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a cura di Martina Fargnoli

Editor

Siamo stati a Londra per provare Borderlands 3, l'ultimo capitolo della serie action-rpg sparatutto di Gearbox Software disponibile dal 13 settembre. Siamo stati accolti da un ambiente che richiamava alla perfezione atmosfera e luoghi tipici della produzione come un Garage di Ellie ricostruito all'esterno dell'edificio e il suggestivo bar di Moxxi - con tanto di barattolo delle offerte - all'interno della struttura che ha ospitato la nostra prova. In circa 5 ore abbiamo potuto giocare l'inizio dell'avventura in compagnia di FL4K, seguita da un salto temporale di qualche livello per immergerci in Eden-6, uno dei nuovi pianeti su cui i Cacciatori della Cripta metteranno piede.

Ci sono videogiochi che lasciano un segno profondo del loro passaggio: si affacciano sul mercato imprimendo il proprio modo di essere ben riconoscibile. Precursori di uno stile, tracciano la strada per gli altri che verranno dopo. 10 anni fa Borderlands dimostrava che uno sparatutto con una forte anima rpg, un'attenzione maniacale rivolta al loot mutuata da Diablo e una scrittura irriverente e spigliata era non solo possibile ma anche dannatamente divertente. Mentre fissava i cardini dei looter shooter, genere che ancora non era esploso, i suoi personaggi si facevano beffe di tutto e tutti con una carica dirompente in controtendenza rispetto ai toni più seri degli sparatutto che dominavano il 2009.

10 anni dopo Borderlands 3 è pronto a dare di nuovo una sferzata a un sottogenere che nel tempo ha visto i suoi connotati diluirsi dietro il termine ombrello "shooter a mondo condiviso" le cui buone qualità finiscono spesso oscurate da un grinding poco stimolante che impoverisce il divertimento. Gearbox mette al centro del progetto 4 ingredienti chiave: storia, personaggi, modalità solo/coop e commistione FPS/rpg. Lo fa con la promessa di offrire il più grande Borderlands di sempre, spingendo forte sulla componente rpg e la personalizzazione. Non si adegua a quanto Destiny e The Division hanno raggiunto, sceglie di fare a modo suo ancora una volta eliminando le barriere che impediscono ai giocatori di giocare insieme indipendentemente dal livello dando quindi importanza al bene più prezioso che un giocatore può dedicargli: il suo tempo.

Pad alla mano non siamo ancora in grado di poter affermare con certezza se ognuna di queste voci è pienamente realizzata, solo la recensione del gioco completo potrà tracciare un profilo in modo esaustivo ma è innegabile che sono stati fatti molti passi avanti percettibili rispetto alle iterazioni precedenti del franchise. Primo fra tutti si registra un maggiore dinamismo nei movimenti: possiamo scivolare per cercare copertura - anche se non esiste un vero sistema di coperture è possibile anche distruggerle sparando - come in Apex Legends o arrampicarci dopo un salto per raccogliere col minore sforzo anche il più nascosto dei bottini. Ne guadagnano vivacità anche gli scontri che si fanno più intensi con l'uso delle action skill e con la costruzione della propria build, non si è infatti vincolati alla scelta di un solo ramo ma si possono "mixare" le alternative per adattarle al proprio stile di gioco.

FL4K the Beastmaster

In occasione della prova abbiamo passato molto tempo in compagnia di FL4K, l'ultimo dei 4 personaggi giocabili presentati, e scoprirne così le differenti abilità che vanno a comporre i suoi punti di forza come Domatore. FL4K è un Beastmaster, un Cacciatore della Cripta che in battaglia può essere accompagnato da un animale e da una Action Skill. Al livello 2 si sbloccano i diversi rami delle abilità e le Action Skill a disposizione tra cui scegliere tra tre Specializzazioni: Cacciatore, Padrone e Implacabile. Ogni Specializzazione è ben caratterizzata e si concentra su alcuni stili di gioco particolarmente versatili, mentre ogni ramo contiene una abilità d’azione, abilità passive, Aumenti abilità d'azione ed evoluzioni per gli animali.

Giocando da soli la scelta più immediata è stata privilegiare inizialmente il ramo dell’Implacabile che permette di aumentare le chance di sopravvivenza focalizzandosi sull'aumento e la rigenerazione dell’energia. A esso si accompagna l'abilità d'azione “Sparizione” che rende FL4K invisibile, più veloce e devastante nei combattimenti con i suoi tre colpi critici a disposizione che sono capaci di disintegrare il nemico con assoluta facilità. In uno scontro particolarmente ostico, l’occultamento può davvero rappresentare l’asso nella manica per sfoltire le fila nemiche e resistere più a lungo in campo aperto. Proseguendo però nella specializzazione, FL4K può anche essere un buon alleato nelle dinamiche di squadra grazie alla sua abilità di condividere parte della sua rigenerazione di energia con gli alleati.

Uno degli aspetti che più abbiamo apprezzato in questo terzo appuntamento col gioco - qui potete recuperare la nostra anteprima da Los Angeles e le nostre impressioni su Moze - è la sensazione di libertà che si percepisce nello strutturare il personaggio scegliendo tra diverse combinazioni. Non appena abbiamo impugnato un fucile a pompa Jakobs, capace di rimbalzare un proiettile sui nemici vicini in seguito a un colpo critico, abbiamo iniziato anche a buttare un occhio sul ramo Cacciatore che si concentra proprio sul premiare i giocatori che ricercano colpi precisi e critici. Sono abilità che, in seguito a un colpo critico, potrebbero ricaricare un colpo nel caricatore, ridurre il tempo di ricarica dell’abilità d’azione o aumentare la velocità di ricarica.

La peculiarità di FL4K è in fin dei conti quella di essere accompagnato da un animale, rispetto ad altri personaggi che invece utilizzano gli slot liberi per equipaggiare due Action Skill. Questo legame con il proprio pet può essere rafforzato spendendo punti nel ramo Padrone quasi fino a entrare in simbiosi con la creatura. Ad esempio se l’animale infligge danno, FL4K può recuperare energia e viceversa. Considerato che saremo costantemente accompagnati da uno a scelta tra un aiutante Jabber, uno Skag da guardia e un Formiragno Centurione, potenziare le adorabili bestioline potrebbe essere una strategia per creare ulteriore scompiglio nelle lande e dedicarsi a più minacce contemporaneamente. L’action skill legata al ramo Padrone è tra le più interessanti: FL4K crea una fenditura in una posizione indicata, teletrasportando nel punto il suo animale che sarà di dimensioni più grandi e attaccherà con danni da radiazioni. L’abilità può anche essere usata per rianimare la creatura.

Che le fiere siano il fiore all'occhiello di questo particolare legame lo dimostrano anche le possibilità di evoluzione che sono consentite fare: il Jabber, inizialmente dotato di pistola e in grado di lanciare barili radioattivi ai bersagli marcati, può crescere fino a equipaggiare uno shotgun o una smg variando anche il suo attacco principale rispettivamente in un attacco corpo a corpo o in un colpo di lanciarazzi quando ordinato dal suo controllore. Anche le due rimanenti bestie possono evolvere per complementare le proprie strategie a seconda delle scelte fatte durante la costruzione della build. L’intelligenza artificiale alleata ci è sembrata sufficientemente in grado di operare anche da sola, rispondendo in modo comunque reattivo quando venivano impartiti gli ordini.

Eden-6 la giungla tecnologica

Dopo una pausa di gioco con FL4K e un’intervista con il Creative Director Paul Sage, siamo tornati in gioco catapultati su Eden-6 con un nuovo personaggio di livello 22. Per avventurarci nella folta vegetazione del nuovo pianeta abbiamo scelto la potenza di fuoco di Moze, l’artigliera a bordo del mech Orso di ferro. È sempre meglio essere previdenti quando si atterra su un pianeta dove la fauna ha istinti animaleschi e la stazza di grandi T-rex o scimmioni. Se di primo acchito può rievocare le atmosfere di Sir Hammerlock's Big Game Hunt e The Zombie Island of Dr. Ned, siamo di fronte a qualcosa di più elaborato e con una maggiore personalità. Gearbox non ha voluto lasciare nulla al caso e ha dotato ogni pianeta di uno stile unico che li differenziasse e che permettesse quindi anche al team di poter elaborare dei nemici più esotici ma caratteristici per il loro habitat naturale.

La vegetazione ha avuto modo di crescere “quasi” incontaminata con i suoi alberi millenari e le piane lussureggianti, luogo perfetto per i Sauriani che vi abitano, nemici che in tutto e per tutto richiamano i dinosauri e donano un tocco quasi preistorico al pianeta. Lì dove invece si è spinta un po’ di più la civiltà troviamo delle costruzioni simili a villaggi tribali, ma tribale è anche la ferocia con cui ci accolgono i Jabber, creature a metà tra grandi scimmie e leoni che amano arrampicarsi e colpire chi invade il loro territorio. Nell'esplorazione abbiamo scoperto anche un vulcano ancora in attività circondato da tipiche abitazioni che salgono lungo i fusti degli alberi e delle rocce per creare verticalità. Relitti di astronavi e frammenti di tecnologia contornano un paesaggio che solo in apparenza sembra rimasto a uno stadio precedente alla presenza dell'uomo.

Non vogliamo scendere troppo nei dettagli delle due missioni che abbiamo potuto provare, eviteremo quindi di fare riferimento a dialoghi e a qualsiasi sbocco narrativo, ma possiamo dirvi che lo stacco tra le missioni iniziali svolte e queste dedicate a una fase più avanzata della trama è stato netto. Potrebbe essere un indicatore di quanto il gioco cresca anche sotto il profilo della varietà delle quest mostrando un incremento anche nella follia delle situazioni proposte. Adrenalinico e impegnativo è stato anche lo scontro con uno dei boss più ipertecnologici che abbiamo incontrato, mantenuto ad alti ritmi dai continui colpi rimbalzanti che riempivano l’arena di imprevedibili minacce. Anche le boss fight della missione secondaria si sono mantenute in pieno stile Borderlands, con personaggi sopra le righe e momenti che hanno dell’incredibile. Se la scrittura delle missioni si conserva così per tutta la durata del gioco siamo di fronte a un titolo che non potrà fare altro che trascinarci nel suo mood scanzonato e darci il piacere di trascorrere ore e ore in modo del tutto spensierato.

Un altro sostanziale e significativo stacco che abbiamo potuto notare rispetto agli inizi del gioco è dato dalla potenza e dalla varietà dell’arsenale in nostra dotazione. Come molti giocatori di looter shooter sapranno, uno dei problemi in cui è facile incappare in questi giochi è la pochezza del bottino confrontata con l’impegno necessario per portare a termine le missioni. Spesso il senso di progressione viene mortificato da un inadeguato sostegno da parte di ricompense uniche. Le armi appaiono poco diverse tra loro e la scelta finisce per assottigliarsi e ricadere su quelle che risultano essere meramente le più forti in virtù di qualche numeretto. Borderlands 3 non soffre di questa sindrome e schiera armi fuori di testa, impreziosite ancora di più dall'aggiunta di diverse modalità di fuoco e comportamento per alcune di esse.

Una pistola Tediore che emette danni da radiazione e che a ogni ricarica viene lanciata a terra per trasformarsi in una torretta, un fucile COV con raggio congelante, un cecchino a tre canne, una mitraglietta Maliwan a doppio elemento con possibilità di cambiare modalità di fuoco con la semplice pressione di un tasto, sono solo alcune delle armi da fuoco che abbiamo potuto testare. L’evoluzione dell’equipaggiamento, costruita ad arte per la prova, è stata però assolutamente percepibile, in ogni aspetto: estetico, funzionale, statistico. Ogni produttore ha le sue caratteristiche chiave e ogni arma riflette questa appartenenza come già evidenziato dai capitoli precedenti. Le animazioni marcano ancora di più la sensazione di unicità e particolarità che ogni arma offre, trasformando lo schermo in un tripudio di luci, colori, effetti. Con un arsenale di tutto rispetto -rare ed epiche - è come poter attingere all'abbondante tavolozza di Kandinskij per creare un’esplosione vibrante di proiettili, raggi e nuvole tossiche che riempiono lo schermo e restituiscono un vero senso di potenza.

Tirando le somme

Dopo l’incompiuto Anthem, l'incespicare periodico di Destiny 2 e la fase calante di The Division 2, Borderlands 3 sta affilando un'infinità di armi per provare a prendersi il suo posto da campione nei moderni looter shooter. Lo fa con il suo stile straripante e se ne frega delle tendenze del momento: le abbatte nel tentativo di far ritornare il divertimento nelle mani di tutti senza vincolarli a una progressione che mette muri e divisioni tra i giocatori. Non gioca alle regole degli altri, è sregolato e senza misura nella bontà con cui genera sempre nuovo bottino.

5 ore e poco più non sono sufficienti per decretare con certezza la qualità della narrazione, la varietà delle missioni e la capacità del titolo di scalare il livello delle abilità a seconda dell'avanzamento nell'avventura, ma Borderlands 3 sembra aver imbastito quantomeno un sistema di gioco interessante che non ha paura di abbracciare in pieno la sua componente RPG. Dopo tutte le iterazioni del franchise, Borderlands è conscio del potenziale dell'ibridazione sparatutto / gioco di ruolo e non intende lesinare sulla libertà di personalizzazione che affida invece al giocatore. I nuovi personaggi sembrano tutti offrire stili di gioco modellabili sia che si intenda giocare da soli, sia che si voglia partecipare al vero cuore dell'esperienza cooperativa. I rami non sono ingessati e precostituiti, le statistiche da tenere a mente non sono eccessive e confusionarie. C'è profondità ma non complessità.

Borderlands 3 promette di essere più grande, più rumoroso, più interessante. Passa dall'arida e saccheggiata Pandora al rigoglioso e pericoloso Eden-6 per raggiungere nuovi orizzonti. Si spara tanto ma si spara spesso come se si stesse sparando per la prima volta con un'arma nuova. È proprio questo aspetto che più di tutti incarna il vero spirito di un looter shooter: quella sensazione sempre nuova che dovrebbe derivare dall'impugnare l'arma più caratteristica trovata nel proprio bottino, come se l'arma stessa fosse un indicatore di un più generale progresso e avanzamento. E Borderlands sa come si fa, del resto è lui che ha sbattuto questo sistema in faccia a un pubblico che non sapeva ancora di desiderarlo. Le premesse fanno ben sperare sul più puro lato del divertimento, ma c’è ancora tanto su cui affondare le mani prima di stabilire un verdetto.

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