La materia oscura rappresenta circa l’80% della massa totale dell’universo, eppure rimane invisibile agli strumenti di rilevazione. Per anni gli scienziati hanno tentato di catturare i fotoni generati dalle sue interazioni con la materia ordinaria, senza risultati concreti. Finora gli esperimenti si sono concentrati su particelle con masse simili a quelle note, ma se fossero più leggere di un elettrone i rivelatori tradizionali a xenon liquido non riuscirebbero a individuarle. Questa limitazione ha lasciato inesplorata un’intera classe di candidati. I tentativi falliti, però, hanno permesso di restringere il campo di ricerca, escludendo interi intervalli di massa e interazione.
Una nuova generazione di sensori
Un team internazionale dell’Università di Zurigo, guidato da Laura Baudis, Titus Neupert, Björn Penning e Andreas Schilling, ha sviluppato una versione potenziata del rivelatore superconduttore di singoli fotoni a nanofili (SNSPD). Questo nuovo dispositivo ha raggiunto una sensibilità pari a un decimo della massa di un elettrone, un progresso tecnologico significativo.
Il principio è semplice: quando un fotone colpisce il nanofilo, lo riscalda leggermente facendo perdere la superconduttività per un istante. Il filo diventa un conduttore normale e la variazione di resistenza viene rilevata con estrema precisione.
Ottimizzazioni per la caccia cosmica
Per aumentare l’efficacia del dispositivo, i ricercatori hanno sostituito i nanofili con microfili superconduttori, ampliando la sezione del rivelatore e quindi la probabilità di catturare eventi. Inoltre, la geometria planare sottile conferisce al sistema sensibilità direzionale, caratteristica cruciale se si considera che la Terra attraversa un “vento” di particelle di materia oscura, la cui direzione cambia durante l’anno. Questa funzione aiuta a distinguere i segnali reali da quelli casuali.
Secondo Titus Neupert, ulteriori miglioramenti all’SNSPD potrebbero consentire di spingersi verso masse ancora più piccole. Il prossimo passo sarà installare i rivelatori in laboratori sotterranei, per ridurre al minimo l’interferenza da altre radiazioni. Scendere al di sotto della massa dell’elettrone significa confrontarsi con vincoli astrofisici e cosmologici più stringenti, ma questa tecnologia apre possibilità prima impensabili. Potrebbe essere il primo passo concreto verso la comprensione di uno dei misteri più profondi dell’universo.