iPhone 5, smartphone etico che tutela i lavoratori cinesi?

Il prossimo iPhone dovrà essere etico, Apple dovrà rivedere il modo in cui i suoi fornitori trattano i propri lavoratori. Questo è in sintesi il contenuto della petizione promossa da SumOfUs, che nelle prime 24 ore è già stata sottoscritta da oltre 35mila persone.

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a cura di Roberto Buonanno

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L'iPhone 5 dovrà essere il primo iPhone "etico". Lo stanno chiedendo le oltre 35mila persone che hanno già  sottoscritto una petizione voluta dal gruppo SumOfUs, sceso in campo contro il colosso di Cupertino in seguito agli articoli al vetriolo pubblicati dal New York Times nei giorni scorsi (Perché Apple progetta in California e produce in Cina? e Apple produce in Cina perché costa meno, ed è complice).

L'iPhone 5 dovrà essere etico, costruito senza sfruttare i lavoratori cinesi

La richiesta è semplice a dirsi: Apple deve "rivedere il modo in cui i suoi fornitori trattano i propri lavoratori". Sulla fattibilità della cosa SumOfUs taglia corto: "Apple è la più ricca azienda del mondo, siede su 100 miliardi di dollari. Secondo il dirigente anonimo citato negli articoli del New York Times, basta che Apple faccia la richiesta e sarà esaudita" perché "i fornitori cambierebbero tutto domani se Apple dicesse loro che non hanno altra scelta".

Il testo della petizione è una sintesi di alcuni fra gli aspetti più crudi e cinici portati alla luce dai giornalisti del quotidiano newyorkese, in cui compare in tutta la sua disumanità la condizione dei lavoratori cinesi.

Le linee di produzione

Vi si legge, per esempio, che "dall'altra parte del mondo, anche una giovane ragazza sta passando le mani sugli stessi schermi Apple che abbiamo in occidente. Però lei lo fa con decine di migliaia di display ogni giorno, durante i suoi turni di 12 ore, sei giorni alla settimana. Trascorre quelle ore inalando una neurotossina potente usata per pulire vetri degli iPhone, perché si asciuga in qualche secondo in meno rispetto un'alternativa sicura. Fra pochi anni sarà licenziata perché il danno neurologico della sostanza tossica e le lesioni da stress ripetitivo per i polsi e le mani la renderanno incapace di continuare a svolgere il suo lavoro come richiesto".

Davanti a questa crudezza i promotori della petizione ripudiano la risposta di Tim Cook (Apple risponde sulle fabbriche in Cina: non siamo dei mostri) scrivendo che "Se Tim Cook è molto offeso da queste accuse, perché non sta facendo nulla per risolvere i problemi? Questa è la catena di fornitura che ha impostato come numero uno di Apple, è ora che inizi a prendersi le sue responsabilità, invece di incolpare chi mette in luce i fatti".

Secondo SumOfUs Cook non fa nulla per risolvere i problemi

Per noi che abbiamo seguito la vicenda fin dall'inizio, tuttavia, è chiaro anche il rovescio della medaglia, che non è la nostra opinione personale ma quello che è emerso dalle risposte dei lettori cinesi del NYT alle accuse mosse contro Apple. È vero che tutto questo accade, ma è altrettanto vero che Apple è un'azienda presa a esempio perché è più in vista. Come sottolinea un commento giunto al quotidiano statunitense, "criticare solo Apple e Foxconn è semplificare. Altre aziende come HTC, Lenovo, HP, Sony e i loro OEM, come Wistron, Quanta e Inventec sono nella stessa situazione. I lavoratori degli OEM più piccoli sono in situazioni ancora peggiori".

Questo non giustifica Apple, non la scagiona dalle accuse e non costituisce in ultima battuta un'attenuante per il suo tacito assenso, nonostante un altro lettore cinese abbia tenuto a precisare che "questo è un problema universale, non solo di Apple. Apple non può gestire i propri fornitori e portarli a rispettare la responsabilità sociale. Questo è fuori dal controllo di Apple".

Per questo i numerosi lettori che nelle scorse settimane ci hanno chiesto e si sono chiesti cosa possono fare per cercare di migliorare le condizioni di lavoro dei fornitori cinesi forse troveranno una risposta nella petizione di SumOfUs, senza dover rinunciare allo smartphone nuovo, perché quello sì che sarebbe un obiettivo difficile da raggiungere.