Dipendenza e videogiochi, il problema siamo noi

Una storia come tante altre riapre il dibattito sulla dipendenza da videogiochi, che non è una patologia medica riconosciuta ufficialmente. Un ex maniaco di World of Warcraft però assolve il gioco: se fa parte di una vita equilibrata non fa male a nessuno.

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a cura di Elena Re Garbagnati

Si può essere World of Warcraft dipendenti? A quanto pare sì, stando al racconto di Ryan Van Cleave, un professore universitario che in sette anni di passione per questo gioco è arrivato a non riuscire a staccarsi dal PC per 60 ore alla settimana, farsi licenziare perché l'impiego toglieva tempo al suo avatar e a ricrearsi una vita virtuale talmente piacevole da vedere quella reale come qualcosa di avverso.

Anche se in occasione di eventi di cronaca particolarmente cruenti i media tendono ad addossare sempre più di frequente la colpa ai videogiochi, in realtà sono come sempre l'eccesso e un problema di difficoltà di adattamento alla vita sociale a creare problemi, quindi World of Warcraft non ha certo colpe. E, per la cronaca, gli esperti non sono nemmeno d'accordo sul fatto che i videogiochi possano creare dipendenza, anche se ci sono cliniche contro questa "presunta" patologia.

World of Warcraft

Jackson Toby, professore di sociologia alla Rutgers University del New Jersey, sostiene che non si può parlare di dipendenza, ma semmai di tentazioni, rese forti dalla memoria dell'esperienza piacevole che lasciano nel giocatore. Inoltre, la stessa American Psychiatric Association (APA) non intende inserire i videogame nella lista delle dipendenze dell'edizione 2012 del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali. In realtà, infatti, si può essere dipendenti da Internet, da Facebook e da una miriade di applicazioni legate al mondo PC, ma non significa che queste siano dannose o da reputarsi potenzialmente tali.

Lo stesso Ryan Van Cleave nel raccontare la sua storia, che è simile a quella di moltissime altre, ammette che per lui non era facile vivere nel mondo reale, dove si sentiva impotente e il più piccolo intoppo nella vita quotidiana, come la batteria del telefonino che si scaricava o il bambino che piangeva, lo faceva sentire profondamente demoralizzato. Da qui è nata la sua passione per World of Warcraft, che a sua detta lo faceva sentire "divino" in quanto aveva "il massimo controllo" e poteva fare quello che voleva con poche ripercussioni reali.

Ryan Van Cleave

Rifugiarsi nella realtà virtuale è stata quindi la scelta più facile, tanto da mangiare davanti al PC con cibi che potevano essere consumati usando una sola mano per poter continuare a giocare, arrivare tardi all'ecografia del suo primo figlio perché era maledettamente impegnato a giocare, e farsi detestare dalla moglie per avere scelto "una famiglia virtuale anziché quella reale". 

Alla fine, poco prima di tentare il suicidio, ha capito qual era il problema e ha cancellato il gioco dal computer. Non solo: Van Cleave oggi riconosce che "i giochi vanno bene se fanno parte di una vita equilibrata". Lunga vita a World of Warcraft e ai suoi appassionati quindi, e ricordate che i giochi sono sì un bel passatempo e non c'è nulla di male a coltivarlo, ma non l'unico.