Nelle profondità della regione di formazione stellare NGC 6357, a circa 53 quadrilioni di chilometri dalla Terra, è stato osservato un fenomeno che potrebbe cambiare il modo in cui immaginiamo la nascita dei pianeti. Un disco circumstellare ha mostrato una composizione chimica insolita: invece del vapore acqueo che di solito domina le zone interne dove si formano i pianeti rocciosi, è stata rilevata un’alta concentrazione di anidride carbonica. Una scoperta che apre scenari nuovi sulla varietà degli ambienti in cui possono nascere mondi lontani.
La chimica ribaltata dei dischi protoplanetari
In questo disco, l’acqua è talmente scarsa da risultare quasi invisibile, mentre l’anidride carbonica è molto più abbondante del previsto. Una situazione che contrasta con ciò che avviene nella maggior parte dei dischi di formazione planetaria, dove il vapore acqueo è la componente principale nelle regioni interne. Il risultato è sorprendente e mette in discussione le ipotesi classiche su come i pianeti prendano forma.
Secondo i modelli tradizionali, i frammenti ricchi di ghiaccio d’acqua migrano dalle zone più fredde verso quelle interne più calde. Qui il calore provoca la sublimazione dei ghiacci, creando nuvole di vapore acqueo nelle aree centrali del disco. È proprio lì che si formano pianeti simili alla Terra. Ma ciò che avviene in NGC 6357 dimostra che questo schema non è valido ovunque.
Radiazioni estreme che modellano mondi futuri
La spiegazione più probabile riguarda l’ambiente particolarmente ostile. NGC 6357 è una regione di intensa formazione stellare, continuamente bombardata da radiazioni ultraviolette provenienti dalla stella centrale o da quelle vicine. Queste radiazioni potrebbero aver modificato la chimica del disco, riducendo la presenza di acqua e favorendo quella di anidride carbonica. In pratica, le condizioni estreme stanno riscrivendo le regole della formazione planetaria.
Un aspetto affascinante riguarda la presenza di isotopi rari dell’anidride carbonica, arricchiti in carbonio-13 e ossigeno 17 e 18. Queste varianti, ben visibili nei dati, possono offrire indizi preziosi sulle anomalie isotopiche riscontrate nei meteoriti e nelle comete, resti della nascita del nostro Sistema Solare. Analizzare questi segnali permette di collegare ambienti estremi ai materiali che hanno contribuito a formare la Terra e i pianeti vicini.
Una finestra tecnologica senza precedenti
Tutto questo è stato possibile grazie allo strumento MIRI del James Webb Space Telescope, capace di osservare nell’infrarosso tra 5 e 28 micron. In questo modo riesce a penetrare attraverso la polvere che avvolge i dischi e a fornire dati di dettaglio mai raggiunti prima. Con l’aiuto di speciali coronografi progettati per lo studio degli esopianeti, gli astronomi possono analizzare la composizione chimica di sistemi lontani con una precisione inedita.
La scoperta dimostra che gli ambienti di formazione planetaria sono molto più vari e complessi di quanto si pensasse. Significa che l’universo potrebbe ospitare mondi con caratteristiche chimiche diverse da quelle terrestri, ampliando la nostra idea di cosa sia un pianeta abitabile e delle condizioni in cui la vita potrebbe nascere.