Nel vasto laboratorio cosmico del sistema solare, frammenti rocciosi vagano da miliardi di anni custodendo i segreti della nostra origine. Come un detective che analizza prove antiche, il ricercatore Joe Masiero dell’IPAC ha individuato un indizio sorprendente: due categorie di asteroidi apparentemente diverse condividono una firma chimica comune che potrebbe cambiare la nostra comprensione della loro formazione. La chiave è uno strato di troilite, un composto raro di ferro e zolfo che funge da vera impronta digitale cosmica.
Una tecnica innovativa svela connessioni nascoste
Per arrivare a questa scoperta, Masiero ha utilizzato il telescopio dell’Osservatorio Palomar del Caltech, nelle montagne sopra San Diego. La polarizzazione della luce nel vicino infrarosso si è rivelata decisiva per penetrare i segreti compositivi degli asteroidi di tipo M e K, due classi che finora sembravano senza punti in comune. “La polarizzazione ci fornisce informazioni sui minerali che non possiamo ottenere semplicemente osservando la luce riflessa”, spiega Masiero.
Gli asteroidi M sono ricchi di metalli, mentre quelli K contengono silicati, gli stessi che formano gran parte della crosta terrestre. Eppure entrambi presentano uno strato superficiale di troilite, definito “molto raro” dal ricercatore.
Questo indizio suggerisce che M e K potrebbero provenire da corpi più grandi e differenziati, poi frammentati in epoche remote. Come accade per la Terra con nucleo, mantello e crosta, anche questi asteroidi potrebbero rappresentare strati diversi di un unico progenitore.
Capsule del tempo da 4,6 miliardi di anni
Gli asteroidi sono veri fossili cosmici: manufatti intatti del disco di gas e polvere da cui si formò il sistema solare. “Sono come fermi immagine delle condizioni iniziali”, sottolinea Masiero. Orbitando attorno al Sole, mostrano fasi e caratteristiche che permettono di decifrare i processi primordiali.
Lo strumento che ha cambiato tutto
Il WIRC+Pol, strumento unico dell’Osservatorio Palomar, ha permesso analisi senza precedenti. Misurando come la polarizzazione vari con l’angolo di fase - cioè tra Sole, asteroide e Terra - i ricercatori hanno potuto ricostruire la composizione delle superfici.
L’origine della polvere di troilite resta un enigma: potrebbe provenire da un corpo originario o essersi formata dopo una frammentazione. “Non puoi aprire la Terra per vedere cosa c’è dentro, ma puoi studiare gli asteroidi, i frammenti rimasti della costruzione dei pianeti”, conclude Masiero.
La ricerca, pubblicata su The Planetary Science Journal, apre nuove prospettive sulla nascita del sistema solare, dimostrando come tecniche innovative possano rivelare connessioni invisibili tra corpi che orbitano nello spazio da miliardi di anni.