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Un nuovo esperimento svela com’era l’universo primordiale

Il rivelatore sPHENIX di RHIC pubblica i primi risultati: misurazioni precise di densità energetica e numero di particelle da collisioni di ioni d'oro

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Avatar di Patrizio Coccia

a cura di Patrizio Coccia

Editor

Pubblicato il 19/07/2025 alle 09:03

La notizia in un minuto

  • Il rivelatore sPHENIX ha pubblicato i primi risultati scientifici dopo un decennio di sviluppo, dimostrando precisione senza precedenti nello studio del plasma di quark e gluoni che caratterizzava l'universo nei primissimi istanti dopo il Big Bang
  • Le misurazioni confermano che le collisioni più frontali tra ioni d'oro rilasciano circa 10 volte più energia rispetto a quelle periferiche, validando le capacità del nuovo strumento installato al Brookhaven National Laboratory
  • La tecnologia avanzata permetterà di utilizzare i getti di particelle come microscopio per esaminare la sottostruttura del plasma primordiale e scoprire se presenta irregolarità invece di essere uniforme come precedentemente ipotizzato
Riassunto generato con l'IA. Potrebbe non essere accurato.

La fisica delle alte energie ha ricevuto un’importante conferma sperimentale con i primi risultati del rivelatore sPHENIX, installato presso il Relativistic Heavy Ion Collider (RHIC) del Brookhaven National Laboratory. Dopo dieci anni di progettazione e costruzione, questo strumento ha superato con successo i test di calibrazione iniziale, dimostrando di essere pronto per esplorare uno dei fenomeni più estremi dell’universo primordiale. Le prime misurazioni riguardano le collisioni tra ioni d’oro accelerati quasi alla velocità della luce, ricreando condizioni simili a quelle presenti subito dopo il Big Bang.

La caccia al plasma di quark e gluoni

L'obiettivo principale di sPHENIX è studiare il plasma di quark e gluoni (QGP), uno stato della materia che caratterizzava l'universo appena qualche microsecondo dopo la sua nascita, circa 14 miliardi di anni fa. Questo plasma rappresenta una condizione estrema in cui le particelle fondamentali, normalmente confinate all'interno di protoni e neutroni, si trovano libere di muoversi in una sorta di "zuppa" primordiale ad altissima temperatura e densità.

Le collisioni studiate da sPHENIX ricreano artificialmente queste condizioni estreme, permettendo ai ricercatori di osservare migliaia di particelle che si sprigionano dall'impatto tra nuclei atomici. Come ha spiegato Jin Huang, fisico del Brookhaven Lab e co-portavoce della collaborazione sPHENIX: "Prima di addentrarci negli obiettivi fisici più profondi, dobbiamo verificare che il rivelatore funzioni correttamente e che le nostre calibrazioni siano accurate".

Tecnologia all'avanguardia per misurazioni precise

Il sistema di tracciamento di sPHENIX funziona come una gigantesca fotocamera tridimensionale, capace di ricostruire le traiettorie di particelle rare che si formano e decadono a distanze minuscole dal centro della collisione - appena pochi spessori di capello umano. Questa precisione è fondamentale per catturare segnali che altrimenti andrebbero perduti nel caos delle migliaia di particelle prodotte negli scontri più violenti.

L'apparato include anche una suite completa di calorimetri, dispositivi specializzati nella misurazione dell'energia delle particelle in fuga dalle collisioni. Un calorimetro elettromagnetico si occupa di elettroni e fotoni, mentre quello adronico - il primo a circondare completamente la zona centrale di collisione al RHIC - misura l'energia degli adroni, particelle composite formate da quark.

I dati mostrano che le collisioni più centrali rilasciano circa 10 volte più energia rispetto a quelle periferiche

Conferme sperimentali e nuove scoperte

I primi risultati, pubblicati su Physical Review C e Journal of High Energy Physics, hanno confermato un risultato atteso: più le collisioni sono centrali, maggiore è il numero di particelle cariche prodotte. In particolare, le collisioni frontali generano circa 10 volte più particelle rispetto a quelle periferiche. Questa evidenza, in linea con i dati ottenuti da altri rivelatori del RHIC, valida l’affidabilità di sPHENIX per analisi future più complesse.

Megan Connors, fisica della Georgia State University e co-portavoce di sPHENIX, ha sottolineato l’importanza di questa fase di avvio: “Confermare sperimentalmente che possiamo misurare con precisione il numero di particelle cariche è fondamentale per poter indagare il plasma di quark e gluoni in modo dettagliato, sfruttando le reali potenzialità del rivelatore”.

Verso una nuova comprensione della materia primordiale

La precisione di sPHENIX aprirà nuove prospettive di ricerca, consentendo di usare i getti di particelle come strumenti per studiare la struttura interna del plasma di quark e gluoni. Dennis Perepelitsa, fisico dell’Università del Colorado Boulder e coordinatore della fisica per la collaborazione, ha definito questa tecnica “un microscopio per osservare la sottostruttura del QGP”.

Le prossime analisi potrebbero suggerire che il plasma non è perfettamente omogeneo, ma presenta strutture interne irregolari – “come una zuppa con pezzi invece di una purea”, ha affermato Perepelitsa. Capire queste variazioni sarebbe utile per analizzare come i getti di particelle interagiscono con il plasma e perdono energia, un processo noto come jet quenching, che fornisce indizi preziosi sulla densità e la viscosità del QGP.

Il lavoro rappresenta il risultato degli sforzi di oltre 300 scienziati di sPHENIX, inclusi studenti e ricercatori post-doc provenienti da tutto il mondo, che hanno costruito e gestito il rivelatore, monitorato le sue prestazioni durante i turni sperimentali e condotto l'ampio lavoro di calibrazione e analisi dei dati. Questi primi risultati segnano l'inizio di un capitolo entusiasmante per l'esperimento sPHENIX e per la nostra comprensione dell'universo primordiale.

Fonte dell'articolo: phys.org

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