Assassin’s Creed: un salto della fede nella storia del franchise

Festeggiamo insieme i quindici anni di Assassin's Creed esplorando tutte le evoluzioni che la serie ha subito nel corso degli anni.

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a cura di Antonio Rodo

Raccontare di Assassin’s Creed e dei suoi quindici anni non è di certo un compito facile: è una saga che ha appassionato una foltissima schiera di giocatori, venduto oltre 200 milioni di copie e stravolto più volte sé stessa e il mercato. L’impatto mediatico e pop che il franchise ha avuto, insomma, è paragonabile a pochissimi altri casi.
 

Da grande appassionato quale sono, in occasione di questo importante anniversario, ho pensato di entrare nel mio animus personale e rivivere insieme a voi alcune delle emozioni e dei forti stravolgimenti che ci hanno accompagnati lungo questi anni. Esatto, perché Assassin’s Creed, checché se ne dica, è in realtà cambiato tantissime volte, al punto che nelle sue ultime iterazioni si fa quasi fatica a riconoscerlo. 

Detto ciò, andiamo: lama sguainata e cappuccio in testa. Facciamo un salto della fede nella storia del franchise.

Il primo salto della fede

Era il 2007 e il mercato videoludico si preparava ad accogliere PlayStation 3 e Xbox 360. Anche i primi colossi si apprestavano ad arrivare, titoli come l’immenso e meraviglioso GTA IV, ad oggi tra le migliori proposte della serie Grand Theft Auto. In un panorama così affollato, che ci crediate o meno, trovò spazio proprio Assassin’s Creed, nuova proprietà intellettuale e creatura di Patrice Désilets e Jade Raymond. 

La presentazione del gameplay, avvenuta all’E3 del 2006, è ancora da ricordare come una delle più belle di sempre: il titolo veniva giocato in tempo reale sul palco mentre la voce narrante della Raymond raccontava il contesto e alcune delle meccaniche principali del videogioco. La build era molto sporca e sarebbe oggi ritenuta impresentabile; in più, il demoist che stava giocando fallì un paio di volte e fece fatica a far emergere alcuni dettagli che Ubisoft voleva sottolineare. Una situazione assurda e in forte contrasto con le ingannevoli presentazioni di giochi come Watch Dogs, The Division e Assassin’s Creed Unity, eppure dannatamente bella, vera; persino meno in forma e appariscente del titolo che avremmo poi giocato da lì a poco che, come ho spesso raccontato in questi lidi e in un articolo dedicato, nonostante i difetti rimane il migliore della serie, il più cupo e affascinante.

Voi lettori che state leggendo questo articolo, prima di criticarmi fermatevi un attimo: anch’io ritengo Assassin’s Creed II un enorme balzo in avanti, ma è innegabile che il primo capitolo, con tutti i difetti e la ripetitività delle missioni, resti l’opera più coraggiosa della serie, quella con il concept più unico, con la narrativa più intrigante, con i dialoghi più pungenti.

Assassin’s Creed, infatti, entrando finalmente nel vivo, racconta le gesta dell’assassino Altaïr Ibn-La’Ahad, in una cornice narrativa il cui tema cardine è la redenzione scaturita dal fallimento e dall’arroganza sul campo dimostrata dal nostro protagonista che, inviato a Gerusalemme per recuperare un frutto dell’eden, agisce in modo precipitoso causando la morte di un compagno. Da quel momento, Altaïr verrà degradato e, uccisione dopo uccisione, otterrà il suo rango ed equipaggiamento. 

I bersagli, i nove uomini che dovremo assassinare, sono tutti collocati nella Terra Santa, divisi tra Acri, Gerusalemme e Damasco. Tre location dannatamente riuscite, fortemente differenziate nella palette cromatica e perfette per supportare tutte le dinamiche di gameplay. Il concept dietro al primo Assassin’s Creed, infatti, necessita proprio di ambienti di questo genere, di città affollate, caotiche, ricche di appigli e possibilità d’infiltrazione. Tuttavia, come sicuramente saprete, se da una parte le idee, le città e la narrativa sono eccellenti ancora oggi; dall’altra c’è invece un mission design pessimo e ridondante, dal momento che il giocatore, per tutti e nove i bersagli, dovrà fare le stesse identiche azioni.

E se vi dicessi che Assassin’s Creed, in origine, non era pensato in questo modo? Se vi dicessi che non vi era l’ombra di attività secondarie? Ebbene sì, l’avventura di Altaïr doveva inizialmente essere ancora più contenuta e includere i soli nove assassinii. Succede però che il figlioletto del CEO di Ubisoft, giocando anticipatamente al gioco, si trova d’avanti ad un'esperienza che scaccia l’open world e abbraccia fortemente delle dinamiche sandbox, con scenari che fanno da sfondo alle vicende narrate e sono utili per supportare il gameplay e la filosofia del prodotto: nessuna attività secondaria, nessun collezionabile da raccogliere; soltanto il giocatore, nei panni di Altaïr, e nove vite da strappare. Ora, non posso sapere come sia andata per davvero, ma leggenda narra che poco prima di chiudere il progetto e andare in gold, Ubisoft fece di tutto per inserire bandierine da raccogliere, civili da soccorrere e altre missioni di questa caratura. Nacque così, insomma, il ripetitivo Assassin’s Creed che il pubblico ha amato e detestato. 

Adesso sapete chi accusare.

Più grosso, più bello, più tutto

Lungi da me voler criticare Assassin’s Creed II, un gioco importantissimo per Ubisoft e per il franchise, nonché il più amato in assoluto dal pubblico. Rifletteteci un attimo, però: passare da un’ambientazione del tutto inedita per il panorama videoludico al Rinascimento Italiano focalizzato su figure quali I Pazzi, Leonardo Da Vinci e Lorenzo il Magnifico è, secondo me, un segnale abbastanza chiaro. Di cosa? Di un cambio di rotta piuttosto deciso, della volontà di abbracciare contesti storici più pop e, in generale, un mood più digeribile dal pubblico di massa. Un prodotto più facilone, insomma. 

È in questo modo che la trilogia di Altaïr - prevista in origine dopo la pubblicazione del primo capitolo – venne accantonata e poi declinata a progetti minori distribuiti sulle portatili Sony e Nintendo, in modo da lasciare spazio a Ezio Auditore da Firenze, che da lì a poco avrebbe ricevuto i consensi di pubblico e critica, e un trio di prodotti ancora oggi ricordati con tanto affetto. 

Più che ad un gameplay che si limitò ad aggiungere gadget e alcune azioni, il successo della trilogia di Ezio è dovuto in primis al protagonista; in secundis alla caratterizzazione delle bellissime città italiane rappresentate nel gioco, da Firenze a Venezia. 

Ciononostante, come da titolo del paragrafo, la mia impressione è sempre stata questa: superato il primo Assassin’s Creed, Ubisoft si allontanò dal concept originale per inseguire l’idea di confezionare giochi che fossero banalamente più divertenti e digeribili dalla massa. La conferma arrivò proprio con il primo e decisivo stravolgimento che interessò la serie, vale a dire con l'approdo sul mercato di Assassin’s Creed III e poi, successivamente, di Black Flag. Due giochi molto diversi tra loro per temi, mood e narrazione, ma che hanno in comune lo stesso obiettivo di fondo: avvicinare l’esperienza AC ad un titolo che fosse davvero un open world ricco di attività secondarie, abbandonando l’idea dell'esperienza sandbox che altro non faceva che utilizzare le location come strumento di gameplay e narrazione.

Ci riuscì in pieno Assassin’s Creed IV: Black Flag, sfruttando le solide basi del terzo capitolo il quale, considerata l’enorme importanza narrativa che ricopriva, si limitò a fare da apripista per il futuro della serie, concentrando gli sforzi sul rinnovato parkour, la fine della storia di Desmond Miles e le brutali e spettacolari animazioni in combattimento. AC IV Black Flag, quindi, raccolse il raccoglibile e diede vita ad uno dei capitoli più riusciti della serie: gigantesco, divertente e ben scritto, ma lontano dal caro e vecchio concept originale. Eppure non mi pesò molto, tant'è che lo ricordo con un affetto indescrivibile, nonostante il rammarico di non aver potuto assistere ad una riproposizione meno acerba e più consapevole delle idee rimaste imprigionate nell’avventura di Altaïr. 

Oltre al gameplay e alle rinnovate battaglie navali che avevano già trovato un piccolo spazio nel terzo episodio, a colpirmi tanto fu proprio l’ambientazione, che riusciva a veicolare il senso di scoperta di cui necessita un viaggio piratesco. In egual modo, dopo la dipartita di Desmond, mi sorprese non poco il modo in cui Ubisoft strutturò le fasi ambientate ai giorni nostri: nei panni di un impiegato Abstergo, incaricato di rivivere i ricordi del pirata Edward Kenway, si era liberi di girovagare per l’enorme struttura alla ricerca di segreti; inoltre, tutto era dannatamente meta: l’Abstergo, infatti, altro non era che la stessa Ubisoft. Una vera e propria genialata che speriamo di rivedere, seppur declinata all’online e alla piattaforma Infinity, nel futuro della serie.

Il ritorno del concept originale

Non sto scherzando, come da titolo, accadde per davvero. Nonostante la serie sembrava oramai essersi allontanata del tutto dal concept originale, nel 2014, dopo il lancio di PlayStation 4 e Xbox One, Ubisoft propose ai giocatori un’esperienza Assassin’s Creed di nuova generazione che tentava di ripescare le idee e le intuizioni avute nel lontano 2007, adesso con l’esperienza e la possibilità di esprimerle al massimo. 

Rivoluzione Francese, 1789: le strade sono un campo di battaglia, la folla è inferocita, le architetture di Parigi sono perfette per il tipico gameplay di Assassin’s Creed. Persino le dinamiche stealth e di parkour subirono un’evoluzione notevolissima, e le missioni assassinio, da sempre il cuore della serie, diventarono veri e propri stage sandbox a là Hitman, spazi giganteschi da esplorare in modo minuzioso alla ricerca di opportunità d’infiltrazione. 

Bello non è vero? Pure troppo. 

È il momento di raccontarvi tutto in modo cinico: quello che ho appena finito di introdurre trova davvero spazio nel gioco; tuttavia, a causa di numerosi bug, di una sceneggiatura semplice, banale, e di un’IA nemica non adattata ai miglioramenti che Ubisoft apportò al comparto stealth, Unity è oggi ricordato come il capitolo peggiore della serie, il più bistrattato in assoluto. E questo nonostante sia, probabilmente, il più vicino al primo, meraviglioso Assassin’s Creed.

Chi sconosce la serie, sono certo starà pensando: va beh, Ubisoft toppò alla grande, ma ci riprovarono sicuramente con il prossimo capitolo; del resto, nonostante i bug e i noti problemi di intelligenza artificiale, quello imboccato era il giusto sentiero. E invece no. Ancora una volta optarono per un cambio di rotta quasi radicale, esattamente come nel 2009 con il lancio di Assassin’s Creed II. Un atteggiamento che proprio non sopporto: se un’idea non funziona la prima volta, viene scartata favorendone un’altra in totale contrasto con la precedente. 

Il capitolo successivo, infatti, intitolato Syndicate, si sposta nell'Ottocento, in piena seconda Rivoluzione Industriale, e tra pistole, carrozze e rampini sceglie nuovamente un’altra strada, allontanandosi – di nuovo – dalle origini della serie. Pagò inoltre lo scotto di essere uscito dopo un capitolo, Unity, che tanto aveva fatto infuriare i giocatori per il suo pietoso stato nella fase di lancio. Syndicate, quindi, forse anche un po’ ingiustamente, fu in assoluto uno dei capitoli più sottotono dell’intera storia del franchise. E dico ingiustamente perché, nonostante si discostasse non poco dall’idea che più mi convince e accosto alla serie, era un bel gioco: una produzione ricca di fascino, divertente e con due protagonisti ben caratterizzati, il primo duo in assoluto nella storia del franchise.

La deriva Action RPG

Ma è quest'ultima la svolta più radicale in assoluto, forse anche la più confusa. Non c’è nulla di male nella decisione di prendere una serie fino a quel momento Action Adventure Story-Driven e declinarla all’Action RPG scimmiottando colossi del mercato quali The Witcher 3: Wild Hunt. Se proprio devi, però, almeno fallo realmente. L’ultima trilogia, evitando di girarci attorno, è la dimostrazione più evidente del mancato coraggio di Ubisoft, che getta prima le basi con un capitolo semi-ruolistico (Origins); ne realizza poi uno che si concede del tutto a quelle dinamiche (Odyssey); e infine torna indietro sviluppandone un terzo che altro non è che una via di mezzo tra i due (Valhalla). La confusione più totale. Comprendo benissimo le paure di uno studio che deve consegnare un simile stravolgimento ai fan di vecchia data, ma così facendo è la qualità stessa dei prodotti a risentirne maggiormente, che si allontana dall'identità originale della serie per abbracciarne un'altra in modo poco convinto e timido.

Il risultato finale, come inevitabile che sia, sono tre esperienze che si completano a vicenda: Origins è il più riuscito nella narrazione; Odyssey il più rifinito e dotato di una personalità più concreta e decisa; Valhalla un Origins più viscerale e rivisto nella struttura. Ecco perché la nuova e ultima trilogia di Assassin's Creed ha diviso così tanto il pubblico, perché non ha nemmeno dato modo agli appassionati di abituarsi a l'idea. Per questo, come vi raccontavo nell'anteprima di Assassin's Creed Mirage, sono contento che nel futuro della saga ci siano esperienze più differenziate tra loro, così da accontentare vecchi e nuovi appassionati, ed evitare una simile crisi di sviluppo.

Insomma, se siete arrivati fino a questo punto, lo saprete bene: Assassin's Creed è cambiato moltissime volte. Con alcuni capitoli ci è anche riuscito o quantomeno provato in modo più concreto; con altri ancora è più che altro stata la confusione a regnare. Ciononostante, in un modo o nell'altro, ad Assassin's Creed rimango molto affezionato: vuoi per la presenza di alcuni personaggi, vuoi perché la direzione artistica di Ubisoft mi piace tantissimo... Sono sempre in attesa, desideroso di mettere le mani su un nuovo progetto dedicato alla saga.

E voi, invece, qual è il vostro rapporto con Assassin's Creed? Fatecelo sapere nello spazio dedicato ai commenti.