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a cura di Massimo Costante

Senior Editor

Dopo la notizia circolata nei giorni scorsi, che mette alla luce la dipendenza dai videogiochi riconosciuta come patologia dall'OMS, nel web si è nuovamente aperto il dibattito tra studiosi del settore, medici e, soprattutto, noi giocatori. Ma qual è la verità?

All'inizio del 2018, si era già parlato dell'inclusione del disturbo legato alla nostra passione videoludica, e nei mesi successivi i pareri in merito si erano fatti piuttosto contrastanti. Trentasei esperti di salute mentale provenienti da illustri istituzioni universitarie come Oxford, Stoccolma, Sydney e l'Università John Hopkins, si scagliarono contro la decisione dell'OMS con un articolo sul Journal of Behavioral Addictions, dove asserivano la scarsa solidità del fondamento scientifico alla base delle ragioni dell'OMS.

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E non mancano neppure gli studi a favore del nostro passatempo preferito, come quello pubblicato sulla rivista Annals of Neurology, che evidenzia come l'uso razionato dei videogiochi offra numerosi benefici ai ragazzi, come l'accrescimento delle abilità cognitive e un miglioramento delle capacità motorie.

Gaming disorder. Un aggiornamento necessario.

Ma il «gaming disorder» è stato definitivamente sdoganato nell'11th International classification of diseases del 2018, dopo che la lista dei disagi e delle patologie mentali non veniva aggiornata da oltre ventisei anni. Un aggiornamento necessario, a quanto pare, nonostante questa includa già da tempo altri disturbi riconosciuti come la dipendenza dal gioco d'azzardo e quella dal web. Quest'ultima, per ragioni pratiche legate all'intervento sui pazienti che necessitavano di cure, legava a doppio filo pure alcune vicende riportate sul libro Lifebook - Internet e (a)social network che ti cambiano la vita, legate a "potenziali dipendenze dai videogiochi", colmando un vuoto della ricerca medica sul fenomeno, come dimostrano i dati degli unici due centri di cura italiani per la dipendenza da internet, ovvero il primo centro all'Ospedale Molinette di Torino diretto dal Dott. Tonino Cantlemi e il Policlinico Gemelli di Roma.

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In altri Paesi nel mondo, specialmente in quelli asiatici, la patologia è un problema riconosciuto già da molti anni. Per esempio, in Cina un noto provider asiatico ha bloccato l'accesso ai videogiochi per i minori in alcune fasce orarie; stesso provvedimento è stato intrapreso in Corea nel 2011 con una legge per impedire l'uso dei videogiochi tra mezzanotte e le 6 del mattino. Una linea più morbida è stata adottata in Giappone: gli utenti che passano troppo tempo a giocare, vedono apparire sullo schermo un monito sotto forma di pop-up.