Nel cuore dell'Africa orientale, tra il Kenya e l'Etiopia, si estende uno dei laboratori naturali più preziosi per comprendere l'evoluzione umana: il bacino Omo-Turkana. Questa vasta regione, che abbraccia il lago Turkana e i sistemi fluviali circostanti, ha restituito oltre 1.200 reperti fossili di ominidi, rappresentando circa un terzo di tutti i resti umani antichi conosciuti in Africa. Negli ultimi sessant'anni, le ricerche condotte qui hanno rivoluzionato la nostra comprensione delle origini della nostra specie e del genere Homo, spingendo indietro nel tempo sia la comparsa di Homo sapiens sia l'emergere dei nostri antenati più remoti.
Due recenti studi pubblicati rispettivamente su Nature Communications e sul Journal of Human Evolution confermano il ruolo centrale di questa regione nella paleoantropologia moderna. Il primo, guidato da David Braun della George Washington University, documenta la scoperta di 1.290 strumenti litici databili tra 2,44 e 2,75 milioni di anni fa presso il sito di Namorotukunan, sulla sponda orientale del Lago Turkana. Il secondo, coordinato da François Marchal dell'Università di Aix-Marseille, ha catalogato sistematicamente tutti i fossili di ominidi rinvenuti nel bacino, creando un database che rappresenta una vera e propria enciclopedia dell'evoluzione umana in Africa orientale.
Gli strumenti di Namorotukunan appartengono alla tradizione tecnologica chiamata Olduvaiano, dal nome della gola di Oldupai in Tanzania dove furono identificati per la prima volta. Si tratta di manufatti relativamente semplici, ottenuti scheggiando pietre per creare bordi taglienti. Ciò che ha colpito i ricercatori non è tanto la complessità degli oggetti, quanto piuttosto la loro straordinaria coerenza attraverso 300.000 anni di utilizzo. Gli ominidi che li producevano selezionavano sistematicamente le rocce più adatte e ripetevano schemi di lavorazione standardizzati, suggerendo che la produzione di strumenti non fosse un'attività occasionale ma un comportamento culturale stabilmente trasmesso nel tempo.
La geografia del bacino Omo-Turkana lo rende particolarmente favorevole alla preservazione fossile. Il Lago Turkana, uno dei più grandi laghi al mondo, si allunga per centinaia di chilometri in direzione nord-sud attraverso il Kenya, alimentato dal fiume Omo che scende dall'Etiopia meridionale e da altri corsi d'acqua come il Turkwel e il Kerio. I sedimenti fluviali e lacustri depositati nel corso di milioni di anni hanno intrappolato resti di creature viventi, mentre l'attività vulcanica della Rift Valley ha fornito strati di cenere che permettono datazioni radiometriche precise. Formazioni geologiche come Koobi Fora a est, Nachukui a ovest e Shungura a nord hanno restituito fossili che coprono un intervallo temporale eccezionalmente ampio.
Le ricerche sistematiche nella regione iniziarono negli anni Sessanta del Novecento con spedizioni congiunte franco-americano-keniane guidate da Camille Arambourg, Yves Coppens, F. Clark Howell e Richard Leakey. Quest'ultimo, figlio dei celebri paleoantropologi Louis e Mary Leakey, condusse estese campagne a Koobi Fora e nell'area di Nachukui. La dinastia Leakey ha segnato profondamente la paleoantropologia africana, con Louise Leakey, nipote di Richard, ancora attiva nella ricerca. Tuttavia, come sottolineano Marchal e colleghi, il successo del bacino Omo-Turkana deriva da decenni di collaborazioni internazionali che hanno coinvolto centinaia di ricercatori di molteplici istituzioni.
Tra i ritrovamenti più significativi figurano i fossili di Homo sapiens scoperti a Omo Kibish, nella parte settentrionale del bacino. Questi resti, che includono due crani parziali e numerosi denti, sono stati inizialmente datati a 130.000 anni fa, ma successive analisi radiometriche delle ceneri vulcaniche circostanti hanno progressivamente aumentato la loro età: 195.000 anni in uno studio del 2005, e almeno 233.000 anni secondo una ricerca del 2022. Solo i fossili di Jebel Irhoud in Marocco, databili a circa 300.000 anni fa, sono più antichi tra i rappresentanti della nostra specie. Queste scoperte hanno costretto la comunità scientifica a riconsiderare la cronologia dell'emergenza di Homo sapiens, suggerendo che la nostra evoluzione come specie distinta possa essere iniziata diverse centinaia di migliaia di anni fa, piuttosto che attorno ai 200.000 anni come si pensava in precedenza.
Un pattern analogo emerge per il genere Homo nel suo complesso. La presenza documentata di Homo nel bacino tra 2,7 e 2 milioni di anni fa è sostanziale, con i reperti più antichi provenienti dalla Formazione Shungura, databili tra 2,74 e 2,58 milioni di anni. Sebbene alcuni di questi fossili, annunciati nel 2008, attendano ancora una descrizione formale completa, il quadro generale indica che il genere Homo era ben stabilito nella regione molto prima di quanto precedentemente ipotizzato. È significativo notare che Homo non era il solo ominido presente: il genere Paranthropus, caratterizzato da cervelli relativamente piccoli e dentature robuste adatte a diete vegetali dure, era due volte più comune, mentre gli Australopitecus, sebbene in declino, erano ancora presenti. Il bacino Omo-Turkana rappresentava dunque un mosaico di biodiversità umana, con multiple specie di ominidi che coesistevano negli stessi paesaggi.
La relazione tra i primi rappresentanti del genere Homo e gli strumenti Olduvaiani di Namorotukunan rimane oggetto di studio. La sovrapposizione temporale tra la presenza documentata di Homo e la produzione sistematica di utensili litici suggerisce un legame, ma la certezza assoluta richiederebbe il ritrovamento di fossili in associazione diretta con i manufatti. La capacità di produrre strumenti standardizzati per periodi così prolungati implica trasmissione culturale e apprendimento sociale, capacità cognitive che rappresentano traguardi evolutivi fondamentali.
Insieme alla Great Rift Valley dell'Africa orientale, che include la celebre gola di Oldupai, e al Cradle of Humankind in Sudafrica, il bacino Omo-Turkana costituisce una delle tre regioni africane più produttive per i fossili di ominidi. Il proseguimento delle ricerche in quest'area, supportate da collaborazioni internazionali e metodologie sempre più raffinate di datazione e analisi, promette di rivelare ulteriori dettagli sulla complessa storia evolutiva che ha portato alla nostra specie. Le domande ancora aperte riguardano le relazioni filogenetiche tra le diverse forme di Homo primitivo, i fattori ambientali che hanno favorito la diversificazione degli ominidi e i meccanismi di trasmissione culturale che hanno permesso la persistenza di tradizioni tecnologiche per centinaia di migliaia di anni.