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Resistenza estrema? Il corpo umano ha un confine preciso

Un nuovo studio mostra che il corpo umano non può sostenere oltre 2,5 volte il metabolismo basale senza compromettere i propri tessuti.

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Avatar di Antonello Buzzi

a cura di Antonello Buzzi

Senior Editor

Pubblicato il 14/11/2025 alle 08:10

La notizia in un minuto

  • Una ricerca su Current Biology dimostra che gli atleti di endurance non possono superare stabilmente un tetto metabolico di 2,5 volte il metabolismo basale, anche se picchi temporanei fino a 6-7 volte sono possibili
  • Il limite è dovuto a meccanismi di riequilibrio energetico del corpo che redistribuisce automaticamente le risorse, sottraendole ad altre funzioni vitali per evitare l'autodegradazione dei tessuti
  • Lo studio ha utilizzato la tecnica dell'acqua doppiamente marcata con isotopi stabili su 14 ultra-atleti, monitorando il dispendio calorico durante competizioni e allenamenti prolungati
Riassunto generato con l'IA. Potrebbe non essere accurato.

Il corpo umano, per quanto allenato, incontra un limite invalicabile nel consumo energetico prolungato. Una ricerca pubblicata sulla rivista Current Biology il 20 ottobre ha dimostrato che anche gli atleti di endurance d'élite non possono superare in modo continuativo un "tetto metabolico" equivalente a circa 2,5 volte il loro metabolismo basale (BMR). Lo studio, guidato dall'antropologo Andrew Best del Massachusetts College of Liberal Arts, sfida l'idea che l'essere umano possa sostenere livelli energetici estremi per periodi estesi e fornisce nuove chiavi di lettura sui meccanismi fisiologici che regolano la spesa calorica durante sforzi prolungati.

Il metabolismo basale rappresenta la quantità minima di energia necessaria all'organismo a riposo per mantenere le funzioni vitali. Ricerche precedenti avevano suggerito che in brevi periodi di attività intensa fosse possibile raggiungere picchi fino a 10 volte superiori al BMR, ma la domanda cruciale riguardava la sostenibilità di tali livelli nel lungo termine. Per rispondere a questo interrogativo, Best e il suo team hanno monitorato 14 ultra-corridori, ciclisti e triatleti durante competizioni e periodi di allenamento, utilizzando una tecnica sofisticata basata su isotopi stabili.

I partecipanti hanno consumato acqua arricchita con deuterio e ossigeno-18, forme leggermente più pesanti di idrogeno e ossigeno. Analizzando la velocità con cui questi isotopi venivano eliminati attraverso l'urina, i ricercatori hanno potuto calcolare la quantità di anidride carbonica espirata e, di conseguenza, stimare con precisione il dispendio calorico totale. Questa metodologia, nota come "acqua doppiamente marcata", rappresenta lo standard aureo per misurare il metabolismo energetico in condizioni di vita reale, al di fuori del laboratorio.

Durante eventi di endurance che si protraevano per più giorni, diversi atleti hanno raggiunto temporaneamente livelli di consumo energetico da sei a sette volte superiori al loro BMR, corrispondenti a circa 7.000-8.000 calorie giornaliere. Tuttavia, quando i ricercatori hanno calcolato la media del dispendio calorico su intervalli molto più lunghi, rispettivamente di 30 e 52 settimane, il consumo energetico è costantemente rientrato intorno al valore di 2,4 volte il BMR. Questo schema rivela che superare il tetto metabolico per brevi periodi è fisiologicamente possibile, ma mantenerlo nel tempo porta inevitabilmente a conseguenze negative.

"Se superi il tetto per brevi periodi, va bene. Puoi recuperare in seguito. Ma a lungo termine è insostenibile perché il corpo inizierà a demolire i propri tessuti e ti ridurrai fisicamente"

La spiegazione di questa limitazione risiede nei meccanismi di riequilibrio energetico che l'organismo attiva automaticamente. Durante gli sforzi estremi, il corpo umano redistribuisce l'energia disponibile, sottraendola inconsapevolmente ad altre funzioni. Come spiega Best, il cervello esercita un'influenza potente su quanto ci muoviamo spontaneamente, sulla nostra propensione all'irrequietezza fisica e persino sul desiderio di riposare. La sensazione di fatica che gli atleti sperimentano non è solo un segnale di affaticamento muscolare, ma rappresenta una strategia di conservazione energetica orchestrata dal sistema nervoso centrale.

Questa capacità di adattamento metabolico solleva interrogativi più ampi sulla fisiologia umana. Il tetto identificato non è solo una curiosità per chi pratica sport estremi, ma potrebbe avere implicazioni per comprendere come l'organismo gestisce le risorse energetiche in diverse situazioni, dalla gravidanza alle malattie che alterano il metabolismo. Tuttavia, i ricercatori sottolineano che i risultati riflettono le caratteristiche specifiche del gruppo di atleti studiato: non si può escludere l'esistenza di individui eccezionali capaci di superare questo limite, anche se non sono stati inclusi nella ricerca.

Per la maggior parte delle persone, raggiungere questo tetto metabolico rimane comunque un obiettivo irraggiungibile e probabilmente indesiderabile. Come precisa Best, occorrerebbe correre in media circa 18 chilometri al giorno per un anno intero per raggiungere 2,5 volte il metabolismo basale. Per individui non professionisti, gli infortuni muscolo-scheletrici rappresenterebbero un ostacolo molto prima che entrino in gioco limitazioni energetiche di questa portata.

Lo studio, finanziato dalla Duke University e da un Faculty Incentive Award del Massachusetts College of Liberal Arts, apre nuove prospettive di ricerca sulla fisiologia dell'esercizio estremo. Rimangono da chiarire i meccanismi molecolari e ormonali che impongono questo limite superiore e come fattori individuali come genetica, età e stato di allenamento possano modularlo. Comprendere questi aspetti potrebbe rivelarsi cruciale non solo per ottimizzare le prestazioni atletiche, ma anche per sviluppare strategie terapeutiche in condizioni patologiche caratterizzate da alterazioni del metabolismo energetico.

Fonte dell'articolo: www.sciencedaily.com

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