Google Assistant: diffuse erroneamente più di 1000 conversazioni private

Google si avvale di esperti linguistici che possono ascoltare parti di conversazioni per migliorare le performance di Google Assistant. Un revisore olandese ha diffuso più di 1000 registrazioni.

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a cura di Lucia Massaro

Google si avvale di collaboratori esterni in qualità di esperti linguistici per migliorare le performance di Google Assistant, concedendo loro di ascoltare i file audio registrati dai dispositivi dotati dell’assistente virtuale. Tutto ciò dovrebbe avvenire nel pieno rispetto della privacy e della sicurezza degli utenti. L’emittente belga VRT News ha pubblicato però un report in cui dichiara di essere in possesso di oltre 1000 registrazioni di utenti, di cui 153 non avrebbero mai dovuto essere registrate in quanto il comando “Ok Google” non sarebbe mai stato chiaramente dato.

L’emittente, inoltre, sarebbe riuscita a risalire all’identità delle persone a cui appartenevano le registrazioni mettendo insieme alcune informazioni. Google, però, sostiene che gli script inviati a revisori sono privi di qualsiasi informazione personale o dato che permetta l’identificazione dell’utente. In un post sul blog ufficiale, la compagnia ha ufficialmente dichiarato che “uno di questi revisori linguistici ha violato le norme sulla sicurezza dei dati facendo filtrare dati audio olandesi riservati” e di avere avviato un’indagine per poter prendere i giusti provvedimenti.

Riguardo ai processi adottati per migliorare la comprensione dell’assistente verso alcune richieste degli utenti, il colosso di Mountain View sottolinea che vengono applicate una serie di azioni per tutelare la privacy durante il processo di revisione, come appunto l’eliminazione dei dati sensibili. “Gli esperti linguistici riesaminano solo lo 0,2% di tutti i frammenti audio. Gli snippet audio non sono associati agli account utente come parte del processo di revisione e i revisori non sono tenuti a trascrivere conversazioni in background o altri rumori e solo a trascrivere snippet indirizzati a Google”.

Google Assistant dovrebbe inviare l’audio solo quando riconosce che l’utente sta cercando di interagire tramite – per esempio – il comando “Ok Google”. A quanto pare, però, una parte delle registrazioni diffuse sono state registrate in seguito a quelli che potremmo definire “falsi comandi”, ossia dopo che sono state pronunciate frasi simili al comando o quando si è premuto involontariamente il tasto per attivarlo presente sugli smartphone.

Ancora una volta l’utilizzo degli smart speaker e degli assistenti virtuali solleva preoccupazioni sul tema della privacy degli utenti. Il caso Google è simile a quello di Amazon Alexa, risalente ad aprile scorso quando alcuni ex dipendenti di Amazon hanno dichiarato a Bloomberg che ci sono team che esaminano le conversazioni rilevate dagli smart speaker per migliorarne le capacità.

D’altronde queste tecnologie si basano sull’interazione con l’umano e hanno bisogno di essere allenate per una maggiore e più completa comprensione. Il punto centrale è che – spesso – gli utenti non vengono informati su ciò che succede con ciò che viene detto durante l’interazione. Basterebbe informare gli utenti e utilizzare solo le conversazioni di coloro che ne danno esplicito consenso.

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