L'approccio strutturato alla prevenzione del declino cognitivo potrebbe rappresentare una svolta importante nella lotta alla demenza, secondo una nuova ricerca condotta su oltre duemila partecipanti. Il team guidato da Laura Baker della Wake Forest University School of Medicine, in Carolina del Nord, ha dimostrato che un programma organizzato con sessioni frequenti e supporto costante da parte di professionisti produce risultati migliori rispetto a un approccio più autonomo e flessibile. Un risultato che assume particolare rilievo se si considera che fino al 45% dei casi globali di demenza potrebbe essere prevenuto intervenendo su specifici fattori di rischio.
La selezione dei partecipanti ad alto rischio
Per lo studio US POINTER, i ricercatori hanno coinvolto oltre 2.100 persone tra i 60 e i 79 anni, tutte con uno stile di vita sedentario e un’alimentazione non ottimale. Ogni partecipante doveva inoltre presentare almeno due ulteriori criteri legati al rischio di demenza, come una storia familiare di disturbi della memoria o altri indicatori di vulnerabilità cognitiva. Questo ha permesso di concentrare lo studio su individui realmente esposti al rischio di declino cognitivo.
Il gruppo “strutturato” ha seguito un programma intensivo di 38 incontri in piccoli gruppi nell’arco di due anni, condotti da facilitatori specializzati. Ha svolto regolare attività fisica in centri comunitari, seguito una dieta specifica per la prevenzione della demenza e partecipato a sessioni settimanali di allenamento cerebrale online. Il gruppo “auto-guidato”, invece, ha ricevuto solo sei incontri biennali, materiali informativi di dominio pubblico e buoni regalo da 75 dollari per stimolare cambiamenti di abitudini.
Dopo due anni, entrambi i gruppi hanno mostrato miglioramenti nei test cognitivi su memoria, funzioni esecutive e velocità di elaborazione. Tuttavia, il gruppo strutturato ha registrato un incremento medio annuo di 0,24 deviazioni standard, contro lo 0,21 del gruppo auto-guidato: una differenza ridotta ma statisticamente significativa.
Il dibattito scientifico
Gill Livingston dell’University College London ha lodato i risultati del gruppo strutturato, ma ha evidenziato l’assenza di un gruppo di controllo senza alcun intervento, che avrebbe permesso una valutazione più precisa. Claudia Suemoto dell’Università di San Paolo ha sottolineato che la differenza rilevata difficilmente sarebbe percepibile nella vita quotidiana.
Baker, però, ribatte che la modellazione del declino atteso senza intervento mostra benefici reali: l’approccio strutturato rallenterebbe l’invecchiamento cognitivo di uno o quasi due anni. Riconosce tuttavia che l’effetto placebo legato alle aspettative potrebbe aver influito su entrambi i gruppi.
Prospettive e applicazioni pratiche
Il progetto continuerà per altri quattro anni, monitorando alcuni partecipanti fino a sei anni dall’inizio. L’obiettivo è verificare la sostenibilità dell’approccio strutturato al di fuori dei contesti sperimentali, puntando a un modello che possa essere adottato su larga scala. Vista l’elevata spesa per la cura della demenza, anche un piccolo rallentamento del declino cognitivo potrebbe generare risparmi significativi e migliorare la qualità della vita di milioni di persone.