La pirateria su PS3? Sarà peggiore di quella su PSP

Il fondatore della software house Massive Entertainment parla dell'hack della PS3 e lo giudica quasi irreversibile senza una revisione dell'hardware. Nel frattempo parlano gli avvocati degli hacker e lo stesso Geohot, a cui non manca la voglia di scherzarci su.

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a cura di Manolo De Agostini

L'aspra lotta tra Sony e gli hacker, per ora giocata dalla casa nipponica solo per via giudiziaria (Hack PS3, basta schermaglie: la causa è ufficiale), inizia a diffondersi nell'industria dei videogiochi, da cui arriva una prima dichiarazione. Martin Walfisz, fondatore di Massive Entertainment, non crede che Sony sarà in grado di combattere la pirateria su Playstation 3 (PS3 avvia un gioco pirata, gli hacker sfidano Sony).

Intervistato sul tema da GamesIndustry.biz, Walfisz ha dichiarato che un hack che non richiede una modchip, come in questo caso, è molto difficile da rilevare. "Se l'hack funziona come ci hanno riportato, non credo che Sony possa riprendere alcun controllo".

Parere condiviso dalla comunità hacker, meno da Sony che ha paventato nei giorni scorsi possibili aggiornamenti per sistemare la situazione (Hack PS3, Sony risponde agli hacker: vi fermeremo). Il passaggio rapido alle vie legali e l'assenza di un intervento tempestivo possono però far pensare che la casa nipponica stia affrontando qualche difficoltà in più del previsto, oppure che semplicemente non sappia dove mettere le mani.

"Potrebbero provare a usare un sistema simile a quello di Xbox Live, impedendo l'accesso al PSN per le persone con sistemi modificati. Tuttavia Sony non sarà in grado di fermare le persone che fanno funzionare copie di giochi pirata fino a quando i sistemi non saranno connessi online", ha aggiunto Walfisz.

Un ragionamento che non fa una grinza. L'hack della console, come abbiamo spiegato, agisce a un livello davvero profondo ed è in grado di far gestire alla PS3 del codice "fatto in casa" nell'esatta maniera in cui amministra il codice originale, grazie alle chiavi di root e alle firme digitali ormai pubbliche e usate dal software originale uscito finora sul mercato.

Stando alle informazioni note e le prime dimostrazioni (PS3 avvia un gioco pirata, gli hacker sfidano Sony), secondo Walfisz la PS3 potrebbe soffrire di un problema di pirateria ben più grave di quello della PSP (i giochi, come già dimostrato, possono essere installati sull'hard disk, NdR), ma ci sarebbe una possibile contromossa: rilasciare una revisione dell'hardware, ma sarebbe un'impresa davvero titanica, costosa e forse non risolutiva.

"Non penso che possano fare molto. Una volta che la console è stata esposta in modo così completo, il produttore di hardware non può davvero fare nulla. Potrebbero aggiornare l'hardware per le unità di console immesse sul mercato in futuro, ma sarebbe un processo lungo e costoso che non fermerebbe gli utenti che usano copie di giochi pirata con l'hardware attuale. Inoltre l'aggiornamento dell'hardware dovrebbe essere fatto in modo da non impedire agli utenti di far girare giochi già presenti sul mercato. Dubito che possa essere fatto".

Se hanno fatto scacco matto alla PS3, una console giudicata fino a metà dicembre 2010 (a 4 anni dal debutto sul mercato) molto sicura, quale sarà la strada che dovranno intraprendere i produttori per rendere la prossima generazione un fortino inespugnabile? La risposta per Walfisz è una sola: DRM. Detta da uno dei padri del DRM di Ubisoft - così è stato dipinto da più testate specializzate - non suona poi così strana.

"Credo che le console del futuro saranno connesse costantemente online. Se attueranno questa strategia, potranno implementare un DRM molto più potente, dove parti della logica di gioco saranno eseguite solo su server sicuri - simulando in parte lo schema client-server in uso negli MMO. Non conterà se una console sarà stata hackerata, poiché gli utenti non potranno giocare ai titoli senza essere online con una chiave di registrazione valida e unica". Tutto facile, a parole.

Nel frattempo sono emersi nuovi aspetti della causa legale che vede Sony contro Geohot e gli altri hacker. Dai documenti depositati dagli avvocati della casa nipponica al giudice, emerge che l'azienda ha inviato 1 dollaro all'account PayPal di Hotz per dimostrare che lui accetta donazioni (anche se non le ha mai richieste per l'hack). Una mossa sporca secondo la comunità degli hacker.

Gli avvocati di Geohot, in un'intervista al sito NeoGAF, hanno dichiarato che la corte della California - dove è stata depositata la denuncia - non ha giurisdizione su Hotz o qualsiasi altro degli imputati. Hotz, inoltre, non avrebbe collegamenti con altri hacker.

 "L'imputato Hotz non ha prodotto, realizzato, venduto né ha alcuna intenzione di produrre, realizzare o vendere dispositivi che facilitano la pirateria", hanno dichiarato gli avvocati di Geohot. La difesa respinge inoltre l'uso di altri casi di pirateria come precedenti portati all'attenzione del tribunale da Sony, poiché in quelle vicende si parlava di soluzioni hardware (esempio: le chiavette USB) e non software.

Inoltre per gli avvocati è del tutto ininfluente ingiungere Hotz dalle sue attività di programmazione, in quanto anche Sony stessa ha ammesso che il codice è su Internet. "Sony parla di chiudere la porta, ma il fatto è che non c'è una porta da chiudere. Il codice che si sta cercando di controllare e contenere sarà sempre disponibile con una ricerca su Google".

Nel video a fondo notizia potete guardare un'intervista a Geohot, in lingua inglese, sulla vicenda. Interessanti due parti, la prima: "La pirateria che era stata fatta su PS3 non funzionava sul mio jailbreak. Ho fatto uno sforzo specifico mentre stavo lavorando su questo per cercare di attivare la possibilità di usare software homebrew senza consentire cose che non condivido, come la pirateria". La seconda è una battuta. Alla domanda "Perché sei stato denunciato?", Geohot ha risposto sarcasticamente "Per aver fatto impazzire Sony". Una bella risposta di spirito, che riflette bene gli ultimi giorni convulsi attorno a questo caso.