La scoperta di bruchi capaci di degradare la plastica in pochi giorni ha acceso grandi speranze nella lotta all’inquinamento, ma la strada verso un’applicazione concreta si dimostra più complicata del previsto. I ricercatori dell’Università di Brandon in Canada stanno analizzando i meccanismi biologici dietro questa capacità unica, evidenziando però anche i limiti di sopravvivenza delle larve della tarma della cera (Galleria mellonella). Questi insetti potrebbero rivoluzionare l’economia circolare, a patto di trovare un modo per renderne sostenibile l’impiego.
Il modo in cui i bruchi trasformano il polietilene ricorda da vicino i processi metabolici umani. Proprio come i grassi saturi vengono accumulati nel nostro corpo sotto forma di tessuto adiposo, così la plastica ingerita viene convertita in lipidi e immagazzinata come grasso. Considerando che il polietilene è la plastica più diffusa al mondo, con oltre 100 milioni di tonnellate prodotte ogni anno e tempi di decomposizione naturali che superano i secoli, il fenomeno appare ancora più rilevante.
L’efficienza devastante dei “plastivori”
Le cifre sono sorprendenti: circa 2.000 larve sono in grado di demolire un sacchetto di plastica in appena 24 ore. La ricerca indica che l’aggiunta di zuccheri o altri stimolanti alimentari potrebbe ridurre il numero di bruchi necessari, aumentando ulteriormente l’efficacia del processo.
Dietro questa efficienza si nasconde però un costo altissimo. Una dieta esclusivamente plastica porta i bruchi a un rapido deperimento, con perdita di massa corporea e morte in pochi giorni. La loro capacità digestiva, pur eccezionale, non garantisce dunque condizioni vitali a lungo termine.
Due strade verso l’economia circolare
Gli studiosi indicano due vie di sviluppo. La prima consiste nell’allevamento dei bruchi con una dieta mista di plastica e nutrienti supplementari, così da mantenerli in vita e sfruttarne il metabolismo. La seconda punta invece a ricreare artificialmente i processi di biodegradazione osservati, trasferendoli in sistemi industriali senza coinvolgere direttamente gli insetti. Secondo il dottor Cassone, creare integratori capaci di rafforzare le condizioni di salute delle larve potrebbe rappresentare la svolta per portare la scoperta dal laboratorio alla produzione su larga scala.
Dall’allevamento di massa deriverebbe anche un surplus di biomassa utile. I ricercatori ipotizzano che i bruchi potrebbero diventare ingredienti nutritivi per l’acquacoltura, fornendo cibo proteico ai pesci destinati al commercio e creando un ulteriore vantaggio economico.
Lo studio, che integra biologia molecolare, fisiologia e scienza dei materiali, sarà presentato alla Conferenza Annuale della Society for Experimental Biology ad Anversa l’8 luglio 2025. L’obiettivo rimane chiarire in profondità i meccanismi biologici alla base di questo processo per trasformare una curiosità scientifica in una reale strategia contro l’inquinamento da plastica.