Il mondo si trova davanti a una realtà scomoda che emerge sempre più chiaramente dalle proiezioni climatiche: limitare il riscaldamento globale entro i 1,5°C richiederà la rimozione di centinaia di miliardi di tonnellate di anidride carbonica dall'atmosfera. Anche l'obiettivo meno ambizioso di contenere l'aumento delle temperature a 2°C appare ormai virtualmente irraggiungibile senza massicci interventi di cattura e stoccaggio del carbonio, da affiancare a drastici tagli alle emissioni. La comunità scientifica si trova così divisa tra chi considera queste tecnologie indispensabili per la sopravvivenza del pianeta e chi le giudica ancora troppo immature per essere considerate una soluzione affidabile.
La polarizzazione del dibattito scientifico
La controversia che circonda le tecnologie di gestione del carbonio riflette uno dei dilemmi più complessi della politica climatica contemporanea. Da un lato, il Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici ha dichiarato che una certa quantità di gestione del carbonio sarà "inevitabile" per raggiungere le emissioni nette zero necessarie a stabilizzare le temperature globali. Dall'altro, molti esperti temono che affidarsi a tecnologie non ancora dimostrate su larga scala possa fornire un pericoloso alibi per continuare a emettere come sempre.
"Esiste un dibattito tra scienziati secondo cui la rimozione del carbonio è allo stesso tempo essenziale e impossibile", spiega Candelaria Bergero dell'Università della California a Irvine. La ricercatrice evidenzia come alcuni sostengano che senza queste tecnologie siamo condannati, mentre altri avvertono che "stiamo scommettendo su una tecnologia quasi fantascientifica che pensiamo di avere, mettendo a rischio le generazioni future".
I numeri che spaventano: quanto carbonio dobbiamo rimuovere
Per comprendere meglio la portata della sfida, Bergero e il suo team hanno utilizzato un modello climatico semplificato per stimare le conseguenze del fallimento nella gestione della CO2 attraverso centinaia di scenari di emissioni diversi, tutti coerenti con l'Accordo di Parigi. L'analisi ha incluso sia tecnologie di rimozione diretta del carbonio dall'aria sia approcci basati sulla natura come la piantumazione di alberi, oltre a varie quantità di cattura e stoccaggio del carbonio applicate alle emissioni da centrali elettriche e altre fonti industriali.
I risultati dello studio sono allarmanti: l'incapacità di catturare o rimuovere qualsiasi quantità di CO2 aggiungerebbe circa 0,5°C alle temperature medie globali entro la fine del secolo. Anche il fallimento parziale, limitato alla metà della gestione del carbonio prevista negli scenari, comporterebbe un aumento di 0,28°C. Questo renderebbe praticamente impossibile limitare l'aumento della temperatura a 1,5°C, anche in uno scenario dove le temperature superano temporaneamente questa soglia per poi essere riportate sotto controllo.
L'alternativa impossibile: tagliare le emissioni del 16% all'anno
L'obiettivo di 2°C di riscaldamento potrebbe teoricamente rimanere raggiungibile senza alcuna gestione del carbonio, ma a un prezzo che appare proibitivo. I ricercatori hanno calcolato che sarebbe necessario implementare tagli alle emissioni estremamente ripidi, pari al 16% annuo dal 2015 al 2050. Una riduzione così rapida sembra improbabile, considerando che le emissioni globali sono aumentate nell'ultimo decennio, osserva Bergero.
La realtà attuale delle tecnologie di gestione del carbonio è ancora più scoraggiante. Steve Smith dell'Università di Oxford sottolinea che attualmente il mondo cattura e immagazzina appena 40 milioni di tonnellate di CO2 dalle fonti di emissione e ne rimuove circa 1 milione direttamente dall'aria ogni anno. Si tratta di cifre minuscole rispetto ai miliardi di tonnellate che sarebbero necessari secondo i modelli climatici.
Il gap tra promesse e azioni concrete
"Come per altre riduzioni delle emissioni, i paesi spesso parlano bene dei loro obiettivi a lungo termine, ma non mettono in atto le misure a breve termine per fornire effettivamente l'azione su scala multimiliardaria di tonnellate coinvolta in questi percorsi", conclude Smith. Questa osservazione mette in luce il divario crescente tra le ambizioni dichiarate e le politiche concrete necessarie per affrontare la crisi climatica, lasciando il mondo in una posizione sempre più precaria rispetto agli obiettivi di Parigi.