Samsung accusata in Australia di pubblicità ingannevole sui dispositivi Galaxy

Samsung accusata dalla Commissione australiana per la concorrenza e il consumo per pubblicità ingannevole a proposito della resistenza all'acqua dei suoi smartphone.

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a cura di Lucia Massaro

La Commissione australiana per la concorrenza e il consumo (ACCC) ha citato in giudizio Samsung accusandola di aver ingannato i consumatori in merito alla resistenza all’acqua dei suoi smartphone Galaxy. Secondo l’ACCC, il produttore sudcoreano “ha ampiamente fatto pubblicità sui social media, online, TV, cartelloni pubblicitari, brochure e altri media sulla resistenza all'acqua dei dispositivi Galaxy” raffigurandoli in varie situazioni, tra cui oceani e piscine.

I dispositivi, in realtà, non sarebbero adatti all'immersione in acqua salata o nelle piscine. Per l’accusa, questa pubblicità ingannevole avrebbe procurato un ingiusto vantaggio competitivo a Samsung “negando ai consumatori una scelta informata”. L’ACCC sostiene, inoltre, che alcuni smartphone abbiano subito danni dopo essere stati esposti all'acqua e che i consumatori non abbiano ottenuto il risarcimento nonostante Samsung abbia dichiarato di ottemperare a tutti gli obblighi di garanzia previsti dalla legge australiana.

Ad avvallare la tesi della Commissione ci sarebbero i consigli del team del produttore di Seul che avrebbero raccomandato agli utenti di evitare l’utilizzo in spiaggia o in piscina mostrando – dunque – consapevolezza che ciò potesse causare danni e che i dispositivi non fossero resistenti ad alcune situazioni pubblicizzate. È doveroso sottolineare che l’ACCC non sta affermando che i dispositivi Galaxy non sono impermeabili, ma semplicemente che non lo sono in alcuni casi pubblicizzati da Samsung. Ricordiamo, infatti, che molti dei dispositivi del marchio sudcoreano sono in grado di resistere all'acqua a diversi livelli a seconda della loro classificazione IP.

Le violazioni alla legge si sarebbero verificate in oltre 300 spot pubblicitari su varie piattaforme a partire dal 2016 con ogni violazione punibile con una multa che può raggiungere 10 milioni di dollari oppure fino al 10% del fatturato. Samsung sostiene di aver operato seguendo la legge australiana e che difenderà il caso davanti alla Corte Federale australiana.

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