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a cura di Raffaele Giasi

Senior Editor

Partiamo proprio dalle basi: perché, secondo te i videogame non sono considerati arte?

Anzitutto ti dico che per me lo sono, ma penso che vada capito quali sono quegli elementi che minano alla base la percezione del videogioco come arte. Penso che, prima di ogni cosa, ci sia il fatto che i videogiochi sono un'arte nuova e, soprattutto, convergente. Nel videogioco ci sono anche la musica, la narrazione, la narrazione sequenziale, è attraversato dal cinema, ma non è assolutamente cinema. I videogiochi sono una forma d'arte che può ipoteticamente fare da collante fra tutti questi medium artistici, ma il cuore pulsa di pura l'interazione, ovvero di quelle scelte che compi in quanto giocatore e che ti portano a pensare in una maniera diversa dal solito. La somma di questi concetti è l'oggetto artistico in mano a game designer ed è quello che rende un videogioco arte, oltre a renderlo così difficile da individuare come forma artistica, perché è una forma artistica “invisibile” che fa da piattaforma a stimoli sensoriali tradizionali. 

In che senso invisibile?

Nel senso che è un'arte che si manifesta su un piano fatto di scelte, di volontà, di sensibilità, di relazioni, e del quale ci risulta quindi difficile individuare i confini partendo dalle sue membra sensibili. A complicare le cose nel mezzo c'è pure il “gioco”, inteso come divertimento in sé e per sé, anche se persino il mero “giocare” nasconde in sé un messaggio che, ancora oggi, fatichiamo a percepire con chiarezza.

Questa cosa mi incuriosisce, quindi secondo te c'è un messaggio anche in un arcade?

Certo. Anche se pensi a giochi radicalissimi, privi di qualsivoglia impianto narrativo  come Pong, giusto per citarne uno davvero estremo. Quella mancanza, quel vuoto, contribuiscono ad un impianto formale che ha un enorme valenza comunicativa/artistica. In realtà i giochi hanno quasi sempre dei messaggi molto forti anche se inconsapevoli. E’ così perfino per il calcio.

Ma allora perché non si ha la percezione chiara dell'arte dietro al videogioco?

Penso che il motivo numero uno sia nella natura del videogioco, il cuore del videogioco, l'interazione, è una forma espressiva con cui non siamo ancora abituati a comunicare nel quotidiano. Inoltre credo che ci sia anche una minaccia enorme alla base di tutto, che è il sistema commerciale su cui si appoggiano i videogiochi, ovvero il fatto che i videogiochi siano legati, a doppia mandata, a una piattaforma che ha una deperibilità rapidissima nel tempo. Per farti un esempio, è come se tu avessi un quadro di Caravaggio che rimane incagliato in un momento preciso della storia, e se non hai a disposizione una macchina del tempo, semplicemente non puoi fruirne in alcun modo, e questo è un problema enorme che ha a che fare con il modo in cui le aziende che creano videogiochi decidono di legarsi all'hardware. 

Quindi tu dici che finché esiste l'hardware i videogame non potranno essere arte? 

Dico che finché le grandi società come Sony o Nintendo, giusto per citarne un paio, punteranno tutto sull'hardware, legando ad essi i contenuti migliori che hanno, e dunque i videogame non saranno liberi come, ad esempio, il cinema, resteranno dei prodotti molto bassi, cioè trattati come della merce di consumo con un'obsolescenza e delle finestre commerciali specifiche. E’ difficile prenderli sul serio, poiché l'essere legati così strettamente a specifiche macchine per essere fruiti li rende, in qualche modo, ciarpame commerciale. 

E allora che facciamo, ci rifugiamo nelle remastered e le cominciamo a considerare come uno strumento di conservazione? 

No, perché le remastered non sono affatto un sistema di conservazione rispettoso delle opere originali.

Ok, visto che ne ho scritto proprio di recente questa cosa mi interessa: perché secondo te le rimasterizzazioni dei classici non possono aiutarci nella preservazione? 

Per un motivo artistico, e ti porto un esempio: Shadow of the Colossus. 

In che senso?

Lavorare con una specifica console significa dover fare dei compromessi, e sono compromessi “da artista”, nel senso che una console ha delle specifiche tecniche molto precise e tu, come artista, ti devi imporre delle scelte fra quello che è importante e quello che no. Usare le risorse che hai nel modo migliore possibile per arrivare a meta. Se già un budget e un time frame sono spesso decisivi per le scelte creative di un artista, la natura fissa e indeformabile delle feature tecnologiche di una console, impongono da sempre la scelta su cosa tenere dentro un progetto e cosa no, su dove è necessaria una stilizzazione e dove è necessaria una concentrazione di mezzi straordinaria. Tornando a Shadow of the Colossus, nel realizzarlo Fumito Ueda ha preso una serie di scelte assurde, apparentemente fuori di testa, come quella di utilizzare una risoluzione ibrida o utilizzare il motion blur: è l'unico videogioco per PlayStation 2, che esista ad avere il motion blur, una tecnica di rendering completamente fuori portata per l’hardware e che infatti diventerà disponibile solo nella generazione successiva. Perché queste scelte? Per aumentare il senso di smarrimento quando sei aggrappato ai colossi, o il senso di grandezza delle creature che, furbamente, viene amplificato dalla lentezza del frame rate, dalla farraginosità del processo di rendering. Il gioco letteralmente rallenta assieme ai colossi, che sono creature immense, lentissime, e che a loro volta rallentano il gioco che sembra tenere a malapena lo sforzo titanico di rappresentarli. E la sensazione finale è che sia tutto giustissimo: il fatto che il gioco rallenti quando entra una creatura di quattrocento tonnellate sullo schermo, che quando pesta i piedi per terra, il colosso, generi una quantità di nubi in alpha channel che distruggono il framerate. Quella roba là... è come scegliere di sgranare un segno di pennello su di una tela. Lì il medium è il messaggio. Se quel gioco lo mandi a 60 frame al secondo, hai buttato metà dell'opera di Fumito Ueda.

E dunque una remastered distruggerebbe “il segno del pennello sulla tela”

Esatto! Se tu alzi la qualità delle texture di un'opera che è stata concepita in un certo modo per delle esigenze tecniche e di design, ne distruggi anche le scelte artistiche che stanno a monte e che tengono conto della macchina su cui stai lavorando, sul numero di informazioni uniche su cui pui contare (la risoluzione di un’immagine raster, ad esempio). È come prendere un disegno fatto con un pennarello 0.5 su un foglio A4, ingrandirlo settecentomila volte per poter fare la linea più sottile possibile: non è che migliori le cose, fa sparire semmai le mie scelte. Perché io, per stare in quel formato piccolo, ho dovuto tirare fuori la mia arte, capire come usare lo spazio al meglio.

Tornando però alla questione del concetto di videogame come arte, ben chiaro che il punto non sono le persone che parlano e masticano videogame, ma tutti quelli all'esterno delle nostre “bolle” da appassionati, secondo te come si comunica il videogioco a queste persone? Ovvero a chi, per dire, non sono proprio interessate all'hardware, al software, però, paradossalmente, magari riescono a capire che il cinema è arte? Come si arriva a loro secondo te?

Ci si arriva con l'accessibilità. Il mercato ha un problema, le console sono un problema, ed inoltre penso ci sia un problema all'origine, che è la percezione chiara di dove sta davvero l’arte nei videogiochi. Tu da ragazzino hai giocato a Super Mario, no? 

Certo!

Ok, Super Mario è un videogioco in cui tu devi andare da A a B all'interno di un livello e devi cercare di sopravvivere e puoi fare una quantità di punti. Okay? Ora, noi occidentali, abbiamo un ordine di idee che è quello che se tu devi andare da A a B, la strada migliore è quella più breve, con minori rischi e con il maggior quantitativo di efficienza possibile. La strada più breve, sicura e quindi la più efficace. Super Mario però ti insegna che se tu fai il giro largo, ti abbassi su tutti i tubi perdi più tempo, ti esponi a rischi maggiori, ma può essere che becchi un passaggio segreto, dove trovi tante  monete, dove guadagni il doppio e magari vinci una vita e giochi di più. Quindi è un videogioco che, quando tu arrivi dall'altra parte, se fai la strada lunga, ti premia (e ti fa incontrare una fidanzata, a margine). 

E diremmo che questa è “arte”.

Esatto, perchè ti comunica un modo di vedere la vita. Ora, ma qual è la forma d'arte di Super Mario? È quella piantarti un'idea nel cervello che è relativa alla scelta che farai nell'approcciarti al gioco, e per cui ti dirai: “mi sbrigo o provo a vedere se c'è dell'altro?”, “faccio quello che mi viene chiesto, o faccio un po' di più?”. Insomma, ti impone una logica che, se ci pensi bene, è un po' la logica che muove il pensiero giapponese. La cosa interessantissima di tutto questo è che Super Mario ha spostato il modo di pensare tipicamente orientale sulle menti degli occidentali, cioè, quel livello di cercare di complicarsi la vita che ti impone un videogioco come Super Mario. Questo è possibile perché, al di la della sua formula arcade, Super Mario ha in realtà un profondo lato artistico, attraverso cui ti sta cambiando. e lo fa attraverso una serie di scelte interessanti. Attraverso la scelta fa quello che fanno le opere d'arte. E qui veniamo all'accessibilità: se ci pensi, tutto questo è lì, a portata di mano, ma non è immediatamente percepibile, perché è un tipo di arte che noi non riusciamo a riconoscere subito, perché lo spettatore non è ancora in grado di rendersi conto dei messaggi che i videogiochi riescono a veicolare, specie quando sono nascostissimi. È un'arte in piena regola, forse fra le più potenti in assoluto, ma è invisibile.

Ma se è così, allora come facciamo a spiegare ed a creare questa coscienza e quest'occhio nella visione di un videogioco?

Ci vuole del tempo. Ci vuole del tempo ma, soprattutto, ci voglio anche delle opere consapevoli. Spesso, invece, si tende a prendere come riferimento del videogame come arte delle opere che utilizzano linguaggi differenti. Ti faccio un altro esempio, anche banale: Final Fantasy. Racconta una storia con diecimila cutscene in motion graphics. Io non credo che ci sia un’identità autentica fra la storia che raccontano le cutscenes e quella, vera, che ci mette in testa il gioco con le sue trecento ore di gioco a colpi di incontri casuali e inviti al completismo. E’ un modo malizioso e forse un po’ stupido per proporre il videogioco come arte, perché è sì un videogioco, ma che si nasconde dietro la magnificienza di spezzoni animati, fatti di cinema. Il videogioco comunica tramite l'interazione, tramite le scelte interessanti, e non attraverso i video (ok ok - tranne alcuni mirabolanti esempi come “Her Story” di Sam Barlow) .

Diciamo che, tornando a Final Fantasy, a quel punto non si ottiene un risultato all'interno di un giocatore, ma all'interno di uno spettatore. 

BRAVO!

Sto facendo due azioni diverse.

È così.

Ultimo giro: prima hai parlato delle console come un problema, ma quindi tu auspichi, chessò, una console unica?

No. Io proprio spero che le console non esistano più, perché il concetto di console è sbagliato. Spero si arrivi presto a quello che sta succedendo ora col retro gaming e computing grazie alla tecnologia FPGA: sandbox tecnologiche generiche in grado di far girare tutto nativamente. Su tutte le altre macchine prego che prima o poi si arrivi a un uso dell’emulazione intelligente, al limite con sistemi di abbonamento online per streammare legalmente le ROM di qualsiasi sistema, magari da canali tematici un po’ come avviene per la tv via cavo: playstation, xbox, nintendo come canali di distribuzione pronti a interfacciarsi con sistemi standardizzati e aperti di piattaforme hardware di ogni genere.

Però non credi che se oggi ci troviamo al punto in cui riusciamo a fare dei discorsi, forse un po' più nitidi, rispetto a quello che è il comportamento del videogioco, nella cultura mondiale, sia grazie alle console e al modo in cui hanno sdoganato i videogame?

No, perché penso che anche i PC abbiano fatto altrettanto. Credo che le console abbiano avuto un ruolo fondamentale in un momento in cui i computer stavano indietro, come al tempo di Playstation 2, che è stata senza dubbio una macchina incredibile. In quel caso posso anche capirlo, ma oggi, francamente, le console lasciano un po' a desiderare. Ovviamente con questo non intendo dire che, ad esempio, i giochi per PlayStation 5 non siano mozzafiato, okay? Lo sono. Sono sicuramente dei giochi molto belli, ma non mi sembrano niente quel motivo per cui dovremmo metterci in casa un altro hardware, unico ed esclusivo che diventerà l’ennesimo rifiuto non smaltibile nel cassonetto dell’indifferenziata.

Ok, ma allora come si esce da questo impasse? 

Semplicemente come è successo e continua a succedere con Steam, dove i vari studi mettono a disposizione i loro titoli su di uno store unico svincolate da device specifiche. la varietà di macchine su cui girano è immensa, sempre o quasi sempre retrocompatibile. Immaginati un modello del genere in grado di occuparsi anche del mobile (anche con sistemi di streaming) e hai una buonissima base da cui partire. Difficile, ma non così impensabile.