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Ancestors: The Humankind Odyssey Recensione, i primi passi dell'uomo contro l'ignoto

Ancestors: The Humankind Odyssey è l’ultimo, ambizioso progetto di  Patrice Désilets, game designer noto per il primo Assassin’s Creed e per 1666 Amsterdam.

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a cura di Lorenzo Quadrini

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In sintesi

Ancestors: The Humankind Odyssey è l’ultimo, ambizioso progetto di  Patrice Désilets, game designer noto principalmente per il primo Assassin’s Creed e per 1666 Amsterdam.

Ancestors: The Humankind Odyssey è l’ultimo, ambizioso progetto di Patrice Désilets, game designer noto principalmente per il primo Assassin’s Creed e per 1666 Amsterdam. Si tratta, insomma, di un autore di caratura internazionale, sebbene forse più concentrato sull’elemento narrativo che pratico dell’opera (ed in tal senso il primo Assassin’s Creed è un esempio palese, avendo dato il via ad una delle serie più famose di sempre, ma presentando alcuni elementi di gioco di grande ripetitività).

Un viaggio verso la scoperta

Ho approcciato il titolo con grandissimo entusiasmo, dovuto soprattutto al diffuso vociare che vedeva Ancestors come erede spirituale di Spore. Spore fu per il sottoscritto un’idea esplosiva, una rottura sistemica, purtroppo funestata da problemi di sviluppo e continui rimaneggiamenti, che portarono ad un gioco monco rispetto alle aspettative. A questo punto, però, è bene mettere subito in chiaro che le voci di corridoio si sono rivelate infondate, visto che Ancestors non si pone affatto come discendente dell’ultimo videogioco di Will Wright. Il gioco è, al contrario, un vero e proprio survival, integrato da alcuni elementi sociali e interattivi, che si concentra (ed ecco l’unico vero punto di intersezione) sul tema dell’evoluzione.

Come da titolo, il videogame offre uno spaccato interattivo della storia della nascita dell’Uomo. In tal senso, quindi, c’è ben poca “fantasia” nella proposta narrativa, che si basa esclusivamente sui nostri antenati Sahelanthropus tchadensis, alcuni dei primi ominidi della storia (sebbene si tratti di una questione ancora aperta in campo accademico). Attraverso la ripetizione e la scoperta il giocatore è chiamato a gestire un clan di primati, facendolo evolvere e crescere con l’obiettivo di raggiungere lo status di umano (voglio evitare ulteriori spoiler, essendo il senso di sconosciuto parte integrante delle meccaniche di gioco).

A detta di Désilets la sfida consisterebbe nel “battere” i tempi di evoluzione reali, cercando di arrivare alla conclusione prima di quanto non sia stato effettivamente fatto nella storia. Un obiettivo che, francamente, ho messo da parte già dopo poche ore, complice un gameplay sì interessante, ma che non offre molte strade alternative per la velocizzazione del risultato. Narrativamente, in conclusione, il prodotto si tiene semplice, lasciando al fruitore il compito di leggere tra le righe, interpretare e riflettere sul mistero dell’evoluzione, sul grande miracolo che è il cervello umano e lo sviluppo di quell’intelligenza che ci distingue dalle bestie (pur se non sempre, mi sia concesso).

Survival come mezzo, non come fine

Il nocciolo del videogioco è, quindi, l’esperienza survival, felicemente rivisitata nell’ottica di un percorso evolutivo su più step, all’interno del quale il giocatore è chiamato a muoversi gestendo un gruppo di ominidi. In realtà c’è ben poco di gestionale: l’importante è trovare un buon rifugio, mantenere in buona salute tutti i simpatici primati e procreare il più possibile. Il clan, infatti, rappresenta il nucleo sociale del gioco, ma anche la durata dello stesso: quando non rimangono più esemplari in vita scatta il game over. A questo si aggiunge la gestione evolutiva della specie, basata su un classico albero delle abilità che si espande con l’accumularsi delle azioni di gioco.

Ed è proprio in questo momento della mia esperienza che ho definitivamente stabilito la lontananza tra Spore e Ancestors. Al contrario dell’ambiziosissimo titolo di Wright, in Ancestors l’evoluzione dei primati rappresenta solo di facciata un approccio modulare - cosa invece ben presente in Spore, dove ogni scelta portava a risultati diversi - essendo in concreto un semplice pretesto per un sistema di gameplay progressivo. Con l’accumularsi delle esperienze di gioco, quindi, sbloccheremo capacità motorie migliori (come il poter lasciare gli oggetti mentre si cammina o l’utilizzare entrambe le mani), una maggiore consapevolezza sensoriale e un migliore metabolismo.

A questa microgestione delle skill si affianca il processo di avanzamento dell’età, che fa scorrere il tempo di gioco di 15 anni, trasformando i cuccioli in adulti, gli adulti in anziani e gli anziani in defunti. Infine il processo evolutivo vero e proprio, con il quale avanzare verso una nuova specie e confrontare i propri tempi con quelli storici. Un sistema bifasico che si sposa alla perfezione con il concetto di gioco, ma molto meno con il gameplay vero e proprio. La giocata si fonda in toto sull’esplorazione, in senso più alto su quella curiositas che secondo le più disparate correnti di pensiero ha sempre caratterizzato l’umanità quale specie intellettivamente superiore. In tal senso al classico dualismo esplorazione/raccolta tanto caro ai survival game si affianca un ulteriore elemento, che è quello dell’ignoto. Ancestors cerca di replicare la paura dello sconosciuto, rendendo ogni scoperta una sorta di battaglia tra il terrore dell’ignoranza e la sicurezza della conoscenza.

Qualche spigolo di troppo

Le prime ore di gioco, personalmente, sono state le più belle: anche grazie ad un tutorial praticamente assente, ogni elemento interattivo è risultato essere un piccolo passo verso una visione di insieme. Ad aiutare il nostro alter ego scimmiesco ci sono i tre sensi principali: vista, udito e olfatto. Ognuno di questi dà accesso a dei punti di interesse analizzabili se ancora non scoperti. In parole povere, la foresta si apre letteralmente ad una pletora di attività di analisi ed esplorazione, quasi sempre in assenza di aiuti testuali, ma sempre e solo in compagnia della nostra capacità logica e deduttiva. Non nascondo una certa frustrazione nell’aver impiegato fin troppo tempo a costruire il mio primo giaciglio, con tempistiche nettamente superiori a qualsiasi ominide mai esistito: è stata una fortuna che l’evoluzione della specie non sia dipesa dai miei sforzi mentali.

Al netto di questo primo, soddisfacente, momento di scoperta, Ancestors si perde inesorabilmente con il passare del tempo. Le azioni a disposizione, nonostante il vasto skill tree e la varietà di flora e fauna, tendono a ripetersi e addirittura lo stesso sistema evolutivo della specie contempla la perdita parziale dei progressi cognitivi, costringendo ad ulteriori sessioni di esplorazione e analisi. Chiaramente la scelta è concettuale: repetita iuvant, un vero e proprio mantra per una popolazione di ominidi alla scoperta del mondo. Eppure la concettualizzazione, pur se fortissima dal punto narrativo, perde troppo in giocabilità, costringendo a sessioni lunghe ed estenuanti, minate anche da una certa difficoltà di fondo, tale per cui l’estinzione del clan (ipotesi per nulla implausibile) corrisponde a dover ricominciare letteralmente da capo.

Purtroppo la già compromessa esperienza di gioco risulta infine viziata dal punto di vista tecnico, con delle sbavature di troppo sia per quel che concerne le interazioni che la resa grafica. I comandi, costretti a pochi tasti (della qual cosa non finirò mai di stupirmi, vista la pletora di bottoni e grilletti di cui è composto un pad nel ventunesimo secolo) risultano spesso legnosi e poco intuitivi. Il che acuisce la già di per sé difficile giocata, caratterizzata da un tutorial minimale e da una poco immediata evidenziazione degli elementi di interazione. Visivamente poi, pur essendo il titolo gradevolissimo nel complesso, con scorci interessanti ed un’ambientazione coerente e densa, spiccano in negativo le animazioni degli animali ostili, ridotti a pupazzi inespressivi, quasi degli animatronici in formato videoludico. L’opera, chiaramente, va vista nel suo complesso, e la fortuna del prodotto sta proprio nell’essere riuscito ad offrire un’esperienza ludica originale, anche se in presenza di errori di game design evidenti.

Voto Recensione di Ancestors: The Humankind Odyssey - PC


7

Voto Finale

Il Verdetto di Tom's Hardware

Pro

  • -Una narrazione videoludica originale e coerente

  • -Rappresentazione potente e immaginifica dei nostri antenati

  • -Graficamente gradevole

Contro

  • -Gameplay troppo ripetitivo

  • -Legnoso e poco user-friendly nei controlli

Commento

Ad una prima lettura della recensione mi rendo conto che, soprattutto per quanto riguarda il gameplay e il comparto tecnico, Ancestors sembrerebbe un flop. La realtà delle cose, fortunatamente, è diversa. Non di solo gameplay è fatto un videogioco e quest’opera, con tutti i difetti che porta con sé, riesce a trasmettere una storia importante, oltreché un approccio di netta rottura con il genere survival cui appartiene. Il racconto dell’evoluzione, la sfida primordiale che ci ha reso ciò che siamo oggi, è trattato con perizia di particolari e sempre e solo attraverso l’azione e la compenetrazione con il medium. Gioco forza, in un progetto così complesso da realizzare, che le attività offerte soffrano di una ripetitività mai noiosa, ma certo a volte frustrante. Nonostante questo, però, credo sia doveroso premiare l’originalità genuina e sincera con il quale si presenta il videogioco, che riesce a porsi - cosa rara al giorno d’oggi - in completa rottura con i soliti survival game. Alla fine si tratta solo di questo: di giocare per scoprire, costruendo la propria narrazione e non viceversa. Credo quindi che Ancestors vada premiato (e giocato) per tutti questi motivi. Certo, sono convinto che vadano anche avvisati tutti coloro che cercano un survival sui binari, zeppo di attività, oggetti, crafting e quant’altro di starne bene alla larga: non è quel tipo di gioco.

Informazioni sul prodotto

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Ancestors: The Humankind Odyssey - PC