Le metodologie utilizzate fino a oggi per valutare l'impegno dei singoli paesi nella lotta contro il cambiamento climatico nascondono un difetto sistemico che rischia di compromettere gli sforzi globali. Una ricerca dell'Università di Utrecht pubblicata su Nature Communications rivela come gli strumenti di analisi abbiano sistematicamente favorito le nazioni più inquinanti a scapito di quelle più vulnerabili agli effetti del riscaldamento globale. Questo squilibrio ha conseguenze dirette sulle politiche internazionali e sui contenziosi legali in materia di inadempienza climatica.
Il problema nasce dal metodo di calcolo della "quota equa" di emissioni che ciascun paese dovrebbe rispettare per centrare gli obiettivi dell'Accordo di Parigi. I sistemi tradizionali prendono come riferimento la situazione attuale delle emissioni, che però riflette decenni di inquinamento da parte delle nazioni più sviluppate. In pratica, i maggiori inquinatori partono avvantaggiati, con target di riduzione più indulgenti rispetto alla loro responsabilità storica.
Una nuova formula per la giustizia climatica
Il team guidato da Yann Robiou du Pont propone di ribaltare la logica esistente: i tagli dovrebbero essere calcolati sulla base dei contributi storici al cambiamento climatico e sulla capacità economica di intervenire. In questo modo verrebbe rimosso il premio sistemico per l’inazione di cui hanno beneficiato le grandi potenze industriali.
L’applicazione di questa metodologia imporrebbe tagli drastici e immediati a paesi come Stati Uniti, Australia, Canada, Russia, Cina, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Riduzioni che, per essere sostenibili, richiederebbero anche massicci investimenti nei paesi in via di sviluppo.
L’impatto sui tribunali climatici
Le valutazioni di equità climatica stanno diventando strumenti centrali nei processi legali, come dimostra il caso KlimaSeniorinnen davanti alla Corte Europea dei Diritti Umani. Qui i giudici hanno riconosciuto che un’azione climatica insufficiente viola i diritti fondamentali, rafforzando la necessità di giustificare gli impegni nazionali come equi e ambiziosi. Distorsioni nei metodi di calcolo possono quindi influenzare sentenze, impegni politici e percezione pubblica.
La ricerca sottolinea che la mancanza di sforzi equi da parte delle nazioni con maggiore capacità economica e responsabilità storica si traduce in un’azione globale insufficiente. Una distribuzione più giusta degli sforzi potrebbe portare a risultati molto più ambiziosi, trasformando la giustizia climatica in un motore di accelerazione per gli obiettivi internazionali. Il concetto di "debito climatico" emerge così come obbligo morale e giuridico, richiamando la necessità di un’azione collettiva urgente per prevenire danni irreversibili al sistema climatico.