Apple produce in Cina perché costa meno, ed è complice

Un secondo reportage del New York Times completa l'indagine sul perché i grandi della tecnologia producono in paesi in via di sviluppo. Restano i vantaggi strategici, ma la chiave sono condizioni di lavoro impossibili in Occidente. Chi ha il potere di cambiare questa realtà?

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Apple produce in Cina perché solo lì può trovare vantaggi strategici che le permettono di mantenere la propria posizione, ma il prezzo da pagare sono milioni di persone sfruttate. Questo il corollario all'analisi pubblicata un paio di giorni fa sul perché la produzione tecnologica sia principalmente in Cina.

L'idea alla base del reportage, pubblicato dal New York Times, era che le attività produttive sono in Cina perché solo lì si può accedere a vantaggi strategici determinanti, e che i bassi salari e il trattamento dei lavoratori sono un aspetto secondario. Le cose però sono un po' più complesse di così, e i cronisti statunitensi sono tornati sull'argomento per chiarire alcuni dettagli. 

È infatti ancora Charles Duhigg, questa volta insieme a David Barboza a raccontare la stessa storia, ma stavolta guardando più da vicino ai costi umani. Turni di 12 ore, regole militari, dormitori simili a caserme, corpi affranti per le troppe ore passate in piedi, e cartelli nei reparti che recitano "Lavora duro oggi sui tuoi compiti, o lavora duro domani per trovare un altro impiego". Il tutto per 22 dollari al giorno, che comunque è più di quanto guadagni la maggior parte dei cinesi che fanno qualcos'altro.

I reporter del NYT hanno indagato sulla fabbrica Foxconn di Chengdu, dove secondo le stime si produce  circa il 40% dell'elettronica di consumo di tutto il mondo. Nel loro racconto si legge di luci accecanti, produzione 24 ore al giorno, sedie senza schienale, più di 60 ore lavorative settimanali (in violazione delle leggi cinesi e delle norme Apple), confessioni scritte obbligatorie per chi arriva in ritardo, e risse nei dormitori.

"Ad Apple non è mai importato nulla se non la qualità dei prodotti o la riduzione dei costi di produzione", racconta Li Mingqi, un ex lavoratore Foxconn. "Il benessere dei lavoratori non ha nulla a che vedere con i loro interessi". Con buona pace di chi aveva creduto a Steve Jobs quando nel 2010 descrisse queste fabbriche come una sorta di miracolo del benessere.

Apple ci prova davvero, o è tutta scena?

"Siamo a conoscenza di abusi da quattro anni, e succede ancora", racconta un ex dirigente Apple che ha richiesto l'anonimato. "Perché? Perché il sistema funziona per noi. I fornitori cambierebbero domani se Apple dicesse loro che non hanno altra scelta. Se metà degli iPhone non funzionasse, crede che Apple lo accetterebbe per quattro anni?", conclude. Apple non lo fa per una semplice ragione: aumenterebbero i costi di produzione.

A rendere tutto più preoccupante è che si prendono sempre a esempio Apple e Foxconn, probabilmente per la grande visibilità dell'azienda guidata da Tim Cook, ma sicuramente ci sono situazioni anche molto peggiori, meno illuminate dai riflettori.