Il viaggio come esperienza videoludica: da Journey fino a What Remains of Edith Finch

Il mondo dei videogiochi ci parla da sempre dei grandi temi della vita. Nello speciale di oggi osserviamo da vicino alcuni prodotti che ci raccontano l'importanza emotiva del viaggio come esperienza videoludica.

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a cura di Valentina Valzania

Il mondo dei videogiochi - ormai lo abbiamo visto migliaia di volte nel corso degli anni - parla di temi universali; affronta (quando vuole) le massime della vita di ognuno di noi, a volte permettendoci di creare piena empatia con la storia narrata, a volte raccontandoci qualcosa di più astratto eppure emotivamente coinvolgente. Tra i tanti temi trattati c'è indubbiamente quello del viaggio, inteso come percorso personale ma anche come vero e proprio spostamento o meglio pellegrinaggio tra i luoghi più disparati del mondo. Lo speciale di oggi vuole dare uno sguardo al viaggio come esperienza videoludica, analizzando alcuni casi specifici e diversi tra di loro.

Journey, Gris e What Remains of Edith Finch trattano in modo interessante questo soggetto e tutti in maniera profondamente differente. Nessuno dei tre è una AAA, non ci sono stati budget stellari alle spalle e si tratta di titoli da giocare in breve tempo e non particolarmente longevi, ma tutti sono incredibilmente travolgenti. Hanno tanto da esporre, in maniera toccante e artisticamente suggestiva: se alla fine di questo articolo vi avremo convinto a provarli - o riprovarli - di fronte al vostro schermo, con le cuffie a tutto volume e avvolti dalla voglia di osservare i percorsi proposti dai tre videogiochi, allora sapremo di aver fatto un buon lavoro.

Passo dopo passo: un racconto in movimento

Come abbiamo specificato nell'introduzione, per viaggio intendiamo tanto, troppo da poter effettivamente definire in qualche parola. L'emotività, la crescita personale e il vero e proprio spostamento fisico sono delle varianti di uno stesso tentativo: parlarci dell'essere umano e della propria continua ricerca di stabilità, di un senso, di un luogo - o una persona - a cui appartenere. Nell'analisi di oggi vogliamo partire dal "semplice" Journey, che racchiude l'argomento di oggi nel proprio nome. Journey è un curioso titolo pubblico da PlayStation Network basato su pochissime dinamiche di gameplay: il movimento del nostro piccolo e grazioso protagonista, l'utilizzo del suo mantello magico per spostarsi nelle zone più ardue e complesse, l'emissione di suoni per triggerare determinate zone della mappa. Tutto qui; ma è "tutto lì" per davvero?

Il mondo del titolo sviluppato da Thegamecompany ci immerge in un mondo di rovine, un silenzioso racconto di una civiltà che sembra perduta, un percorso di solitudine e comprensione di se stessi e di ciò che ci circonda. Nessuno ci spiega cosa fare o perché ci ritroviamo da soli tra le sabbie calde di una realtà che non conosciamo, nessuno ci fa comprendere perché andiamo avanti: dove stiamo andando? Con quale fine? Eppure ci immoliamo tra le splendide composizioni di Austin Wintory che ci raccontano di qualcosa che non possiamo davvero arrivare a comprendere, proprio perché non è il punto del videogame. Journey è lo sfiancante viaggio di una creatura - vagamente umanoide - che vive nel mistero di scoprire cosa incrocerà andando avanti. Di certezze non ne ha lui come non ne abbiamo noi e questo ci permette di creare un'alleanza, un legame inscindibile.

Molti finiranno per dire che alla fine dei conti "non parla di nulla". Ma ciò che ci piace davvero di un prodotto come quello pubblicato da PlayStation Network è la voglia di lasciare libera interpretazione all'avventura trattata nel gioco. Mano a mano, nella bellezza di questo abbagliante percorso, finiremo per mettere del nostro nella narrazione. Il sacrificio, la solitudine, la forza di proseguire nell'insicurezza di un mondo troppo vasto: tutto parla di noi, dal primo minuto, in costruzioni giganti di un'epoca antica.

Il trauma nascosto: un percorso di colori riscoperti

Come si può parlare del viaggio senza scrivere di Gris, il videogioco edito Devolver Digital. Anche in questo caso - come per Journey - si parte in medias res, immersi nella confusione del non sapere: chi siamo, cosa stiamo vivendo, dove ci troviamo, sono solo alcune delle domande che sgorgano libere dalla nostra mente, mentre muoviamo i primi passi nel puzzle game. "Gris è una ragazza piena di speranze e persa nel suo mondo", così descrivono ufficialmente il videogame dandoci un enorme indizio e - nuovamente - mostrandoci l'importanza del viaggio all'interno del titolo. Nel caso di Gris si parla di un mondo che di reale ha solo una triste narrazione: quella dell'accettazione del trauma.

Non neghiamo che affrontare il prodotto in un periodo (personalmente) critico è stato non poco difficile: il videogioco inizialmente ci confonde, nel suo silenzioso turbamento, ci mostra la rabbia e la tristezza di qualcuno chiuso nel proprio scrigno; immerso in una bolla di dolore che non riusciamo a spiegarci ma che sentiamo forte. Ogni passo che la ragazza fa, ogni scoperta, ogni boss sconfitto: tutto ci parla di lei, di qualcosa che nasconde perfino a se stessa ma che - mano a mano che il percorso prende forma - sta diventando troppo difficile da celare. L'ambientazione - prima grigia e mano a mano sempre più colorata - di Gris è composta dai frammenti di una protagonista che si sta spingendo a uscire dalla bolla di rabbia e desolazione che la circonda.

E mentre ricostruiamo i suoi sentimenti così impetuosi, ci rendiamo conto che stiamo anche ricostruendo la figura di una persona perduta dalla giovane, il suo trauma  da accettare: il lutto che ha innescato la propria perdita nell'oblio. Il tutto ambientato in un mondo in cui il nostro scopo sarà quello di osservare e comprendere come proseguire, senza fretta. Contornato da rompicapi, sequenze su piattaforme e sfide d'abilità facoltative. Gris è il viaggio dell'accettazione: un viaggio che purtroppo abbiamo intrapreso tutti almeno una volta nella vita. Una testimonianza artistica di qualcosa di ancora più universale del solo viaggio: la perdita di una persona cara.

La dannazione delle vite spezzate: una casa infinita

What Remains of Edith Finch è un'avventura grafica che ci catapulta - per la prima volta in questo articolo - in un luogo comune: una casa. Di certo una casa enorme, abbandonata, ma pur sempre un focolare familiare che porta con sé ricordi enormi, pesanti come un macigno. Nel ruolo della giovane Edith ritorniamo nella vecchia abitazione dei Finch, che ha ospitato la sua famiglia da generazioni e generazioni precedenti, fino alla sua. Lei è stata l'ultima, la più giovane ad esserci cresciuta prima della decisione repentina di andare via e lasciare tutto quel mare di memoria per sempre: le mura dannate dell'imponente costruzione - ideata e messa in piedi dai suoi bisnonni - hanno condannato la sua esistenza e quella di chiunque ci abbia vissuto, anche per poco.

No, non si parla realmente di maledizioni o di qualcosa anche solo vagamente legato al mondo del surreale: è tutto spaventosamente terreno, dal primo all'ultimo lutto. La storia di What Remains of Edith Finch è disperatamente commovente: camminando tra le stanze della tenuta, osserviamo la distruzione di una famiglia che sembra essere colpita da un castigo ultraterremo ma che in realtà - nonostante la sfortuna innegabile, che per tutti prende la forma di una "condanna" - vive una serie di vicende che di reale hanno tutto. Il viaggio di Edith ci permette di scoprire l'avvelenamento della piccola Mollie, l'incidente sulle giostre del piccolo Kevin, il tentativo di fuga di Walter finito in tragedia, la malattia mentale del fratello di Edith - Lewis - suicidatosi nella totale convinzione di vivere in un mondo di fantasia e tanti altri dolorosi lutti della famiglia.

La giovane Edith, ormai cresciuta e rimasta sola, percorre ogni singolo centimetro della vecchia villa, spaventosamente affascinante e legata alla morte, in un modo o nell'altro. Lungo questo viaggio al suo fianco, scopriamo anche tutte le sue insicurezze e le sue paure: ciò che la sua infanzia e la scoperta del passato di famiglia hanno causato alla sua esistenza, irrimediabilmente. La protagonista ripercorre i suoi passi per accettare il suo destino che sarà forzatamente similare a quello di tutti i suoi deceduti parenti: nata e cresciuta in casa Finch, morirà dando alla luce un figlio; il primo libero da una maledizione inspiegabile e legata comunque (e tristemente) alla concretezza della quotidianità. Ed è così - in bellezza - che si conclude anche il nostro di viaggio, in omaggio a questa esperienza videoludica emotivamente appagante e indubbiamente distruttiva.

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