I dati raccolti dai ricercatori dell'Università della California a Irvine mostrano una contraddizione che sfida la logica. Pur essendo diminuita del 26% la superficie mondiale bruciata tra il 2002 e il 2021, le persone esposte agli incendi sono aumentate del 40%. La causa principale va ricercata nella crescita demografica e nelle migrazioni verso aree ad alto rischio: in media 382.700 persone l’anno hanno vissuto in prossimità di focolai, per un totale di 7,7 milioni di individui in più rispetto al 2002.
L'Africa protagonista silenziosa
Congo, Sud Sudan, Mozambico, Zambia e Angola concentrano da soli il 50% dell’esposizione mondiale. In confronto, Stati Uniti, Europa e Australia insieme non superano il 2,5%. La sproporzione rivela quanto la narrativa occidentale distorca il fenomeno, ignorando che circa 440 milioni di persone – pari alla popolazione dell’UE – abbiano visto le fiamme minacciare direttamente la propria abitazione nel periodo analizzato.
Se l’Africa domina per numeri assoluti, le Americhe spiccano per l’intensificazione degli incendi. Il cambiamento climatico sta moltiplicando le condizioni di fire weather – alte temperature, bassa umidità e venti intensi – cresciute del 50% negli ultimi quattro decenni. In California la frequenza di eventi ad alto impatto è quadruplicata tra il 1990 e il 2022: qui si concentra il 72% dell’esposizione umana statunitense, pur rappresentando solo il 15% della superficie bruciata.
Europa e Oceania controtendenza
Non tutto il mondo segue però la stessa direzione. Europa e Oceania mostrano una tendenza opposta, con una diminuzione dell'esposizione agli incendi legata principalmente ai movimenti demografici dalle aree rurali verso i centri urbani. Questo fenomeno dimostra come fattori sociali ed ambientali si combinino nel determinare il livello di rischio per le popolazioni.
Lo studio evidenzia l’urgenza di sviluppare misure di mitigazione per proteggere le comunità più vulnerabili, spesso ignorate a livello internazionale. Le soluzioni vanno dalla gestione controllata della vegetazione all’educazione pubblica, fino a interventi ingegneristici contro gli incendi di origine umana. Come conclude AghaKouchak, “mentre il cambiamento climatico intensifica le condizioni favorevoli e le popolazioni crescono in zone ad alto rischio, la mitigazione proattiva sarà sempre più cruciale per ridurre i disastri futuri”.