supportandone lo sviluppo in molteplici modi", spiega Yijuan Zhang, ricercatrice del Sanford Burnham Prebys e autrice principale dello studio.

La ricerca ha rivelato che i CAF pancreatici soffrono di una carenza cronica di glutammina, un amminoacido fondamentale di cui il PDAC è particolarmente avido. Quando i ricercatori hanno bloccato la macropinocitosi, privando i CAF della stessa strategia di approvvigionamento usata dal tumore, hanno osservato una trasformazione sorprendente: questi "complici" si sono convertiti in un sottotipo diverso, caratterizzato da geni che promuovono l'infiammazione.

Una metamorfosi dell'ambiente tumorale

Cosimo Commisso, autore senior dello studio e direttore ad interim del centro oncologico dell'istituto, descrive così il cambiamento osservato: "La maggior parte dei CAF pancreatici sono miofibroblasti che promuovono rigidità e densità nell'ambiente tumorale, rendendo difficile l'accesso a cellule immunitarie e farmaci". Gli esperimenti hanno invece prodotto una riprogrammazione verso un fenotipo meno fibroso e più infiammatorio.

I risultati hanno superato le aspettative: riduzione dei depositi di collagene che irrigidiscono l'ambiente tumorale, maggiore infiltrazione di linfociti T CD4+ e CD8+, e un'espansione vascolare che facilita la distribuzione dei farmaci. Questa trasformazione dell'habitat tumorale ha aperto la strada a combinazioni terapeutiche più efficaci.

Sinergie terapeutiche promettenti

La vera svolta è arrivata quando i ricercatori hanno testato l'inibitore della macropinocitosi EIPA in combinazione con altre terapie. L'associazione con anticorpi anti-PD-1 ha significativamente soppresso le metastasi tumorali e prolungato la sopravvivenza nei topi. Risultati simili si sono ottenuti combinando EIPA con la chemioterapia gemcitabina, con una riduzione sinergica della crescita tumorale e della diffusione di micrometastasi polmonari.

"Crediamo che questa sia una strategia molto promettente per sviluppare terapie combinate per i pazienti oncologici", sottolinea Commisso. La rilevanza è particolare per il cancro pancreatico, che pur rappresentando solo il 3% dei casi di tumore, costituisce la terza causa di morte per cancro.

Verso nuove frontiere terapeutiche

Lo studio, sostenuto dai National Institutes of Health e dal National Cancer Institute, coinvolge un ampio team di ricercatori del Sanford Burnham Prebys e dell'Università della California di San Diego. La ricerca continuerà a esplorare come impedire ai tumori di saccheggiare energia per rimodellare l'ambiente circostante, trasformandolo da santuario protetto in territorio accessibile alle terapie anticancro.

Fonte dell'articolo: www.sciencedaily.com

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