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a cura di Raffaele Giasi

Senior Editor

Cristian Steve Scampini

Partiamo da una domanda banale: secondo te perché in Italia è così difficile associare il videogame al concetto di arte?

Credo che il problema sia un pochino più a monte rispetto alla problematica del videogame associato a un’opera d’arte. La problematica dell’arte in Italia esiste semplicemente perché siamo un paese meravigliosamente pieno di contraddizioni in cui, appunto, l’arte per noi è un elemento fondamentale e su cui si fonda la nostra cultura, pur vero che è quello che viene valutato e supportato di meno. Il motivo è che non se ne comprende il vero valore nel breve periodo, che non è solamente quello economico ma quello di nutrire la mente alla stregua di un libro. É un bisogno dell’essere umano e il recente lockdown un pochino ci ha dimostrato che noi, se siamo chiusi dalla socialità, ci rintaniamo in noi stessi e senza opere di qualsiasi tipo di media che sia la televisione che siano serie TV, fumetti, libri, videogiochi, impazziamo. Quindi le opere di qualsiasi genere non sono solo intrattenimento, ma diventano un nutrimento per la mente, ma questo concetto, per quanto chiaro, si scontra con l’accezione del videogioco, che viene ancora considerato come qualcosa per bambini, per ragazzini, qualcosa di non serio. Diventa più chiaro, quindi, comprendere come sia difficile elevarlo a un qualcosa che venga riconosciuto da altri tipi di istituzione perché, per assurdo, definire cosa sia o non sia arte oggi non dipende nemmeno dagli artisti, ma solamente da chi la valuta e poi la vende. E credo che questo sia un punto davvero fondamentale.

Mi dici una cosa interessante ed a cui non ho mai pensato: l'arte definita quanto tale dal mercato, e non dal fruitore. Eppure, se ci penso, non mancano casi di videogame venduti a prezzi “da museo”, come ad esempio le copie originali e intatte di Super Mario o simili. Ma allora perché neanche quello riesce a far identificare i videogame come arte?

Proviamo ad arrivarci assieme così che possa esprimerti il mio pensiero su questo punto di vista. Diciamo che finché le opere sono singole, delle punte, chiaramente hanno valore e hanno valore anche come risonanza sociale ma non è sufficiente. É un po’ come il discorso della tecnologia per tutti. É chiaro che la tecnologia diventa per tutti nel momento in cui è accessibile. Quindi il singolo oggetto può avere valore, può essere riconosciuto come opera d’arte, avere una valutazione elevatissima, ma la verità e che la risposta sta nell’artigianato, nei prodotti artigianali di cui l’Italia è sempre stata autrice, perché l’Italia è piena di artigiani in ogni senso. E quindi solo nel momento in cui tu vai a valutare un’opera di artigianato dandogli il giusto valore diventa qualcosa che può essere considerata realmente un’opera d’arte. Un qualcosa che in Italia c’è sempre stato e che si può vedere quando, dove ti giri ti giri, ci sono opere d’arte nel nostro paese. Questo perché ai tempi che furono veniva commissionata qualsiasi opera civica e non, e c’era una cura dei dettagli che divenne uno dei punti fondamentali dell’arte in Italia. Basta vedere le cancellate, i tombini o le piccole cose che puoi notare nelle città. Per gli artisti dell'epoca, lavorare in quel modo significava elevare il loro operato per dargli un’impronta personale. Era un qualcosa di diverso. Per questo motivo si è creato un gap così grosso fra quello che viene riconosciuto come arte perché dietro c’è una cura del dettaglio e un’attenzione alla realizzazione rispetto a un prodotto più industriale. Motivo per cui viene riconosciuto l’amore impresso in opere più indie e ricercate, come potrebbe essere un Journey, come dall’altro vengono celebrate le grandissime opere come Assassin’s Creed, per fare un esempio, dove viene riconosciuta l’enorme ricerca svolta per realizzarlo.

Ok, ma allora quanti tipi di arte esistono nel mondo dei videogiochi?

Questo è il problema, perché i vari livelli di arte vengono decisi da tutti gli attori in campo. E, purtroppo, questi ultimi sono tanti. Dal mio punto di vista sono l’utenza e chi vende questo tipo di prodotti che definiscono cosa sia arte. Ti faccio un esempio per quello che possa riguardare il mio campo: io posso aggiungere tutta una serie di elementi artistici all’interno di un personaggio ma io, come la maggior parte di quelli che lavorano in questo settore, so già che il 90/95% della gente non ci farà mai caso a tutti i dettagli che compongono il personaggio. Questo perché in media c'è stato un abbassamento del livello culturale, ed anche questo ha determinato alcune politiche di mercato. Un po' come succede per il cinema, esistono alcuni blockbuster che, a prescindere dal tempo della loro uscita, sono poi diventati dei cult perché rivalutati da una fetta sempre più ampia di pubblico che con essi è entrato in risonanza. È stato il tempo che ha dimostrato come quei film, a oggi, vengono considerate opere intramontabili. La cosa curiosa è che oggi questa cosa può succedere anche per opere mediocri, quando il pubblico ne diventa il maggior fruitore o sostenitore. Va poi detto che anche il lavoro più mediocre comporta notti insonni, mal di stomaco e sforzi sovrumani, ma questa è una cosa che può capire solo chi è del settore. Un utente non lo capirà mai, e si limiterà ad un giudizio più superficiale, ma va bene così.

Però in questo modo ho una prospettiva disastrosa del mondo dell'arte nei videogame. Se le cose stanno così, come fa un artista in un contesto del genere a non demotivarsi?

La maggior parte degli artisti si dividono in varie categorie: ci sono quelli che trattano questo mestiere come un lavoro, senza neanche porsi il problema del fare arte o meno, contribuendo semplicemente al risultato finale, quelli che cercano disperatamente di comunicare qualcosa e usare il media come mezzo per scuotere il pensiero critico e quelli che stanno nel mezzo e provano a fare entrambe le cose. Ovviamente, anche in questo caso ci sono differenziazioni da fare, perché un conto è lavorare a un progetto indie dove si è in pochi e viene più facile inserire una parte del proprio estro, un altro è lavorare a un tripla A, dove sei uno di migliaia e risulta più difficile metterci un’impronta personale. Anche in questo caso, però, il problema è che un prodotto indie con un bacino di utenza ridotto veda sfumare la possibilità di mostrare il proprio estro, quindi numerosi artisti fanno sia l’uno che l’altro, ritrovandosi comunque a fare molta fatica nell’esprimersi. Questo perché alla fine il videogioco è un prodotto e in quanto tale deve vivere delle vendite, mentre l’opera d’arte, per come la concepiamo in Italia, è un prodotto fine a sè stesso che serve a elevare o l’artista o il committente. Traslato in questo settore sarebbe come fare un videogioco solo perché si vuole fare un bel videogioco e non per guadagnare. Una cosa che al giorno d’oggi non esiste. Non esistono più magnati di questa tipologia.

Alcuni dei tuoi colleghi, anche in questa intervista, parlano di un problema culturale, quasi di scolarizzazione, dietro al perché ci sia scarsa considerazione del videogame come arte (e dell'arte in generale). Tu cosa ne pensi in merito?

Considerando che sempre, in linea generale, tendo a evitare sia in ambito pubblico che privato di entrare in discussioni di ambito politico, la scolarizzazione è indubbiamente un problema che si ripete, perché non è qualcosa ferma nel tempo, si deve aggiornare e tendere al meglio, bisognerebbe a mio giudizio mettere al centro di tutto l'amore per lo studio, la cultura e anche per l'arte, formare persone e non lavoratori. Sono tutte cose che, secondo me, possono renderti una persona migliore, ma che invece si vedono insegnate sempre di meno. Anche io mi sono chiesto il perché. Mi sono domandato: “perché oggi non si riesce a insegnare la curiosità nel volersi informare su qualcosa?”, e la risposta che mi sono dato è che nell’ottica generale e consumistica non c’è nessun vantaggio sociale o politico. Sembra che l'obiettivo unico sia l'inserimento nel mondo del lavoro, che è giusto, ma che non andrebbe perseguito come unico obiettivo, ed è per questo che poi a livello scolastico troviamo delle materie che sono estremamente vecchie, attaccate a un’istruzione estremamente rigida.

Ma allora la situazione è davvero disastrosa? Riassumendo: non c'è cultura, non c'è amore per l'arte, e l'artista, almeno nel mondo dei videogame, non viene considerato perché la gente non si accorge di quello che fa. Ma allora l’artista che deve fare per riuscire a costruirsi il suo spazio in questa realtà, e fare in modo che quello che fa abbia un senso e un valore?

Diciamo che siamo un buon numero, ma ci facciamo sentire poco, anche se il processo è di tipo meccanico, quindi basato su di una commissione all’interno di un gruppo di lavoro, un artista prova comunque a spingere, a sforzarsi ogni singolo giorno nel fare spazio per mettere dell’arte in quello che si fa. Pur sapendo che non arriverà a tutti, che probabilmente arriverà soltanto al 5% o al 10% delle persone che lo seguono. Lo si fa sperando che qualcuno di nuovo lo scopra, si spera che il prodotto sia conosciuto, che venga maggiormente riconosciuto nel tempo, e che quindi, giorno dopo giorno, nuove persone riescano a scoprirlo. Tantissimi altri artisti che conosco spingono anche sull’insegnamento, sul mentoring. Altri magari fanno delle dirette mostrando le loro tecniche, perché sanno che dando questo materiale gratis hanno modo di diffonderlo. In sostanza, l’unica cosa che possono fare gli artisti è sperare che il progetto su cui stanno lavorando abbia il successo e il riconoscimento che merita. Purtroppo questo riconoscimento artistico deve passare attraverso quello economico se si vuole diffondere il proprio operato. É un fattore estremamente frustrante e, ahimè, fa anche parte della natura degli artisti stessi il che ci rende tutti un po' bipolari... o tripolari!

Diciamo che fondamentalmente uno su mille ce la fa?

La cosa è che tutti e 1000 ci provano e nessuno ce la fa. Poi di tanto in tanto qualcuno di noi ci riesce e tutti e mille andiamo a stringergli la mano ringraziandolo per esserci riuscito. Diciamo che non credo negli eroi salvatori della patria, ma più nel lavoro e nell’integrità di ognuno.

E tu come convivi con questo modo di lavorare? Come senti di poterti esprimere in questo contesto così difficile in cui pare impossibile emergere?

Per quel che riguarda me, ho diversi progetti personali in corso basati sull’Italianità. Sostanzialmente diciamo che parte proprio dal nostro discorso sulla cultura, per riuscire non soltanto a mettere dell’arte nei videogiochi ma a spingere l’Italia attraverso di essi. Lo scopo è quello di presentarsi al mondo al di là degli stereotipi, per mezzo di un prodotto che abbia un grande valore culturale e artistico.

Quindi non stiamo parlando di fare un gioco sviluppato in Italia?

Sì e no. Può anche essere un grosso gioco ma, soprattutto, deve essere un gioco focalizzato. Un prodotto che trasudi della cultura italiana, nello stesso modo in cui, guardando un certo tipo di giochi americani o giapponesi, li si riesce subito a rimandare al paese d'origine. Quello che intendo io potremmo chiamarlo “passaggio archetipale” che vuol dire fare in modo che tutto l’impianto culturale venga trasceso e non sia il punto principale ma il sottofondo. Per intenderci è un po' quello che succede nei giochi che traspongono la mitologia asiatica, per cui, grazie a manga, anime ed altri prodotti di stampo orientale, oggi come oggi non è difficile rimandare le persone ad un certo tipo di immaginario culturale.

Mi sembra un progetto davvero bellissimo, ma anche estremamente ambizioso. Sinceramente penso che questo sia davvero “fare arte” con i videogame, oltre che cultura ovviamente.

Esattamente! Il punto è proprio quello: facendo conoscere la nostra vera cultura, tutti quegli stereotipi che circondano il nostro paese cadranno o verranno percepiti in modo differente. Il bello è che, parlando con tanti artisti in questi anni, provenienti da ogni ambito, come lo sviluppo, ma anche fumettisti, disegnatori e illustratori, sembra che tutti si auspichino qualcosa del genere, ovvero una caduta degli stereotipi culturali.

Ma allora perché non si è mai fatto nulla del genere?

Vorrei dire che il problema è sempre lo stesso: manca un magnate illuminato che dica “non me ne frega niente che incassa zero, facciamolo!”, ma non è così, non del tutto almeno. Curiosamente se ci pensi molta della cultura italiana viene diffusa dall’estero, che sembra più capace di noi nello spiegare la nostra cultura, o quanto meno a venderla. Ti basti pensare a tutti quei prodotti di successo che hanno avuto, come punto di partenza, la cultura italiana, come gli Assassin's Creed con Ezio Auditore, ed attraverso cui si racconta la nostra cultura, a noi, ma con gli occhi degli altri. Io mi auspico, invece, un futuro in cui saremo noi a parlare della nostra cultura agli altri, presentandogli anche tutti quegli aspetti dell'essere italiani che, col tempo, sono stati nascosti dagli stereotipi. Il processo è lungo, doloroso, in molti ci stanno provando, ma forse un giorno lontano con molta umiltà inizieremo a capire come fare.