Escape From Tarkov soffre le sanzioni: economia interna a rischio

Il crollo del Rublo sta portando conseguenze gravissime non solo per il governo di Mosca, ma anche per il marketplace di Escape From Tarkov.

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a cura di Alessandro Adinolfi

Le sanzioni economiche inflitte alla Russia dopo l'invasione in Ucraina non stanno colpendo solo il governo di Mosca, ma anche altre realtà imprenditoriali, come ad esempio gli sviluppatori di Escape From Tarkov. Dal giorno alla notte, infatti, l'economia interna del gioco è sull'orlo del baratro a causa della svalutazione del Rublo, la moneta locale.

Come è possibile che le sanzioni riescano a colpire anche un marketplace virtuale? Semplice: con il sistema di microtransazioni. In breve, in Escape from Tarkov è possibile acquistare skin e fucili e rivenderli su un mercato secondario. Lo shop in-game non ha però rimosso il Rublo come valuta di pagamento e i giocatori ne stanno approfittando, rivendendo a caro prezzo in valuta alternativa (come Dollaro, Euro o addirittura Bitcoin) le loro armi. Chi aveva Bitcoin sta letteralmente guadagnando una fortuna, mentre i giocatori che sono costretti a ricevere i pagamenti in Rublo invece non stanno guadagnando praticamente più nulla.

Chiaramente per gli sviluppatori non c'è modo di arginare questo fenomeno e probabilmente non c'è neanche interesse nel farlo. D'altronde, almeno per ora, il problema riguarda solamente il mercato secondario e non quello ufficiale. Ovviamente se la situazione dovesse peggiorare (e potrebbe essere molto probabile se l'Occidente aumenterà le sanzioni alla Russia) forse il team di sviluppo prenderà dei provvedimenti, ma al momento l'economia interna del gioco sembra destinata a crollare.

Escape From Tarkov è per ora l'unico gioco che sta soffrendo le sanzioni imposte alla Russia. Nel corso della giornata di ieri l'Ucraina ha chiesto ad alcuni publisher e produttori come Sony, Microsoft e Ubisoft di fermare le loro attività nel Paese. Per ora non c'è stata risposta da parte delle realtà citate. Apple, invece, ha fermato la vendita di prodotti a Mosca e dintorni, così come tantissimi altri produttori di auto e fornitori di servizi tecnologici.

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