Google: siamo più interessati ai reali bisogni dei clienti che ai benchmark

Una portavoce di Google afferma che i benchmark non sono più importanti come una volta per stabilire il reale valore di uno smartphone.

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a cura di Silvio Colombini

Benchmark: gioia e dolori di tutti i produttori di oggetti tecnologici. In un mondo dove le performance sono tutto, i test possono decretare fine o successo di un prodotto.

Non tutti sembrano però pensarla così; se poi stiamo parlando dello smartphone Google Tensor G2, ultimo arrivato in casa Google, c’è anche chi si spinge a dire che siano uno strumento verso cui non ha alcun interesse.

Ad esprimersi in tal senso è stata una figura di rilievo della casa di Mountain View: parliamo di Monika Gupta, direttrice senior della gestione dei prodotti per Google Silicon, che ha rilasciato dichiarazioni decisamente controcorrente al riguardo:

"Ritengo che i benchmark abbiano avuto uno scopo in un determinato momento, ma da allora il settore si è evoluto. Google sta cercando di spingere sulle innovazioni dell'IA in uno smartphone, perché riteniamo che sarà questo a fornire esperienze utili, mentre i benchmark classici sono stati creati in un'epoca in cui l'IA e i telefoni non esistevano nemmeno. Possono solo raccontare una parte della storia, non tutta la storia".

Gupta ci ha tenuto a rimarcare come il suo approccio non si basi sull’oggi ma bensì sul futuro:

"Non prendo decisioni in base all’attuale situazione del machine learning e posso dirlo perché lavoro in Google. Lo stesso vale per il software che il nostro team software sta sviluppando. So dove il team del software vuole portare le esperienze degli utenti tra cinque anni".

Tornando ai benchmark, Google si dice perfettamente a suo agio con l’idea di non risultare tra i primi della classe: la sua priorità sono invece le esperienze che gli utenti trarranno dalle decisioni prese sul lavoro fatto sui chip.

Già un anno fa Gupta aveva chiaramente indicato che per l’azienda e per la famiglia Tensor il vero punto d’interesse fosse l’Ambient computing:

"[...] Ambient computing significa che la tecnologia ti semplifica la vita. Penso che abbiamo molte prove di ciò di cui abbiamo parlato oggi, sia che semplifichi la fotografia, sia che effettui telefonate e come usi il telefono, come le tue attività quotidiane, più facili. Direi che ci basiamo su quella visione dell'informatica ambientale e scopriamo come fare cose super complesse e sfumate nel chip in un modo efficiente dal punto di vista energetico che sbloccherà alcune di quelle esperienze di elaborazione ambientale".

Queste affermazioni , forse proprio per chi le sta facendo, potrebbero lasciare un po’ dubbiosi, ma, nemmeno a farlo apposta, a sostegno di quanto detto da Monika Gupta intervengono le conclusioni tratte dal nostro Luca Zaninello nella sua analisi di Google Tensor G2 che ha rilevato come “Uno degli aspetti fondamentali da considerare quando si valuta un SoC, soprattutto in ambito mobile dove l’autonomia del dispositivo in cui il chip è inserito è importantissima, è l’efficienza energetica. [...] L’obiettivo di Google è quello di migliorare la vita degli utenti utilizzando una più intelligente ottimizzazione di hardware e software. Di conseguenza, nella progettazione del proprio chip, ha dato priorità ad aspetti come TPU, decodifica hardware ed ISP che per la maggior parte degli utenti non-gamer si rivelano molto più importanti ogni giorno. [...] Come molti altri player del settore, Google preferisce spostare la propria attenzione verso aree che possono portare veri benefici tangibili agli utenti."

Insomma, forse tra non molti anni potremmo vivere in un mondo dove non sarà la velocità a definire il "valore" di uno smartphone, ma il modo in cui sarà in grado di semplificarci (ulteriormente) la vita, magari facendolo nel rispetto dell'ambiente.