I videogiochi non trasformano in killer

Harvard Medical School sconfessa il legame tra violenza e videogiochi

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a cura di Dario D'Elia

Giocare ai videogiochi non trasforma i ragazzi in killer. Affermazione scontata per milioni di appassionati, ma non per la comunità scientifica che da anni dibatte sulla questione. Ecco, forse l'ultimo capitolo di questa noiosissima querelle l'hanno scritto un gruppo di ricercatori della Harvard Medical School. Nell'ultimo studio "Grand Theft Childhood: The Surprising Truth About Violent Video Games and What Parents Can Do" appare finalmente chiaro che non esiste alcun dato che confermi il legame tra la violenza sullo schermo e quella nella realtà.

Dopo due anni di ricerca su circa 1200 studenti statunitensi di Scuola Media, i due psicologi Lawrence Kutner e Cheryl Olson hanno candidamente dichiarato che "i videogiochi non generano violenza". Rispetto al passato, però, è stata adottato un nuovo tipo di approccio: nessun esperimento in laboratorio per misurare aggressività, bensì semplici colloqui. "Sembra bizzarro ma non è mai stato fatto prima", ha sottolineato Kutner.

Insomma sono state rilevate delle correlazioni, ma non rapporti di causa/effetto. Chi ha giocato a titoli violenti si è azzuffato poco di più rispetto a quelli che hanno giocato titoli più "leggeri". Non è chiaro però se i giochi incrementino l'aggressività o se i ragazzi aggressivi siano attirati dai giochi più violenti. "Solo una minoranza che gioca molto si azzuffa altrettanto. Se vuoi una buona descrizione dei tredicenni che giocano a qualcosa di violento, dai un'occhiata alla tua squadra di calcio locale", ha aggiunto Olson.

"Se avessi una figlia, ad esempio, che gioca 15 ore alla settimana solo giochi violenti, sarei preoccupato perché non è normale", ha dichiarato Kutner. "Ma per i ragazzi il problema non è giocare solo ai videogiochi perché è una cosa comune per questa generazione, si tratta di una misura di competenza sociale".