Android e app gratis, la raccolta di dati personali è fuori controllo

Un'estesa analisi delle applicazioni presenti sul Play Store mostra quanti dati raccolgono e a chi li mandano

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Le applicazioni Android raccolgono e condividono dati personali senza che ne accorgiamo. E lo fanno praticamente tutte, come dimostra un recente studio realizzato presso l'Università di Oxford dal prof. Nigel Shadbolt e il suo team. È la ricerca più vasta mai realizzata sul tema, giacché prende in considerazione circa un milione di applicazioni gratuite presenti sul Play Store.

Emerge che le app installate sul nostro smartphone, quasi tutte, raccolgono informazioni come la posizione, il tempo che passiamo usando l'app, cosa compriamo, a volte il nome e molto altro. E non è solo l'app in sé a raccogliere i dati ma, più importante, sistemi traccianti (tracker) di terze parti. Uno dei punti sollevati dai ricercatori è che quando autorizziamo un'app, per esempio, a usare la posizione stiamo autorizzando anche un tracker di cui quasi certamente ignoriamo l'esistenza.

I tracker sono gestiti da un numero relativamente piccolo di società specializzate, che a loro volta rimandano a una quantità ancora più piccola di colossi digitali. La ricerca dimostra come esista un sistema di scatole cinesi, con aziende proprietarie di altre aziende, e i dati che vanno a finire sempre negli stessi posti (e nelle stesse mani). Scopriamo così che Alphabet (proprietaria di Google), Facebook, Twitter sono sul podio della raccolta dati da Android. Dietro a loro Verizon, Microsoft e Amazon.

In ogni applicazione ci può essere più di un tracker, e la ricerca mostra che quelle indirizzate ai bambini sono quelle che ne hanno di più. Emerge anche il fatto che il tracciamento va in diversi paesi del mondo, e a volte una stessa app spedisce informazioni a più di un destinatario. Il che è abbastanza normale, si tratta di servizi di cui si fa ordinaria compravendita.

Secondo Google questa ricerca è almeno in parte disinformazione, perché "altera il significato di funzioni ordinarie come il report sui crash o le analitiche, e come le applicazioni condividono i dati per fornire tali servizi", ha detto un portavoce dell'azienda. Il che probabilmente è vero, ma lo è anche il fatto che per la stragrande maggioranza delle persone è semplicemente impossibile avere controllo sui propri dati quando si usa uno smartphone e le app.

D'altra parte l'impossibilità del controllo è precisamente l'obiettivo di questi sistemi. La raccolta dati fa parte del marketing online: in un mondo in cui si monetizzano i secondi di attenzione, vince la partita chi riesce a vendere qualcosa senza dilapidare un patrimonio in pubblicità inutili. E se ci offrissero davvero la possibilità di bloccare i dati molti lo farebbero, rompendo il sistema una volta per tutti. Meglio far in modo che sia impossibile, per amore di business.

E allora, come si è detto molte volte, se non lo stai pagando il prodotto sei tu. Il senso di questo motto è che usando servizi gratis forniamo dati, che poi vengono elaborati e venduti. In linea di principio nessuno viene profilato in modo personale e univoco (ma sarebbe tecnicamente possibile); resta il fatto che il ritratto digitale del consumatore diventa un prodotto da vendere e comprare.

È una scandalosa violazione? Oppure un prezzo accettabile per avere tante belle cose senza pagarle in denaro vero e proprio?