UE, 130 pagine che inchiodano Apple ma l'Irlanda reagisce

Nel giorno in cui l'esecutivo comunitario ha pubblicato le proprie motivazioni, sia Apple che il governo di Dublino hanno reso noti i motivi dei propri ricorsi.

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a cura di Alessandro Crea

Apple e il governo irlandese proprio non ci stanno: la stangata comminata dall'Unione Europea proprio non gli va giù e, nel giorno in cui quest'ultima ha diffuso un documento di 130 pagine in cui spiega i motivi della propria decisione, Apple e il governo di Dublino sono subito passati alla controffensiva, spiegando la propria versione dei fatti e annunciando i rispettivi ricorsi.

Sostanzialmente la commissione sostiene che l'Irlanda abbia garantito a Apple benefici fiscali illegali secondo la normativa sugli aiuti di stato, consentendo all'azienda di Cupertino di risparmiare tantissimo sulle tasse effettivamente dovute.

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A Bruxelles hanno dunque messo nel mirino delle proprie indagini soprattutto il meccanismo che Apple e Dublino avrebbero messo in campo per arrivare a questo risultato. Secondo le indagini infatti i profitti derivanti dalle vendite e dai diritti in Europa, Medio Oriente, Africa e India facevano capo a due società di diritto irlandese appartenenti al gruppo Apple (Apple Sales International e Apple Operations Europe).

Tuttavia, a seguito di due accordi fiscali stipulati rispettivamente nel 1991 e nel 2007 solo una piccola parte di questi utili veniva tassata con la già favorevole corporate tax irlandese (12,5%), mentre la quasi totalità veniva attribuita a un ufficio centrale che, secondo la Commissione, sarebbe stato privo di una sede reale e di dipendenti, e la cui attività si limitava ad alcune rarissime riunioni del consiglio di amministrazione. In questo modo, secondo i calcoli dell'Antitrust comunitario, nel 2014 a Cupertino sarebbero riusciti a pagare appena lo 0,005% effettivo sugli utili di Apple Sales International.

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Margrethe Vestager, commissario alla Concorrenza della Commissione europea

Da parte propria Apple puntualizza invece che la Commissione sbaglia a ritenere che l'ufficio centrale delle due filiali irlandesi sia una mera facciata e non giustifichi dunque i profitti attribuitigli e spiega che una holding può essere pienamente operativa anche senza dipendenti a libro paga, in quanto gestita direttamente dai dipendenti della società madre. Il chief financial officer Apple, Luca Maestri, ha inoltre aggiunto che sarebbe assurdo ritenere che si debba attribuire tutto l'imponibile generato da Apple fuori dagli Stati Uniti al quartier generale di Cork, "che non ha attività ingegneristiche né genera diritti di proprietà intellettuale". Secondo questa posizione dunque Apple avrebbe stornato legittimamente la gran parte degli utili, in quanto derivanti da diritti di proprietà intellettuale che fanno capo ad Apple Inc, la società madre statunitense e dunque non tassabili in Irlanda.

Se Apple ha risposto alle accuse per quanto concerne la propria organizzazione societaria, il governo irlandese è passato al contrattacco difendendo invece i propri accordi. Sostanzialmente la posizione di Dublino riecheggia accuse già arrivate alla UE dagli Stati Uniti ed afferma che la Commissione sarebbe andata oltre i propri poteri, interferendo con la sovranità nazionale in materia fiscale. A Dublino infatti l'interesse primario è non recuperare i presunti 13 miliardi di euro di tasse evase. La posizione potrebbe sembrare irragionevole ma si basa su una semplice considerazione: vale la pena trarre un vantaggio nel breve termine dall'incassare le somme dovute se poi, sulla lunga distanza, questa mossa andrebbe a indebolire l'attrattività dell'Irlanda nei confronti delle multinazionali straniere che, trasferendo lì le proprie basi europee, generano posti di lavoro e introiti ben superiori?

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La questione resta dunque aperta e bisognerà attendere gli sviluppi dei ricorsi per capire come si evolverà l'intera vicenda che comunque vede ancora una volta contrapporsi interessi locali e direttive comunitarie.