Come è cambiata la narrazione nei videogiochi?

Game Division ha analizzato per voi l'evoluzione della narrazione nei videogiochi, dalle origini ad oggi: pronti a un viaggio nel tempo?

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a cura di Michele Pintaudi

Editor

Chi è da tempo un affezionato lettore di Game Division, sa quanto spesso e volentieri vogliamo dedicare pagine e pagine ad approfondimenti, editoriali e analisi su quello che è il ruolo dei videogiochi e la sua evoluzione all’interno della società. Il videogioco è infatti divenuto un medium ma non solo: con il passare del tempo è riuscito ad ottenere un riconoscimento sempre più ampio in quanto vera e propria forma d’arte.

Ormai non siamo più infatti di fronte a un “semplice” passatempo, ma a un prodotto complesso e ricco di sfaccettature che meritano di essere comprese da un pubblico sempre più ampio. Come ogni opera, sono tanti i fattori che concorrono nel produrre quello che è il risultato finale fruibile dall’utente: si va dalla musica alle ambientazioni, passando per la fotografia a tantissimi altri elementi. Tra questi ce n’è uno che, senza ombra di dubbio, ricopre un ruolo divenuto negli anni sempre più importante: la narrazione nei videogiochi è infatti, oggi, figlia di anni e anni e di continui miglioramenti.

Quello che vogliamo fare con questo approfondimento è analizzare, in maniera quantomai completa, quella che è stata l’evoluzione della narrazione nei videogiochi: un processo che richiede un tuffo nel passato di qualche decennio, tornando indietro di almeno quarantacinque anni…

Nascita e sviluppo della narrazione nei videogiochi

È difficile definire con precisione l’esatto momento in cui il videogioco, inizialmente concepito come poco più di un esperimento limitato all’ambiente accademico, viene a contatto con un sempre più marcato sviluppo della componente narrativa. Con tutta probabilità, ciò avvenne nel momento in cui il tutto si iniziò a muovere in una direzione maggiormente orientata al pubblico: l’avvento delle primissime console da gioco, così come di una più importante diffusione dei computer anche a livello commerciale, possono considerarsi un primo passo di rilievo in tal senso.

Quando il mondo del gaming inizia a farsi spazio nel quantomai vasto panorama della cultura popolare, si comincia dunque a riflettere su come il tutto possa essere reso ancor più appetibile agli occhi dell’utente finale. Gli hardware di allora erano, per forza di cose, molto limitati se confrontati anche soltanto a ciò che sarebbe arrivato nel decennio immediatamente successivo: bisognava ottimizzare i pochissimi bit a disposizione, e introdurre una prima forma di narrazione nei videogiochi era un’idea difficile da realizzare.

Difficile non è però sinonimo di impossibile, e Adventure di William Crowther è l’emblema di come un’idea all’apparenza semplice abbia potuto segnare in maniera indelebile la storia dell’intrattenimento come lo conosciamo. Con un codice sorgente lungo inizialmente appena 700 linee e dalla dimensione di 300kB di memoria, il titolo è con tutta probabilità uno dei primi esempi di introduzione della narrazione nei videogiochi.

Il giocatore veste qui i panni di un esploratore impegnato a cercare i tesori nascosti all’interno di una misteriosa caverna, in un’avventura testuale che racconta nei minimi dettagli un mondo di gioco grezzo ma incredibilmente ricco per i tempi: era il 1976. Il modello alla base di Adventure diede vita a un gran numero di emuli ed espansioni: la più nota è firmata da Don Woods, studente universitario appassionato di Tolkien che arricchì il titolo con diversi elementi fantasy che lo resero se possibile un prodotto ancora migliore.

Se Adventure rappresenta forse la genesi in questo senso, da quel momento in poi sono stati compiuti passi da gigante in questa direzione: da un certo punto di vista, è altresì vero che la narrazione nei videogiochi è stata spesso posta in secondo piano rispetto ad altri elementi, soprattutto in questo primo periodo storico. Pensiamo ad esempio a due icone degli anni Ottanta che ancora oggi riescono a raccogliere il plauso da parte degli appassionati di tutto il mondo: Pac-Man e Super Mario.

Due icone immediatamente riconoscibili, che hanno contribuito in maniera incredibile alla consacrazione del videogioco in quanto parte integrante dell’apparato socio-culturale contemporaneo. Se pensiamo alle prime comparse dei due personaggi, è tuttavia evidente come il comparto narrativo non fosse una priorità degli sviluppatori: il focus veniva infatti posto maggiormente su grafica e design dei livelli, in modo da rendere i prodotti il più possibile appetibili a un pubblico mainstream ampio e variegato.

La storia di Super Mario Bros (1985) è infatti raccontata in maniera completamente differente da quanto siamo abituati a vedere in un videogioco oggi: il titolo è infatti incentrato principalmente sul gameplay, e trama scorre attraverso input sporadici che assumono un significato soltanto se si è a conoscenza di ciò che effettivamente il gioco vuole raccontare. Come? Leggendo l’incipit scritto sulla confezione del gioco, che va a introdurre quelle che sono le tematiche trattate.

Oggi le cose sono profondamente diverse, ma allora si tendeva appunto a dare maggiore importanza ad altri aspetti, spesso legati alla componente tecnica dei giochi destinati al grande pubblico. L’arrivo dei primi giochi di ruolo distribuiti a livello globale – Final Fantasy, giusto per citarne uno – andò ad alzare ulteriormente l’asticella: il testo viene qui integrato a immagini interattive, divenendo un tutt’uno con l’esperienza di gioco. Abbiamo perciò a che fare con un prodotto capace di divertire e intrattenere, raccontando al contempo una storia ricca di dettagli e sfumature.

La narrazione nei videogiochi: un elemento imprescindibile?

Negli anni Novanta troviamo enormi passi avanti per quanto riguarda la definitiva integrazione della narrazione nei videogiochi. Sono infatti innumerevoli gli esempi di rilievo, tutti comunque figli di un processo di evoluzione già iniziato maturato nei decenni precedenti. Un apporto inestimabile in tal senso è quello prodotto da LucasArts: software house che con le sue indimenticabili avventure grafiche è riuscita a portare gli standard narrativi videoludici a un livello che, fino a quel momento, si pensava potesse appartenere soltanto a un medium come il cinema.

Prodotti di questo tipo riescono infatti a divertire il pubblico, che per la prima volta si trova tra le mani una forma di intrattenimento capace di agire su più livelli: viene stimolata infatti la componente intellettiva, con il giocatore che deve ingegnarsi per risolvere determinati enigmi pur potendo vivere l’esperienza complessiva in maniera rilassata e genuinamente divertente.

Pensiamo ad esempio a Monkey Island o Full Throttle: titoli con una storia che merita di essere raccontata e che, nelle ore di gioco che li compongono, riescono a fondere alla perfezione interazione e intrattenimento. Come LucasArts, anche a colossi come Sierra e Revolution Software va riconosciuto molto merito in questa direzione: tutte queste realtà, in sostanza, hanno reso il videogioco ciò che è oggi.

La seconda metà degli anni Novanta, un’epoca in cui il gaming era ormai sdoganato e parte centrale della cultura pop mondiale, vede un innalzamento degli standard in termini di narrazione nei videogiochi ancora più incredibile. Prodotti come Half-Life sfruttano infatti la prospettiva in prima persona per permettere al giocatore di immedesimarsi sempre di più in quanto raccontato, mentre Hideo Kojima con la saga Metal Gear mette in atto qualcosa, se possibile, di definitivo e insuperabile nella storia dell’intrattenimento.

La complessità alla base di un prodotto come Metal Gear, saga che negli anni si è poi arricchita di migliaia di sfaccettature che rendono la trama enorme e al contempo magnifica, è di fatto l’ennesima affermazione del videogioco come forma d’arte. L’impronta cinematografica è qui tangibile in un modo mai visto prima di allora, fattore che rende la serie un prodotto ancora oggi ammirato da milioni di appassionati da tutto il mondo. Se a questo aggiungiamo una componente meta-narrativa quantomai marcata, con l'autore che sostanzialmente "dialoga" con il giocatore, l'importanza dell'opera assume contorni ancor più spettacolari.

La convergenza con il mondo del cinema è evidente, pur in maniera completamente diversa, nelle opere targate Quantic Dream. Lo studio di David Cage ha infatti dato vita ad alcune avventure che, in maniera voluta, pongono in secondo piano il gameplay al fine di concentrarsi totalmente sulla componente narrativa. Da un certo punto di vista possiamo affermare, insomma, quanto titoli come Heavy Rain e Beyond: Two Souls abbiano in qualche modo ribaltato lo scenario di due decenni prima: se in precedenza era la storia a venire sacrificata, qui viene per l’appunto collocata in primo piano a discapito della componente prettamente ludica. Una scelta per alcuni discutibile, ma che non può non essere considerata un coraggioso atto di sperimentazione.

La narrazione nei videogiochi è infatti qualcosa di incredibilmente dinamico all’interno della storia del medium stesso, e provare a dar vita a nuove soluzioni è una strada che pur prestandosi a critiche apre senza dubbio la porta a interessanti sviluppi in questo senso. È in ogni caso chiaro come spesso e volentieri la componente narrativa vada a fondersi con gli altri tasselli del mosaico che compone un’esperienza videoludica, come possono essere ambientazione o comparto sonoro.

È il caso, ad esempio, di Bioshock: i due elementi appena citati contribuiscono infatti alla costruzione e alla perfetta definizione di un’atmosfera, dove tutto ciò che accade viene contestualizzato all’interno di un apparato narrativo di altissimo livello. Di tenore differente ma comunque fortemente esemplificativo in questo senso è la saga di Uncharted, con cui Naughty Dog ha dimostrato al mondo come una solida narrazione possa essere tranquillamente affiancata a un titolo dinamico e divertente, capace di intrattenere per ore sia grazie alla trama ricca di colpi di scena che a un gameplay fortemente volto all’azione.

L’ultimo caso che andremo a citare è infine Red Dead Redemption 2: un capolavoro, possiamo dirlo, sotto tutti i punti di vista. La cura dei dettagli è qui evidente in ogni singolo aspetto che caratterizza l’opera, dalla scrittura ad accorgimenti grafici grandi e piccoli che rendono il tutto un’esperienza pressoché definitiva. La narrazione raggiunge qui vette elevatissime, riuscendo da una parte a convergere con l’universo cinematografico e dall’altra ad affermare una propria identità.

Il titolo di Rockstar Games non è, infatti, un film o un semplice videogioco: è un’esperienza capace di trascendere entrambi i media, prendendo il meglio dalle concezioni conosciute al pubblico per dar vita a un prodotto perfetto nei minimi particolari. La storia è infatti ricca di sottotrame di vario genere, che fanno da contorno e da completamento a un racconto che ha inevitabilmente definito uno standard che sarà ben difficile oltrepassare. La parola passa ora a voi giocatori: quanto è importante la narrazione nei videogiochi? E quali sono i titoli che per voi hanno rappresentato un punto di svolta in questo senso?

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