Cyberpunk 2077, il gioco di ruolo e la definizione di “mondo vivo”

In mezzo alla tempesta di polemiche che ha investito Cyberpunk 2077 si sono persi potenziali spunti di discussione, proviamo a individuarli e a discuterne

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a cura di Fabio Canonico

Il dibattito attorno a Cyberpunk 2077 è stato ridondante, estenuante, inevitabile persino, nella maniera in cui tutti si sono sentiti in dovere di dire qualcosa riguardo quello che era il gioco più atteso degli ultimi anni, se non di sempre. Spesso, aggiungiamo, senza reale cognizione di causa o comunque senza quella misura che andrebbe utilizzata in qualunque discussione, figuriamoci in una che ruota attorno a un'opera videoludica.

Pensiamo, per esempio, alla vulgata secondo la quale sarebbe ingiocabile su console old gen: lo è stato, effettivamente, ma solo per poco più di ventiquattro ore dal lancio, prima della patch che ne ha risolto i problemi più gravi. Il che non significa che sia un gioco pulito, non lo è, ancor oggi, ma su old gen così come su new gen e PC. Ma ingiocabile è un conto, problematico un altro: le parole sono importanti.

Sono stati spesi fiumi di inchiostro digitale sulle magagne del comparto tecnico, sull'etica di CD Projekt RED, sulla questione rimborsi e sul fatto che per quanto riguarda squisitamente il mercato ci sarà un prima e un dopo Cyberpunk 2077 (spoiler: no), la conversazione sulle caratteristiche e sulle potenzialità del gioco in sé è stata schiacciata, ed è stato un peccato enorme, perché di che discutere riguardo la narrazione, la ludica e il contesto della produzione ce n'è eccome (e noi ci abbiamo provato con vari speciali dedicati, oltre che con la nostra recensione).

Per esempio, tra una pletora di più o meno arrabbiati commenti riguardo il fatto che CD Projekt RED abbia confezionato un'esperienza “tagliata” rispetto a quanto promesso (e un po' vale il “funziona sempre così ed è del tutto normale”
, un po' la delusione riguardo certi aspetti è legittima) molti giocatori si sono intelligentemente espressi riguardo la natura ruolistica del gioco, aprendo la via a tutta una serie di riflessioni e di interrogativi.

Che Cyberpunk 2077 sia un gioco di ruolo, almeno questo, è innegabile. Lo è nella misura in cui permette al giocatore di modellare gradualmente il proprio personaggio attraverso la selezione di caratteristiche, abilità e equipaggiamento e propone un gameplay che fa risuonare tali scelte. La progressione passa attraverso l'ottenimento di punti “esperienza”, e spesso si sottovaluta il significato stesso della parola, che invece restituisce benissimo l'idea di crescita, e attraverso la pratica (che è anch'essa esperienza, di fatto). Banalmente, eliminare un nemico fa ottenere punti spendibili per potenziare qualunque caratteristica, ma intanto fa crescere anche la padronanza dell'arma con la quale è stato seccato, dando accesso a bonus specifici per essa, e così funziona tutto il resto, dall'hacking allo stealth.

Il processo di crescita soggiace quindi a due diverse meccaniche, la prima, fatta di livelli, è la più comune nel genere, la seconda, per la quale più si fa qualcosa più si diventa bravi nel farlo, è meno utilizzata ma comunque rilevante (è uno dei pilastri di The Elder Scrolls, ma era presente persino in Final Fantasy II, anno 1988). La prima è stata schiaffata su praticamente tutto il videoludico, ma non basta per definire una produzione come gioco di ruolo: Horizon Zero Dawn, The Legend of Zelda: Breath of the Wild o la nuova trilogia di Assassin's Creed semplicemente non lo sono, non bastano punti esperienza, livelli, abilità e pezzi di equipaggiamento a renderli tale (i JRPG, ovviamente, fanno storia a sé).

Cyberpunk 2077 è un gioco di ruolo compiuto nella maniera in cui permette di scegliere, e il suo gameplay rende significativa ogni scelta: il giocatore sceglie di eliminare un nemico dalla distanza con un colpo in testa perché ha costruito un tiratore infallibile, può scegliere una certa linea di dialogo (così come infischiarsene) che ha effetto in una conversazione perché in possesso di un certo background o di determinate caratteristiche. Fuori dal gioco, ed è ruolismo puro, può sentirsi a posto con la propria coscienza perché non ha mai ucciso nessuno, avendo scelto di installarsi un modulo che rende ogni sua arma non letale. Sembrerà un'ovvietà, ma tutto ciò è possibile perché è stato implementato, non è presente nel gioco grazie allo Spirito Santo.

Sui confini e sulla portata della natura ruolistica del gioco c'è però un ampio margine di discussione. Io stesso non mi sono sentito molto a mio agio all'inizio nei panni di V, perché distante da me per comportamenti e obiettivi, e a quanto pare non sono pochi coloro che avrebbero preferito un protagonista meno definito e più plasmabile. Desiderio rispettabilissimo, che però forse il videogioco non è ancora pronto a tramutare in realtà (ammesso che mai ci riesca), non con questo grado di rispondenza del gameplay e non con una narrazione in mente. Ci sono limiti produttivi, concettuali, espressivi. Paradossalmente l'unico ambiente nel quale la libertà totale può funzionare è uno spazio vuoto, non propriamente un qualcosa di divertente né interessante.

È il motivo per il quale, per esempio, nell'epico Mass Effect le scelte sono limitate al manicheismo del buon blu e del malvagio rosso, la pluralità di approcci di The Outer Worlds funziona ma all'interno di confini molto più ristretti rispetto ai congeneri o i sontuosi Pillars of Eternity rimangono ancorati ai canoni trentennali dell'RPG occidentale più tradizionale. Un qualcosa che potrebbe rappresentare la prossima evoluzione del genere potremmo averlo visto nell'accesso anticipato di Baldur's Gate III (d'altronde i semi erano già piantati nei due Divinity, sempre di Larian Studios), ma occorrerà attendere il gioco completo per esprimere un giudizio in tal senso.

Molti, poi, avrebbero voluto una Night City più viva, che contribuisse maggiormente all'immersione ruolistica, ma esattamente cosa si intende con questo termine? Secondo i più sembra che per raggiungere tale obiettivo sarebbe bastato aggiungere parrucchieri, meccanici e qualche bighellonamento secondario, come in un GTA qualsiasi. La loro inclusione sicuramente non avrebbe nuociuto, ma no, assolutamente non sarebbe stata la soluzione. In un mondo vivo si ha la costante impressione che qualcosa avvenga anche al di fuori del nostro giocato e se questo, com'è effettivamente vero, non succede in Cyberpunk 2077 è perché manca una narrazione emergente, costituita da eventi e personaggi slegati da meccaniche di progressione e narrazione rigide.

Non solo, proprio il fatto che invece la stragrande maggioranza delle missioni siano inquadrate attraverso la prospettiva di un mercenario che riceve un incarico rappresenta un ulteriore elemento di distacco tra la ludica e il suo contesto. È vero, non sono casuali, ma quanto contribuiscono in Assassin's Creed Valhalla quegli eventi secondari, che si risolvono in pochissimo tempo, a dare quantomeno l'idea di un mondo vivo? Enormemente.

È su questi temi che sarebbe stato bello si fosse concentrata la discussione riguardo l'ultima fatica di CD Projekt RED, e si spera che nei prossimi mesi, con la risoluzione di molti problemi che ancora permangono e chissà, con l'introduzione di qualche novità, si possa recuperare. Anche perché forse contengono la risposta a quello che il più grande quesito, per me per ora irrisolvibile, riguardo Cyberpunk 2077: è la summa di anni di meccaniche note e collaudate o una produzione seminale, dalla quale germoglierà la nuova generazione di RPG?

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