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a cura di Marco Patrizi

Editor

L’industria videoludica ha certamente visto numerosi capolavori e pietre miliari, ma pochi giochi rappresentano un termine di paragone per il proprio genere come Final Fantasy Tactics. Ancora oggi, quando si guarda a un nuovo RPG tattico con ambientazione fantasy, l’influenza e il confronto con il titolo Square scattano in automatico. Basti pensare a come è stato accolto il recente Triangle Strategy.

Proprio oggi ricorre il 25° anniversario dell’uscita originale di Final Fantasy Tactics e ci è sembrato giusto dedicargli una retrospettiva per raccontare la storia della sua nascita, celebrare la sua importanza ludica e la profondità dei suoi temi.

L’uomo giusto al momento giusto

La creazione di Final Fantasy Tactics è ovviamente legata indissolubilmente al suo director nonché autore della storia: Yasumi Matsuno. Un’esperienza che lui stesso definirà in questi termini:

“Questo gioco è stata la realizzazione di un sogno, sia come creatore che come giocatore. Come autore di videogiochi ho sempre voluto creare un RPG tattico usando il mondo e l’ambientazione di Final Fantasy, e come giocatore desideravo io stesso giocarci!”

Tuttavia le circostanze della nascita del titolo risalgono in realtà al desiderio di Hironobu Sakaguchi di creare un Final Fantasy tattico, dato che lui stesso è un amante di quel genere. Le idee che aveva a riguardo, però, rimasero per lo più tali, dato che Sakaguchi era troppo impegnato con i capitoli principali della serie per potersi dedicare al suo sviluppo.

Yasumi Matsuno inizia la sua carriera come game designer di Quest, per cui lavorerà a Conquest of the Crystal Palace, dirigerà poi Ogre Battle: The March of the Black Queen e Tactics Ogre: Let Us Cling Together. È soprattutto con l’ultimo titolo che si manifesta vigoroso il suo talento nel gestire un RPG tattico di grande spessore e nella scrittura con cui affronta in modo maturo gli intrighi e le tragedie derivate dalla guerra.

Subito dopo l’uscita di Tactics Ogre, negli ultimi mesi del 1995, Yasumi Matsuno lascia Quest ed entra in Square rispondendo a un annuncio di lavoro pubblicato proprio in quel periodo. Qui entra in contatto con Hironobu Sakaguchi, che aveva sempre ammirato, e non appena viene a conoscenza della sua intenzione di creare un Final Fantasy tattico si fa subito avanti, pregandolo di affidargli il progetto. Sakaguchi non ebbe difficoltà a soddisfare la sua richiesta, dopotutto era effettivamente la persona perfetta a cui affidare un titolo tattico del genere.

Ottenuto il ruolo di director, Matsuno viene affiancato da Hiroyuki Ito per supportarlo nel game design e il battle system. Ito è un elemento chiave in Square spesso non molto considerato, ma che in realtà ha curato il battle design di Final Fantasy IV, V e VI (che ha anche co-diretto) ed è il creatore del sistema ATB. L’affiancamento di Ito è stata una scelta particolare, perché non è un grande fan della strategia; lui stesso ha ammesso di trovare noiosa tutta la parte di pianificazione, assegnazione di classi, equipaggiamenti ecc. Il suo desiderio era di creare un gioco sì tattico, ma che trasmettesse un senso di azione e dinamismo.

Forse è stato anche per via della sua prospettiva meno hardcore che Matsuno ha puntato a creare un titolo che fosse più accessibile anche ai profani dei tattici. Il suo obiettivo era infatti quello di ridurre la portata del titolo a una dimensione più personale, una via di mezzo tra il concept di Tactics Ogre, che dava al giocatore la sensazione di essere al comando di un piccolo esercito, e i gruppi poco numerosi dei tipici Final Fantasy.

La collaborazione tra Matsuno e Ito non è stata quindi conflittuale e portò in verità il gioco in una direzione molto diversa da quella che aveva immaginato Sakaguchi, il quale però non pose veti e lasciò loro carta bianca nella realizzazione del progetto.

Un mondo diverso

Lo stesso Sakaguchi ha rivelato che durante lo sviluppo rimase molto colpito dal tono dell'ambientazione di Final Fantasy Tactics, così diverso dai titoli classici della serie. Ivalice è un setting cupo, inclemente, traviato dalla guerra, dove la popolazione soffre per la fame e le disiguaglianze sociali, e dove i potenti sono costantemente alla ricerca di potere, pronti a prevaricare e tradire chiunque non sia utile al proprio tornaconto personale.

È un mondo ben articolato in quanto a storia e fazioni politiche. Le vicende non ruotano completamente attorno ai protagonisti, ma esiste una complessa rete di eventi e relazioni che si sviluppano indipendentemente. Vedere scene in cui personaggi terzi, magari antagonisti, tramano e si saltano alla gola a vicenda, dà la netta impressione di essere solo una fazione in un mondo pulsante, dove i personaggi stessi lottano contro il mondo in cui vivono.

A Yasumi Matsuno venne concessa talmente tanta libertà che potè coinvolgere nel progetto alcuni autori chiave del team di Tactics Ogre: Akihiko Yoshida e Hiroshi Minagawa per il comparto artistico, e Hitoshi Sakimoto e Masaharu Iwata per la colonna sonora. Questo ha contribuito enormemente a dare a Final Fantasy Tactics una cornice unica e distinta dal resto della saga.

La differenza visiva con i contemporanei FFVI e FFVII salta subito all’occhio, soprattutto nel rappresentare un setting più medievale con una minore partecipazione di elementi fantasy. C’è chi ha criticato l’aspetto dei ritratti dei personaggi, sottolineando come i volti si assomiglino un po’ tutti tranne per i capelli. Questo evitare di calcare la mano su fisionomie particolari e bizzarre (vizio fin troppo frequente nelle produzioni giapponesi in generale) ha in realtà contribuito a rendere l’atmosfera di Ivalice più credibile e umana.

Durante le prime fasi del suo lavoro sulla colonna sonora, Hitoshi Sakimoto aveva pensato di dover in qualche modo emulare lo stile leggero e ritmato caratteristico della serie principale. Sia Nobuo Uematsu che Matsuno però gli consigliarono di lasciar stare quella via e concentrarsi sul proprio stile, basandosi sulle sensazioni trasmesse dal concept del gioco. In effetti lo stesso Matsuno ha poi dichiarato che aveva scelto Sakimoto e Iwata anche perché sapeva che avrebbero saputo esprimere il diverso mood che voleva per Final Fantasy Tactics, che si sarebbe concentrato principalmente su combattimenti tra esseri umani, piuttosto che contro orde di mostri.

I due compositori hanno effettivamente fatto un lavoro eccelso nel valorizzare la tensione delle battaglie e i sentimenti contrastanti delle cutscene. Il risultato è una colonna sonora dal vigore e stile impressionanti, che sa essere allo stesso tempo epica e toccante, ma senza risultare eccessivamente drammatica.

Tra i tanti aspetti ben riusciti di Final Fantasy Tactics, la sua formula di gioco è certamente tra le più apprezzate. Coadiuvato da Hiroyuki Ito, Yasumi Matsuno è riuscito effettivamente a creare un gioco più indulgente e accessibile rispetto a Tactics Ogre, ma allo stesso tempo più complesso rispetto alla media dei Final Fantasy classici. Essendo uscito nel 1997, poco dopo FFVII, sono stati molti i giocatori che si sono ritrovati sorpresi dalla sua difficoltà sopra la media.

Il Job System introdotto in FFV si incastra magnificamente con l’apparato tattico e anzi risulta ancora più valorizzato nella sua duttilità. Le possibilità per il giocatore gestire il proprio party sono incredibilmente variegate e aumentano esponenzialmente con l’avanzare dell’avventura. C’è un gusto speciale nello sperimentare le diverse abilità delle varie classi e schierare cavalieri con due spade, arcieri che possono salire istantaneamente sulla cima degli edifici, ninja capaci di rubare le armi dalle mani degli avversari ecc. Le possibilità sono davvero tante e alcune classi in particolare si rivelano genuinamente divertenti da usare. Sì, stiamo guardando te, Calculator (o Arithmetician).

Certo non si tratta di un gioco privo di difetti. Abbiamo un po’ tutti sbattuto il naso contro alcuni improvvisi picchi improvvisi di difficoltà; i più sfortunati, che non hanno pensato di salvare su un file di riserva, possono essersi ritrovati persino incastrati in una certa sequenza di combattimenti senza poter tornare sulla mappa per prepararsi meglio.

L’aspetto più controverso rimane probabilmente il fatto che, con un po’ di organizzazione, si possono farmare Exp e JP a oltranza e sbloccare classi e abilità che possono rendere gli scontri eccessivamente facili. Eppure questa stessa leggerezza di bilanciamento contribuisce in qualche modo alla personalità del gioco. Final Fantasy Tactics non pone dei confini entro i quali bisogna rintracciare una o due tattiche vincenti per superare un combattimento. Al giocatore viene invece lasciata l’indipendenza di sbloccare e combinare liberamente le abilità dei job e costruire una strategia propria tra tante possibili.

Potrà non essere una soluzione ideale di game design, eppure resta il fatto che proprio tale libertà rappresenta una delle caratteristiche più memorabili dell’esperienza di Final Fantasy Tactics, che al di là di come la si pensi ha segnato la storia del genere. Una libertà che peraltro lo rende un titolo particolarmente gustoso da ricominciare dopo averlo completato, proprio perché a ogni partita si possono scegliere e sviluppare party diversi.

Se per caso non avete ancora giocato al gioco, vi consigliamo di fermarvi qui con la lettura per evitare spoiler pesanti sulla trama.

Ambizione e potere

Oltre a essere un gioco appassionante e ben realizzato, Final Fantasy Tactics contiene una storia che parla della relazione umana con il potere. Un tema complesso e sfaccettato che Yasumi Matsuno affronta con straordinaria efficacia e poeticità, incarnandolo nei personaggi di Ramza e Delita. Entrambi puntano a un obiettivo molto simile, ma ciascuno di essi differisce per background e soprattutto per il metodo usato.

Delita, pur crescendo lontano dalla povertà, è perseguitato dalle sue origini popolane, che lo hanno fatto sempre sentire fuori posto nell’ambiente classista dei nobili e cavalieri e che lo hanno relegato a una situazione di impotenza. L’uccisione della sorella gli assesta un trauma profondo che gli strappa via bruscamente qualsiasi speranza nella vita che aveva vissuto fino ad allora.

Da quel momento cruciale, Delita dedicherà la propria esistenza a ricercare sempre più potere: diventerà un abile guerriero e un manipolatore astuto e implacabile; grazie alle sue trame ardite riuscirà a scalare i ranghi della società fino alle vette più alte. Il suo intento è quello di perseguire qualsiasi inganno, doppio gioco e sacrificio di vite umane pur di innalzarsi, alfine, al di sopra degli oligarchi del regno e non venire mai più usato da loro.

L’ambizione di Delita non è mai dettata dalla cupidigia, ma dal desiderio di rendere Ivalice un posto migliore, un regno dove l’aristocrazia non opprima più i cittadini comuni, dove nessuno debba più essere calpestato come sua sorella. Egli è accecato dalla miope convinzione che il potere sia l’unico mezzo possibile per cambiare le cose. Non è quindi un “villain” vero e proprio, quanto piuttosto un anti-eroe. Il suo intento finale è nobile, ma i suoi metodi creano a loro volta sofferenza.

Il problema è che la sua motivazione è influenzata dalla cieca vendetta e che, nella sua profonda sfiducia verso il prossimo, egli decide di affidarsi unicamente a sé stesso, respingendo chiunque altro. Il “fine che giustifica i mezzi” che muove la sua mano e il potere politico che ottiene in tal modo lo rendono in tutto e per tutto simile ai crudeli mostri che ha giurato di combattere. Trascinato dal suo stesso consequenzialismo, egli scrive da solo la sua condanna, sacrifica la propria umanità e quindi qualsiasi possibilità di essere felice.

Anche quando trova in Ovelia una persona da proteggere e amare, ciò che ha fatto e che è diventato gli preclude la sua fiducia e il suo amore. Nella scena post credits del gioco è racchiusa tutta la tragicità del suo cammino: l’uomo che dal nulla ha ottenuto il controllo di un regno viene pugnalato dall’unica persona che sperava di poter amare. E in quello straziante attimo di tradimento e disillusione, l’unica cosa di cui è capace è pugnalarla a sua volta. Delita ha ottenuto tutto, ma è rimasto senza amore e senza amicizia, solo con la propria corona.

Privilegio e umanità

Per via della sua parabola drammatica, solitamente Delita viene visto come un personaggio più profondo e sfaccettato di Ramza, il quale invece viene considerato troppo “bravo ragazzo”. E ci sta, gli anti-eroi dall’incrollabile determinazione che si spingono a oltrepassare i limiti morali hanno da sempre un fascino straordinariamente umano. Eppure anche il protagonista principale di Final Fantasy Tactics si rivela un veicolo per parlare di un tema importante che ancora oggi avrebbe bisogno di grande attenzione: quello del privilegio.

In quanto parte della famiglia Beoulve, pur non essendo un “purosangue”, Ramza fa parte della nobiltà di Ivalice e in quanto tale non subisce lo stigma classista che viene riservato a Delita. Tuttavia anche lui si trova costretto a fare i conti con quello che implica la sua appartenenza sociale. Nelle primissime fasi del gioco, dopo aver ucciso in combattimento dei criminali, lo vediamo commentare: “You wouldn’t have died this way if you’d led an honest life.”

Come ci si aspetterebbe da un sedicenne cresciuto in una famiglia agiata, Ramza dimostra un’evidente ingenuità nei confronti della situazione socio-economica di Ivalice ed è convinto che la criminalità sia semplicemente una questione di scelta di vita. Una convinzione dualistica fin troppo frettolosa e diffusa, affrontata in numerose opere (tra cui anche il recente The Batman).

Poco dopo, però, le sue acerbe certezze vengono messe in discussione dal confronto con Miluda (Milleuda), membro della Corpse Brigade. È lei che gli sbatte violentemente in faccia la dura realtà: il fatto che dopo la Guerra dei Cinquant’anni Ivalice è stata ridotta alla fame, senza che i nobili rinunciassero a nulla per aiutare la popolazione, che quindi si è trovata costretta a ribellarsi contro l’autorità e darsi al brigantaggio; non per cupidigia o egoismo, ma per puro senso di sopravvivenza. Ed è sempre Miluda che dice a Ramza chiaro e tondo che non le importa se lui in particolare non ha colpe, perché in quanto nobile fa comunque parte di una classe che opprime la gente comune. Il giovane comincia finalmente a rendersi conto che la rabbia esasperata delle persone come lei è comprensibilmente rivolta a un sistema fondamentalmente marcio e ingiusto di cui, volente o nolente, anche lui fa parte.

Cruciale è anche il confronto con Algus (Argath), un personaggio platealmente negativo che con il suo classismo radicale incarna la consapevole complicità in quel sistema oppressivo. Egli mette il protagonista con le spalle al muro, ricordandogli che in quanto parte della nobiltà ha il privilegio di poter fare quello che molti altri non possono. Ramza capisce che anche se non ha chiesto lui di nascere nel privilegio, sarebbe una razionalizzazione che non lo esenta da tale responsabilità, che gli piaccia o no.

Il difficile tema sta effettivamente tutto qui. Anche se nel prologo Ramza è un ingenuo ragazzo che non ha consapevolmente fatto niente di male, il suo status di nobile implica necessariamente una tacita complicità in un sistema ingiusto. Capisce che è compito suo saper rispondere a quella che è comunque una sua responsabilità, che è qualcosa di diverso dalla “colpa”.

Tale situazione è chiaramente sovrapponibile al tema del privilegio che continua a caratterizzare la nostra società contemporanea. Anche senza essere dei nobili, molti di noi rientrano in una o più categorie privilegiate rispetto ad altre; un privilegio che storicamente si è cristallizzato tramite meccanismi politici e sociali ingiusti. In tale condizione è fondamentale non sentirsi “incolpati” e non ripararsi dietro una testarda auto-apologia, ma accettare la responsabilità della propria condizione e fare quello che possiamo per pareggiare le differenze sociali. Perché se rifiutiamo tale responsabilità saremo tacitamente complici di un sistema che non riconosce l’uguaglianza di tutte le persone.

La morte della sorella di Delita è l’ultima goccia che fa sgretolare tutte le sicurezze della vita di Ramza. Preso dallo sconforto e dal senso di colpa, deciderà di non supportare più tacitamente quel sistema corrotto e rinuncerà a far parte della famiglia Beoulve. Dopo il prologo, tenterà con tutti i modi di rimediare a quel tragico evento e di contrastare attivamente le sordide trame dei potenti di Ivalice.

Il percorso che intraprende è diametralmente opposto a quello di Delita. Egli parte come nobile ma rinuncia spontaneamente a tutto il suo potere, che ha capito essere fonte di diseguaglianza e sofferenza. Finirà per essere un ricercato dalle autorità, ma la via dell’abnegazione e della virtù (insegnatagli dal padre) gli faranno guadagnare il sostegno di nuovi alleati e amici.

Anche Ramza mira a creare una Ivalice migliore, ma senza bramare né rincorrere il potere e senza compromettere la propria umanità. Sarà sì ricordato come un eretico, ma avrà guadagnato l’affetto delle persone attorno a lui e contribuito a un cambiamento positivo. Dopo l’epilogo del gioco, l’amico Olan (Orran) si premurerà di trascrivere la storia della Guerra dei Due Leoni, per raccontare la verità sul ruolo di Ramza, che verrà alfine riabilitato agli occhi della Storia.

Oltre che per questi temi così profondi, l’apparato narrativo di Final Fantasy Tactics brilla proprio grazie al complicato rapporto tra Ramza e Delita. La storia del gioco è pervasa da una straziante malinconia che vede protagonisti questi due uomini cresciuti insieme, che a modo loro tengono l’uno all’altro e incrociano il proprio cammino più volte proseguendo verso un traguardo simile e allo stesso tempo così diverso. Due amici fraterni fatalmente divisi da un fato crudele e dal modo in cui si sono rapportati al potere, che diventeranno tragicamente uno l’antitesi dell’altro.

Dopo 25 anni, Final Fantasy Tactics continua a essere un titolo godibile e a suo modo molto attuale, sebbene tecnicamente arretrato. Dopo aver collaborato per la serie di quest “Return to Ivalice” di Final Fantasy XIV, speriamo davvero che Yasumi Matsuno venga coinvolto in un nuovo progetto che gli permetta di esprimersi come autore, perché sentiamo un immenso bisogno del suo talento.