Android 12, Google spiega il funzionamento di Private Compute Core

Private Compute Core è una delle funzionalità innovative introdotte con Android 12. Ma di cosa si tratta nello specifico?

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a cura di Rossella Pastore

Tra le tante novità introdotte da Android 12 troviamo una serie di feature legate alla privacy più o meno inedite. La più importante riguarda l'introduzione degli indicatori per l'utilizzo di fotocamera e microfono, la cui presenza, in realtà, è ormai quasi scontata.

Più difficile spiegare l'utilità di Private Compute Core, una funzionalità che rimane un po' un mistero, dato anche il nome non particolarmente suggestivo. Gli stessi utenti di Android 12 non sanno dire di cosa si tratti nello specifico: ebbene, in questi giorni, Google stessa ha deciso di intervenire per fugare ogni dubbio.

Inizialmente si pensava che Private Compute Core fosse legata alla virtualizzazione, mentre invece – dicono da Google – si tratta di una sandbox innovativa che permette di eseguire app, processi e moduli di sistema in maniera isolata. La funzione in sé ha cambiato nome nel corso della beta di Android 12, passando da "Android System Intelligence" all'attuale "Private Compute Core".

In soldoni, Private Compute Core permette all'utente di proteggere i propri dati sensibili dall'attacco di software malevoli.

L'intervento completo della sviluppatrice di Google è disponibile qui sotto. Al suo interno, Dianne Hackborn chiarisce definitivamente che Private Compute Core non è correlato all'esecuzione di macchine virtuali, ma è semplicemente un sistema che aiuta a personalizzare l'esperienza d'uso dei Pixel (e non solo) conservando i dati inseriti nei moduli. In ogni caso, la conservazione è ultra-sicura, essendo il numero di autorizzazioni limitato ed essendo impedito l'accesso alla rete.

La Hackborn precisa inoltre che questa funzionalità non è un'esclusiva dei Pixel, ma è disponibile per tutti gli smartphone Android. Il commento in questione è stato pubblicato su XDA Developers quest'autunno e poi ripreso recentemente dall'editor e appassionato di tecnologia Mishaal Rahman. Potete leggere la versione completa riportata nel tweet di seguito:

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