Le fabbriche di iPhone e Mac sono inferni per chi ci lavora

L'ultimo rapporto dell'associazione China Labor Watch mette in evidenza come i fornitori di Apple siano dei pessimi esempi per quanto riguarda le condizioni di lavoro e la sicurezza. Foxconn è solo la punta di un terribile iceberg.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Secondo China Labor Watch la produzione Apple è ancora marchiata da pesanti violazioni dei diritti dei lavoratori. Succede nei noti stabiimenti Foxconn dove si producono iPhone e altri prodotti dei colossi IT, che risultano essere degli inferni (almeno secondo gli standard occidentali), nonostante rappresentino la "punta di diamante" quanto a trattamento dei lavoratori.

Se però si guarda agli altri fornitori Apple le cose stanno ancora peggio, come risulta dall'ultimo rapporto pubblicato (PDF) dall'associazione newyorkese che da anni si occupa di monitorare le condizioni di lavoro nel paese asiatico.

Le cose vanno male nonostante pochi mesi fa le ispezioni della Fair Labor Association avessero evidenziato diverse criticità che tanto Apple quanto Foxconn si erano impegnate a risolvere. E nelle altre fabbriche che lavorano con Apple le violazioni sono anche peggiori quanto a salari troppo bassi, eccesso di straordinari (fino a 130 ore al mese quando il massimo legale è 36), esposizione a materiali tossici, frequenza degli incidenti e anche suicidi.

Particelle metalliche sul viso dei lavoratori

L'indagine di China Labor Watch ha infatti preso in considerazione altri 10 stabilimenti dove si assemblano i prodotti Apple. Tra i molti problemi rilevati quello peggiore sembra essere l'uso massiccio di società intermediarie per l'assunzione dei lavoratori (come da noi in Italia insomma, con le false cooperative). È un modo per rispettare ancora meno vincoli, e prevenire la formazione di associazioni sindacali – pure debolissime in Cina. Un argomento che, inoltre, Apple non sembra prendere in considerazione nel proprio rapporto sulla responsabilità sociale: come se questi lavoratori nemmeno esistessero.

Insomma i gadget più famosi del mondo diventano ancora una volta il simbolo dello sfruttamento dei lavoratori, e di ciò che negli ultimi vent'anni ha spinto tante aziende occidentali a portare la propria produzione in Cina o altrove in Asia. Senza dimenticare che la situazione non riguarda solo Apple, ma praticamente ogni azienda che produce dispositivi elettronici, e non solo.

La situazione in ogni caso si sta evolvendo. Economisti e storici s'interrogano su un fenomeno che da una parte è la replica di ciò che si è visto in Europa alla fine del XVIII secolo, e dall'altra un'inedita novità nata in seno a un'economia globale sviluppatasi negli ultimi 30 anni. E mentre gli esperti cercano di definirlo, questo fenomeno sta già cambiando. In alcuni paesi Occidentali si sta ritornando a produrre in casa, complice l'aumento dei costi tanto del lavoro quanto dei trasporti. E in altri, come la Cina stessa, si sta già facendo outsourcing produttivo verso le zone più povere del mondo come il Sud-est asiatico e l'Africa. Una questione complessa, su cui tutti hanno diritto d'opinione.

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Vale anche la pena di segnalare che China Labor Watch ha avuto serie difficoltà nello svolgere la propria indagine, tra gennaio e aprile di quest'anno.

"All'inizio speravamo di usare questionari per i lavoratori. Dopo aver esaminato con successo quattro fabbriche tuttavia siamo stati ostacolati nelle province di Shanghai e Jiangsu. A Shanghai i gestori della fabbrica sono venuti a sapere della nostra indagine e hanno informato la polizia locale, che ha confiscato i documenti e messo in fermo il nostro personale per sette ore. […]. Abbiamo mandato una seconda squadra a finire il lavoro. Alcuni dei nostri investigatori sono riusciti a entrare nelle fabbriche come lavoratori in incognito, mentre altri hanno intervistato i lavoratori all'esterno", si legge infatti nella parte introduttiva del documento.

Alcune delle informazioni rilevate dall'indagine - Clicca per ingrandire

L'associazione crede in ogni caso che Apple sia ben consapevole dei problemi evidenziati. "La vera domanda è se vogliono o meno fare i passi necessari per avviare il cambiamento", perché dopotutto "Apple è responsabile dei problemi esistenti nelle fabbriche dei propri fornitori. Ciò che importa sono i risultati ottenuti nel migliorare le condizioni di lavoro, non le affermazioni su ciò che stanno facendo".

Il rapporto si conclude con una lettera diretta a  Tim Cook da parte di Li Qiang, che apprezza le iniziative intraprese finora ed evidenzia i problemi emersi con le indagini. E propone anche una semplice soluzione:

"CLW sostiene gli obiettivi di Apple nello sviluppare un sistema efficace per rispondere alle critiche e far sì che i fornitori rispettino le regole. Questi obiettivi si possono raggiungere facilmente se Apple condivide una piccola parte dei propri enormi profitti con loro (i fornitori, NdR); questi fondi si possono vincolare al miglioramento delle condizioni di lavoro di coloro che fanno i prodotti Apple", conclude il testo.

Il messaggio è in sostanza "meno chiacchiere e più fatti", e seguire l'unica strada davvero percorribile: Apple deve mettere mano al borsello e finanziare il cambiamento.

Si capisce facilmente che tale scelta potrebbe finire per influenzare il prezzo finale dei prodotti, quasi certamente. Difficile prendere le misure però. Un buon esempio potrebbe forse essere il Nexus Q, un dispositivo domestico multimediale non particolarmente complesso ma fatto completamente negli Stati Uniti, e che costa la bellezza di 300 dollari. Forse è questo il prezzo dell'etica: siete disposti a pagarlo?