Buchi neri, quelli primordiali erano grandi quanto un atomo

Secondo un recente studio, i buchi neri primordiali potrebbero essere anche stati piccolissimi, delle dimensioni di un atomo, e aver contenuto la totalità della materia oscura dell'universo,

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a cura di Alessandro Crea

Mentre i buchi neri più grandi sono già stati rilevati e persino fotografati, ora ci sono anche prove che siano esistiti minuscoli buchi neri delle dimensioni di atomi di potassio (con un raggio di circa 0,23 nanometri, equivalente a 0,23 miliardesimo di metro). Questi buchi neri di dimensioni atomiche si sono formati nei primi momenti del Big Bang e possono anche comprendere la totalità della materia oscura dell'universo, come spiega un recente studio.

Parti significative dei buchi neri nell'universo si sono formate dal collasso gravitazionale delle stelle che consumano tutto il loro combustibile nelle loro fasi finali: questi sono chiamati "buchi neri stellari". Non tutte le stelle si trasformeranno in buchi neri alla fine della loro vita però, quando il nucleo di una stella è inferiore a due o tre masse solari, non è possibile creare un buco nero stellare. Esiste cioè una massa stellare minima al di sotto della quale una stella non può collassare in un buco nero. Ad esempio, il nostro Sole non si trasformerà mai in un buco nero alla fine della sua vita, ma altre stelle massicce come la supergigante rossa Betelgeuse diventeranno inevitabilmente buchi neri.

Ci sono anche altri buchi neri chiamati buchi neri "primitivi" o "primordiali", che – come indica il nome – sono stati creati nei primi momenti del Big Bang, quando l'universo è iniziato per la prima volta, e possono teoricamente possedere qualsiasi massa. Possono variare in dimensioni da una particella subatomica a diverse centinaia di chilometri. E quando si tratta di buchi neri, quelli supermassicci non emettono praticamente alcuna radiazione, mentre i più piccoli emettono la maggior parte delle radiazioni. Ma come è possibile questo fenomeno?

La risposta è stata fornita dal fisico Stephen Hawking a metà degli anni settanta. Ha postulato che gli effetti quantistici vicino all'orizzonte degli eventi di un buco nero potrebbero produrre l'emissione di particelle che potrebbero sfuggire da esso. Cioè, i buchi neri che non guadagnano massa con nessun altro mezzo perderanno progressivamente la loro massa e infine evaporeranno. Questa radiazione di Hawking è più evidente nei buchi neri di piccola massa: il tempo di evaporazione di un buco nero supermassiccio di un milione di masse solari è di 36×10 alla potenza di 91 secondi (molto più lungo dell'età attuale dell'universo). D'altra parte, un buco nero con una massa equivalente a una nave da 1.000 tonnellate evaporerebbe in circa 46 secondi.

Nel recente studio sui buchi neri di dimensioni atomiche, viene proposto uno scenario astrofisico in cui uno di questi minuscoli buchi neri viene catturato da uno supermassiccio. Man mano che il buco nero di dimensioni atomiche si avvicina all'orizzonte degli eventi di quello supermassiccio, la frazione di radiazione di Hawking che potrebbe essere rilevata dalla Terra diminuisce gradualmente, fino a raggiungere le dimensioni di un raggio di luce.

Questo fascio è compatibile con i lampi di raggi gamma termici (GRB) già misurati negli osservatori astronomici. Sono questi GRB che costituiscono una prova sperimentale per buchi neri così piccoli, che sono seri candidati per comprendere meglio la materia oscura di un universo ancora inesplorato e affascinante.