L'analisi della composizione atmosferica e della temperatura superficiale potrebbe rivelare uno dei segreti più affascinanti dell'universo: quanto è liquefatto l'interno di pianeti lontani che appaiono come veri e propri mondi di lava. Gli astronomi stanno sviluppando modelli teorici che potrebbero permettere al telescopio spaziale James Webb di distinguere tra pianeti completamente fusi fino al nucleo e quelli che conservano ancora una struttura solida sotto la superficie incandescente. Questa prospettiva apre scenari inediti nella comprensione della formazione planetaria e dell'evoluzione dei corpi celesti più estremi della galassia.
Il laboratorio cosmico dei pianeti infernali
I cosiddetti "mondi di lava" rappresentano una categoria di esopianeti caratterizzata da temperature superficiali che superano i 1.000 gradi Celsius, condizioni che mantengono la roccia in stato liquido sulla faccia rivolta verso la stella madre. Questi corpi celesti, spesso bloccati in rotazione sincrona attorno alle loro stelle, offrono un contrasto estremo tra l'emisfero diurno fuso e quello notturno relativamente più freddo. La loro esistenza era stata teorizzata prima ancora di essere osservata direttamente, ma ora rappresentano un campo di studio cruciale per comprendere i processi geologici in condizioni estreme.
La distinzione tra pianeti parzialmente e completamente liquefatti non è meramente accademica. Determina infatti processi fondamentali come la circolazione atmosferica, la distribuzione termica e persino la possibilità di mantenere un campo magnetico protettivo. Un pianeta con un nucleo ancora solido presenta dinamiche interne completamente diverse rispetto a uno completamente fuso, influenzando l'evoluzione a lungo termine del sistema planetario.
La firma spettrale del magma
Il team di ricercatori ha sviluppato modelli computazionali che correlano la temperatura superficiale osservabile con la composizione chimica dell'atmosfera per inferire il grado di fusione interno. L'approccio si basa sul principio che un pianeta completamente liquefatto rilascia nell'atmosfera una combinazione specifica di elementi vaporizzati dalla superficie rocciosa. Questi vapori metallici e silicati creano una firma spettrale distintiva che può essere rilevata attraverso l'analisi della luce stellare filtrata dall'atmosfera planetaria durante i transiti.
Le simulazioni indicano che pianeti con diversi gradi di liquefazione mostrano variazioni significative nella distribuzione di elementi come ferro, magnesio e alluminio nell'atmosfera. Questi biomarcatori geologici potrebbero fungere da indicatori diretti dello stato fisico dell'interno planetario, offrendo agli astronomi uno strumento diagnostico senza precedenti per sondare la struttura interna di mondi altrimenti inaccessibili.
JWST: la nuova frontiera dell'esplorazione remota
Le capacità spettrografiche avanzate del James Webb Space Telescope rappresentano la chiave per trasformare questi modelli teorici in osservazioni concrete. La sensibilità dello strumento nell'infrarosso permette di rilevare anche tracce minime di elementi vaporizzati, mentre la risoluzione spettrale consente di distinguere tra diverse specie chimiche presenti nell'atmosfera. Questa combinazione tecnologica rende possibile per la prima volta una radiografia remota dell'interno di pianeti situati a decine di anni luce di distanza.
I ricercatori prevedono che le prime conferme sperimentali di questi modelli potrebbero arrivare nei prossimi anni, man mano che JWST accumula dati su un numero crescente di esopianeti ad alta temperatura. L'identificazione di mondi completamente liquefatti fornirebbe inoltre informazioni preziose sui processi di formazione planetaria in ambienti stellari giovani e attivi, dove le condizioni estreme sono più comuni che nelle regioni più mature della galassia come quella in cui si trova il nostro Sistema Solare.