La chiusura di Stadia crea un precedente pericoloso

La chiusura di Google Stadia offre lo spunto per una riflessione in merito alla preservazione dei videogiochi.

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a cura di Andrea Maiellano

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Google Stadia chiude i battenti e, in tutta onestà, non è una notizia che mi ha sorpreso particolarmente. D'altronde i presupposti per rientrare nella celebre lista "Killed By Google" (se non la conoscete vi consiglio di darci un'occhiata), c'erano tutti: una presentazione in pompa magna, una pletora di promesse in pieno stile "tonico revitalizzante di Simpson e figlio", creazioni di studi first party che avrebbero lavorato a progetti esclusivi, un investimento ingente in termini economici, progetti realizzati esclusivamente per questa piattaforma e, ovviamente, una campagna marketing aggressiva, tutta quella serie di "prossimamente", "in futuro", "nei mesi successivi al lancio", tipici di quei progetti che profumano lontano un miglio di "vorrei ma non so ancora come fare".

Ed è proprio quest'ultimo dettaglio, unito alla oramai storica bassa tolleranza del colosso di Mountain View verso i progetti lenti a ingranare, ad aver affossato il progetto Stadia addirittura prima di cominciare. Eh già! Perché il settore dei videogiochi, a differenza di altri, è molto più conservatore di quello che si possa credere e, al netto delle vari bolle social di negazionisti e di utenti che rifiutano ogni sorta di novità, non ha mai visto di buon occhio chi si pone come la Apple dei vecchi tempi andati, proponendo il futuro sotto forma di un cambiamento radicale, drastico e privo di un qualsivoglia periodo di transizione.

Lo abbiamo visto con il digitale, con il VR, con i servizi in abbonamento e, ora, con il cloud gaming. Sono tutte "novità" che hanno richiesto, o stanno tuttora richiedendo, del tempo per essere abbracciate pienamente dai videogiocatori, per essere accettate come un eventuale futuro del gaming. Dal 1972, anno dell'uscita del Magnavox Odyssey, a oggi molti di noi sono ancora attaccati morbosamente al formato fisico, o alla console da gioco, rifiutando la possibilità di non avere qualcosa di tangibile fra le mani che giustifichi i soldi spesi, poco importa se è una scatoletta con dentro un disco o una confezione di cartone gigante, piena di manuali cartacei e di floppy disk numerati cronologicamente.

Google, con molta probabilità, non ha mai dato il giusto peso a questo rigetto verso il nuovo da parte di molti videogiocatori, ponendosi come l'azienda emergente, per quel settore specifico, tutta presa nell'offrire un futuro rivoluzionario, incredibile, pratico e privo di vincoli "fisici"... senza però aver ancora capito né come realizzarlo in ogni suo aspetto, né quanto tempo avrebbe richiesto il ritagliarsi una fetta di mercato realmente profittevole.

Non sorprende che, per quanto sia notoriamente risaputo che la stampa di settore non capisca nulla di videogiochi, ogni testata che tratta di "giochini elettronici" espresse gli stessi dubbi in seguito all'annuncio di Google Stadia. Tutto risultava decisamente affascinante ma si stava parlando di un'azienda priva di conoscenza del settore che ha deciso di imporsi sul mercato con una tecnologia che persino Nvidia, ancora oggi, fa fatica a far decollare. Se a questa totale assenza di garanzie si aggiunge un modello di business decisamente folle, per quanto sotto certi versi avveniristico, non sorprende che, alla fine, Stadia ci lascerà definitivamente il prossimo 18 Gennaio 2023.

Il problema, però, non è del "cloud gaming", come in molti vogliono appuntare in questi giorni, ma di come Google abbia pensato di utilizzare questa tecnologia. Se da un lato la possibilità di poter fruire della propria libreria di giochi, con delle performance più che decorose, da qualsiasi dispositivo che riesca a far girare Chrome (o che permetta di collegarci un Chromecast), semplicemente connettendo un controller compatibile, risultasse per l'epoca una realtà decisamente intrigante e ricca di potenziale, il dover acquistare i vari giochi a prezzo pieno (oltre, ovviamente, a dover pagare un abbonamento mensile per usufruire delle migliori prestazioni disponibili) non si rivelò il miglior modello di business per fare breccia sul pubblico.

Eppure, anche così, Google Stadia esordì in maniera tutt'altro che timida, con i Founder Pack che andarono sold out in tempistiche relativamente brevi e con un numero iniziale di utenti attivi non impressionante ma comunque incoraggiante. L'entusiasmo iniziale, però, si placò ben presto e Stadia cominciò a stazionare in quel posto a tavola che nessuno vorrebbe mai occupare: quello dell'indifferenza.

Google Stadia semplicemente esisteva, con le esclusive in produzione ancora lontane dal vedere la luce e numerose funzioni che sarebbero state implementate nei mesi successivi. Un'esistenza spesa nell'indifferenza del pubblico di massa, rimbalzando fra le opinioni entusiastiche di chi aveva dato fiducia al servizio, e ne elogiava le ottime performance, e chi semplicemente non si curava di un'innovazione che, senza nulla togliere alla stabilità del servizio, non metteva sul piatto nulla di realmente concreto per i videogiocatori di vecchia data.

Non fu sufficiente nemmeno il piccolo boom di vendite ottenuto grazie al lancio disastroso di Cyberpunk 2077 a far emergere in maniera esponenziale il servizio. In quel periodo, infatti, Google, consapevole di poter offrire attraverso la sua piattaforma una versione del gioco priva di bug, decise di regalarne una copia a ogni nuovo cliente. Ma anche con un’offerta del genere, ripetuta analogamente in seguito al lancio di Resident Evil Village, a parte un breve picco di vendite, e un po' di pubblicità attraverso la stampa di settore, il servizio continuò a far fatica a far breccia nei videogiocatori.

Conoscendo la poca pazienza che Google ha da sempre con i progetti lenti a raggiungere gli obiettivi prefissati, fu inevitabile la decisione di chiudere la Stadia Games and Entertainment (la divisione di Google realizzata per creare nuovi titoli da rilasciare in esclusiva per il servizio) nell’Ottobre del 2021 e, un anno dopo, di comunicare la chiusura definitiva del servizio con annessa cancellazione dell’intero catalogo di titoli, di ogni profilo giocatore e di tutti i salvataggi presenti nei server di Stadia.

Ed è proprio nella comunicazione rilasciata da Google il 29 Settembre 2022 che si cela il precedente pericoloso che dà il titolo a questa mia riflessione. Stadia è un servizio totalmente basato sul cloud gaming, niente supporto fisico, nessuna possibilità di effettuare un backup. Tutto viene conservato nella rete. Una volta spenti i server, ogni gioco sarà perso per sempre, così come i salvataggi di migliaia di utenti.

Non fraintendetemi, so benissimo che Stadia non è il primo servizio che offre contenuti digitali a chiudere, ma fino a oggi si è sempre avuto la possibilità di poter effettuare una copia di backup di ciò che è stato acquistato in precedenza. Non importa se su un hard disk o su di una console oramai giunta al termine del suo ciclo vitale, è sempre stata data la possibilità al consumatore di salvaguardare i propri acquisti, un'accortezza che Google non può offrire e per la quale si è prodigata nel garantire un rimborso totale nei confronti degli utenti che hanno speso soldi per acquistare giochi e controller dedicati al servizio.

Una decisione indubbiamente encomiabile, sia chiaro, ma che allo stesso tempo crea un precedente pericoloso per il futuro del cloud gaming. Se un domani altre aziende decideranno di abbracciare un modello come quello di Stadia, e per un motivo o per l'altro finiranno in maniera tristemente analoga, determinati titoli andranno persi per sempre? Sia chiaro, non sto dicendo che il servizio di Google abbia offerto ai giocatori delle esclusive di incredibile spessore, ma trovo preoccupante il fatto che un prodotto possa essere cancellato senza lasciare traccia e che questo possa, in qualche modo, diventare la prassi in futuro.

Il cloud gaming, per come è stato sviluppato fino a oggi dai competitor diretti di Stadia, è indubbiamente uno dei potenziali futuri del settore videoludico, ma al momento non presenta alcun rischio di perdere i propri acquisti né, tantomeno, di veder sparire una produzione per sempre. Nvidia chiede che i titoli siano stati acquistati precedentemente dagli utenti attraverso uno store digitale, mentre Microsoft e Amazon permettono l'accesso a titoli tramite la sottoscrizione di un abbonamento (non precludendone l'acquisto tramite gli store in cui sono disponibili).

Allo stato attuale, per quanto Google non abbia proposto agli utenti alcun tipo di conversione dei propri acquisti attraverso altri store digitali, Ubisoft ha dichiarato di voler permettere ai consumatori di migrare i propri salvataggi, e le proprie licenze per i giochi acquistati, attraverso il servizio Ubisoft Connect, ma rimane comunque una decisione presa da un singolo sviluppatore. Rockstar, per esempio, non ha ancora risposto alle preghiere di un giocatore che, dopo aver speso oltre 5000 ore sulla versione per Stadia di Red Dead Redemption 2, vorrebbe solamente poter trasferire il proprio salvataggio su PC per non vanificare il tempo che ci ha dedicato sopra.

Dal canto mio al momento tutta questa situazione, per quanto di una gravità relativamente contenuta visto il numero di utenti reali di Google Stadia, mi lascia soltanto delle sensazioni agrodolci. Al netto di tutte queste considerazioni, se il futuro del gaming diventerà realmente il cloud, e i servizi in streaming, lentamente si arriverà al punto di non possedere realmente più nulla. Di ritrovarsi in una condizione analoga a quella di Netflix, e Disney+, dove viene negata la possibilità di acquistare una serie tv, o un film in esclusiva, per il semplice motivo che andrebbe contro agli interessi economici di quel servizio.

La sostanziale differenza però è che una serie tv la si può reperire con qualche sotterfugio poco legale, mentre un videogioco pensato per girare esclusivamente su un hardware proprietario, accessibile solo attraverso un applicazione o una pagina web dedicata, come lo si potrà preservare?