Elden Ring, lo ho giocato per 6 ore e non mi sono stancato neanche un minuto | Provato

Abbiamo potuto provare per sei ore una build praticamente definitiva di Elden Ring e il nostro viaggio non poteva essere più memorabile.

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a cura di Andrea Maiellano

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Elden Ring è un prodotto di ampio respiro, in grado di offrire al giocatore così tante maniere per viverlo da risultare, a tratti, disorientante. La varietà di approcci, a cui si apre la nuova creatura di Miyazaki, offre altrettante strade per essere raccontata ed è proprio per questo che ho deciso di raccontarvi la mia ultima esperienza con Elden Ring, così come l’ho vissuta in prima persona. Un viaggio nell’Interregno della durata di mezza giornata, che mi ha aperto gli occhi, ulteriormente, sulla grandezza del progetto e di come possa tranquillamente porsi come un punto di arrivo, e di ovvia ripartenza, per quel filone noto come Souls-Like nato su PlayStation 3 nel lontano 2009.

Una volta avviata questa nuova build di Elden Ring, che apparentemente sembra essere quella definitiva, mi sono ritrovato di fronte alla scelta della classe con cui intraprendere il mio viaggio. Rispetto al precedente network test, questa versione mi ha offerto non solo la possibilità di scegliere una fra le dieci classe preimpostate ma anche la possibilità di creare ex novo un personaggio attraverso un editor che mi ha riportato immediatamente alla mente le decine di minuti spese, con le precedenti opere di Miyazaki, nel trovare il giusto equilibrio prima di intraprendere la mia avventura.

Dopo aver deciso di lasciare alla fase di recensione l’analisi dettagliata dell’editor, e aver scelto il classico dono iniziale nella migliore tradizione Soulsiana, opto per l’elegante arroganza del Vagabond e comincio il mio nuovo viaggio nell’Interregno. Differentemente dalla precedente prova, questa nuova build di Elden Ring si apre con una lunga cinematica atta a narrarmi alcuni fatti antecedenti il mio risveglio, tutti elementi di Lore che volutamente ignoro per non rovinarmi l’esperienza finale pur rimanendo ammaliato dalla capacità di Miyazaki di narrare in maniera eterea, riempiendomi di informazioni vaghe che mi fanno cominciare ad elucubrare sul “non detto”.

Finita la cinematica mi ritrovo in un’area inedita, decisamente differente dalla tomba in cui iniziava il network test svoltosi qualche mese fa. Seguendo un percorso molto lineare mi ritrovo di fronte a uno spazio decisamente più ampio… decisamente non un buon segno. Infatti arriva ad accogliermi la classica creatura deforme pronta a deflagrarmi in una manciata di secondi per farmi capire che, anche se in Elden Ring si potrà saltare, esplorare, girovagare, cavalcare e, forse, ballare pure il can-can… innanzitutto si deve morire.

Rasserenato dalla presenza dell’immancabile festa di benvenuto, perfettamente in linea con la tradizione di Miyazaki, il mio Vagabond si risveglia nella Cave Of Knowledge, un ambiente a me più familiare e praticamente identico a quello visto nella precedente prova. In pochi istanti mi dirigo fuori da quel lugubre anfratto, pronto a ritrovare l’Interregno esattamente come lo avevo lasciato lo scorso Novembre. Tutto sembra esattamente come lo ricordavo, con un rude uomo mascherato pronto ad accogliermi, e a ricordarmi di abbandonare ogni speranza di sopravvivenza, e l’abnorme Tree Sentinel intento a compiere i suoi giri di ronda a cavallo del suo corazzato destriero.

In pochi secondi mi creo un piano d’azione per sfruttare al meglio le ore che ho a disposizione con questa nuova build di Elden Ring: recuperare la mappa di quella porzione di Interregno, incontrare Melina per ottenere una cavalcatura, esplorare i mini-dungeon, eliminare i boss più piccoli per recuperare il maggior numero di Ceneri di Guerra, livellare un pochetto per non essere troppo debole, eliminare il temibile Margit e proseguire la mia avventura esattamente da dove l’avevo lasciata al termine dello scorso Network Test.

La prima ora spesa assieme a Elden Ring mi ha visto perpetrare il mio piano con estrema perizia: entro quatto quatto in un accampamento, ammazzo un paio di guardie attaccandole alle spalle, prendo la mappa, incontro Melina in uno specifico Site Of Grace (un punto di recupero che ricopre il ruolo del più noto falò dove poter salire di livello, gestire il proprio inventario e recuperare le energie) e cavalco in groppa al mio fido destriero per spostarmi agevolmente fra i vari mini-dungeon. Per quanto tutto sia familiare, però, qualcosa non mi torna… gli oggetti sono dislocati in maniera diversa, alcuni boss sembrano accusare un maggior numero di colpi rispetto al Network Test e, in linea di massima, tutta l’esperienza mi sembra decisamente meglio bilanciata di quanto me la ricordassi.

Perso negli ultimi incarichi auto-assegnatomi prima di andare ad affrontare Margit, un dettaglio apparentemente infinitesimale cattura la mia attenzione: un Site Of Grace, indica una direzione da seguire diversa rispetto alla posizione di Margit. Per chi non ne fosse a conoscenza, in Elden Ring ogni Site Of Grace indica, attraverso un fascio luminoso, la direzione da seguire per raggiungere il prossimo obiettivo principale della trama, un semplice suggerimento su come intraprendere il proprio viaggio senza perdere la rotta nella vastità dell’Interregno.

Quell’indicazione diversa dalle altre mi apre gli occhi su un’importante aspetto che avevo ignorato fino a quel momento: questa build di Elden Ring non ha muri invisibili atti a confinare l’esperienze e l’Interregno è, teoricamente, liberamente esplorabile… quindi perché non mettere alla prova quest’open world creato da Miyazaki? In pochi istanti le mie priorità cambiano, ora non mi interessa più affrontare Margit, e proseguire l’avventura come il più canonico capitolo della serie Dark Souls, ora voglio testare il potenziale di Elden Ring.

Salgo in groppa al mio fido destriero e decido prima di tutto di fare un’esperimento: dare le spalle al castello in cui dovrebbe proseguire la mia avventura e percorrere in linea retta la mappa fino a che ne ho possibilità, fino a che un muro invalicabile, o un ostacolo, non si parerà di fronte a me per fermarmi.

Con somma sorpresa scopro che abbandonare la via imposta è stata la più bella delle esperienze; il clima cambia in maniera dinamica, alternando un cielo, tendenzialmente, terso a uno uggioso e tetro; la notte si alterna al giorno in maniera naturale, regalando scorci incredibilmente suggestivi e rendendo ogni mia sosta in un Site Of Grace, decisamente evocativa; il bestiario si mostra, seppur parzialmente, nella sua maestosità, alternando mostruosità di ogni tipologia che, allertate dal passaggio del mio cavallo, si prodigano nel mostrarti quanto può spingersi oltre il comparto artistico del gioco.

Il paesaggio muta costantemente, passando da brulle colline a ventose pianure, alternando ripide scogliere a picco sul mare a una piccola foresta incontaminata, intenta ad accudire le rovine di una chiesa oramai ridotta in macerie. Proprio di fronte a quel cumulo informe di detriti decido di scendere da cavallo e avventurarmi a piedi quando un branco di ratti troppo cresciuti mi coglie di sorpresa paventandosi da dietro agli alberi.

In quel preciso momento mi ricordo che, per la prima volta in un titolo di questa tipologia (no, Sekiro non conta), posso saltare e inizio a barcamenarmi per raggiungere un punto più rialzato e studiarmi una contro offensiva. Salgo su una roccia e mi lancio a spada spianata per abbattere i miei avversari e noto che nella foga della battaglia non ho notato un cavaliere non morto che si era avvicinato all’area attratto dai rumori. Memore delle esperienze con i giochi action tento di saltare e attaccare allo stesso tempo, scoprendo che le offensive in elevazione permettono di rompere la postura dell’avversario e farlo barcollare (avrei scoperto solo più tardi che questa soluzione non paga contro i nemici più forti o di dimensioni più generose).

Libero l’area dai nemici e mi dedico a setacciare le rovine alla ricerca di risorse e tesori nascosti. Una volta raccolto tutto, decido nuovamente di riposarmi e, magari, usare la funzione di viaggio rapido per recarmi dal mercante incontrato all’inizio del mio viaggio per acquistare il kit da crafting che mi permetterebbe di sfruttare la moltitudine di fiori e minerali di cui ho le tasche piene. Nel mentre che penso sul da farsi noto che quell’enorme albero luminoso che si stagliava sull’orizzonte qualche ora fa, ora sembra talmente vicino da essere comodamente raggiungibile in una manciata di minuti.

Rinuncio a recarmi dal mercante e mi dirigo verso quell’albero di Berserkiana memoria. Sul tragitto incontro un mercante dalle fattezze identiche al precedente ma con i vestiti di un colore diverso. Mi fermo, speranzoso di reperire il kit da crafitng, e scopro che il suo inventario è completamente diverso da quello del suo collega. Questo venditore mi propone delle annotazioni sull’Interregno, documenti estremamente interessanti per gli amanti della lore e che si pongono come una novità per il genere. Ne acquisto un paio e proseguo in direzione dell’albero.

Nel mentre che proseguo intravedo sulla costa una folta schiera di spade di dimensioni gargantuesche, le quali si stagliano ritte come lapidi in memoria di fieri guerrieri del passato. Vicino a questo atipico cimitero di guerra intravedo un castello abbandonato a picco sul mare e, incuriosito, mi ci addentro. Al suo interno un nugolo di creature dalle fattezze a metà strada fra Gollum e la bambola assassina, mi circondando sventolando dei coltellacci. Batto in ritirata e decido di riorganizzare la mia offensiva.

Assegno un paio di Ceneri di Guerra alle mie armi (degli attacchi speciali univoci, e di natura magica, che permettono di modificare la forgiatura della propria arma e donargli un’offensiva addizionale che, in alcuni casi, permette di attaccare a distanza), sistemo le mie invocazioni e mi ridirigo nel castello. Invoco tre lupi spettrali che iniziano a distrarre i miei avversari, mentre io mi prodigo nel lanciare dei coltelli spirituali per mantenere le distanze il più possibile. In pochi minuti l’area è libera e io gongolo per come la versatilità del combat system di Elden Ring riesca a offrire approcci creativi e in grado di ribaltare le sorti di alcuni scontri.

Terminata l’esplorazione, a tratti deludente, del castello termino il mio viaggio di fronte a un informe pilastro di rocce, impossibile da scalare, sul quale si erge il maestoso albero luminoso… il primo vero ostacolo, a esclusione di Margit, che Elden Ring pone al mio viaggio. Opto quindi per cercare un Site Of Grace e tornare dove il mio viaggio ebbe inizio, il tempo a mia disposizione sta per scadere ed è giunto il momento di fare quattro chiacchiere con Margit.

Compro il kit da crafting, costruisco celermente alcune bombe e un paio di amuleti per trovare altri giocatori nelle vicinanze e mi dirigo verso il castello per sfidare il primo boss principale di Elden Ring. Prendo una deviazione lungo il tragitto per rendere più agevole il viaggio ed evitare i numerosi nemici di pattuglia e una voce che mi chiama, cattura la mia attenzione. Scopro che è un arbusto che, una volta colpito con un fendente, si rivela essere una povera creatura che fu maledetta per ragioni a me ignote. La prima di una nutrita serie di personaggi che avrei incontrato durante il mio percorso alternativo in direzione del castello.

Oltrepassato un nugolo di demoni volanti, un gigante iracondo e un piccolo manipolo di soldati non morti (e meno male che ho scelto il percorso più agevole) entro finalmente nell’angusto corridoio che mi separa dall’entrata principale del castello. Prima di addentrarmi nell’arena del boss scorgo un simbolo luminoso sul terreno… è un’evocazione. La utilizzo e uno stregone controllato dall’IA si affianca a me per provare a debellare Margit. Evoco i miei fidi lupi e attacco sulla distanza mentre il mio fido aiutante distrae l’iracondo boss ma Margit ha la meglio e ben presto mi ritrovo all’altro mondo.

Mi risveglio al Site Of Grace e Melina appare al mio fianco proponendomi di portarmi in un luogo molto lontano, dove potrò trovare il supporto che ho bisogno per proseguire il mio viaggio. Accetto di buona lena e in pochi istanti mi ritrovo all0interno di una versione “Made in Miyazaki” della tavola rotonda. Un luogo dove è vietato combattere, se non all’interno di una specifica area dove un’invasore, anch’esso governato dall’IA, mi ricorda quanta strada io debba ancora fare prima di poter essere realmente una minaccia per lui.

In pochi istanti realizzo che quest’are fuori dal tempo, altro non è che l’hub principale di Elden Ring. Quel luogo sicuro, presente in ogni produzione di Miyazaki, dove poter potenziare le armi tramite il fabbro, incontrare personaggi atti a insegnarmi nuove abilità e, presumibilmente, ospitare tutti quei personaggi che avrò modo di incontrare nel mio lungo viaggio nell’Interregno.

La mia prova giunge al termine e realizzo che ho speso mezza giornata immerso in Elden Ring senza aver nemmeno scalfito la superficie della storia principale. Più penso a come l’Interregno sia stato in grado di rapirmi con la sua varietà di situazioni, più realizzo come mai sia stato definito così tante volte come un incrocio fra Dark Souls, Skyrim e The Legend Of Zelda Breath Of The Wild.

Elden Ring riesce a essere allo stesso tempo un ottimo Dark Souls 4, uno splendido open world in grado di distrarti costantemente con un mondo vivo e decadente e un gioco di ruolo capace di farti perdere ore nel decidere come gestire il tuo personalissimo viaggio al suo interno e, una volta terminata la lunga prova, non mi sono minimamente pentito di non aver spinto sull’acceleratore per scoprire come proseguiva l’avventura principale, poiché le sei  ore spese su Elden Ring mi avevano permesso di scrivere la mia personalissima storia all’interno dell’Interregno e, specialmente negli ultimi anni, ben pochi open world mi hanno regalato un’esperienza così profonda e immersiva.