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a cura di Alessandro Palladino

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Le diverse facce della creatività

Parlare di Pixel Art, come evidente finora, non è quindi un discorso univoco. Non c'è un modus operandi o particolare tecnica che definisce ciò che è la bellezza della Pixel Art, se non che essa è fatta di pixel e che è nata dai videogiochi. Ed è in essi che, alla fin fine, trova la massima espressione nel riuscire a essere il mezzo perfetto, oltre che accessibile, per dare vita alla creatività di tante ispirazioni, culture e idee.

A prescindere da dove si possano collocare nel tempo,i recenti anni della Pixel Art hanno portato alla luce progetti in grado di ridefinire i generi d'appartenenza e creare delle nuove correnti a cui ispirarsi. Passato, presente e futuro sono solo nomi che diamo per ricordarci della sequenza delle nostre esperienze, tuttavia è nei singoli momenti che decidiamo di vivere per scelta arbitraria che possiamo costruire la vera tradizione di un genere così presente nella storia del settore. E, come ben sappiamo, un momento si crea quando un'idea geniale segna i nostri ricordi in maniera indelebile, tanto da cancellarne la datazione.

Carrion – Phobia Game Studio

Una delle idee meno legate al tempo che esistano nel panorama della Pixel Art è il più recente Carrion di Phobia Game Studio, già lodato sul nostro sito alla sua uscita. Perché Carrion è la perfetta definizione di un concetto che non invecchia? Bhe, basta guardare i suoi due punti cardine: l'orrore e l'utilizzo della Pixel Art per metterci nei panni di un mostro. Rifacendoci a ciò che spaventa migliaia di amatori di cinema da decenni, al cui centro c'è sempre l'ispirazione a La Cosa e ad altri film simili, Carrion inverte i paradigmi e ci mette nei panni del carnefice, sfruttando un meccanismo vecchio come lo scorrimento orizzontale per rivoltarlo come un Edgar-abito e proporre una delle forme più innovative di game design degli ultimi tempi. Alla nostra chiamata dall'abisso hanno risposto Krzysztof Chomicki e Sebastian Krośkiewicz, rispettivamente Level Designer e Game Director di Carrion.

Krzysztof & Sebastian

Avevamo già utilizzato tecniche ispirate alla Pixel Art nel nostro gioco precedente, Butcher, perciò era logico continuare ad affinarle al livello successivo. Un'altra delle ragioni per cui siamo rimasti su quel percorso era che – sorprendentemente – la quantificazione in bassa risoluzione funzionava davvero bene con le animazioni generate proceduralmente, ammorbidendo i piccoli glitch e dandoci più libertà creativa. Infine, ma non per importanza, ci ha permesso di avere un approccio brutale senza avere l'effetto disturbante, il che ha consentito al gioco di saziare la innata sete di sangue pixellato che molti umani sembrano avere.

Entrambi ci hanno raccontato di quanto fosse stato effettivamente difficile creare il proprio Mostro, prendendo mesi anche per singole interazioni specifiche. A noi giocatori, anche in fase di recensione, non arriva mai quanto impegno o carico possa esserci dietro un dettaglio apparentemente "semplice" come il muoversi delle catene al passaggio della creatura. Lo stesso mostro e il suo funzionamento è stato un grande problema per i suoi stessi creatori, come ci sottolineano, tanto che in alcune prove hanno messo seriamente in dubbio il riuscire a pubblicare un titolo che potesse essere anche solo giocabile. Alla fine ci dicono è avvenuto un miracolo, ma è stato uno sforzo che gli è costato un sacrificio alla salute fisica e mentale. Un qualcosa che, molti artisti, definiscono "Pixel Tax", ovvero l'effettivo bisogno di immettere ore, mesi e anni alla ricerca del risultato migliore e funzionante, oltre che perfetto al pixel.

Krzysztof & Sebastian

Per quanto la Pixel Art sia un potente mezzo, spesso molti team di sviluppo l'abbandonano per passare ad altri strumenti paradossalmente più semplici. Non importante quanto tempo, sforzo e risorse immetti nella tua Pixel Art, troverai sempre tante persone che diranno: "sembra bello… nonostante sia un gioco in Pixel Art". Questo perché i titoli che utilizzano uno stile artistico in alta definizione sono normalmente percepiti come un lavoro con più impegno dietro e, quindi, con più valore per i giocatori, nonostante non sia per forza così. Certo, la barriera di entrata per fare Pixel Art non è alta ma non è neanche facile farla decentemente, esattamente come qualsiasi stile artistico.

A Space for the Unbound – Mojiken Studio

La difficoltà di realizzazione di un'idea o di un design spesso è una delle ragioni per cui alcuni progetti finiscono per essere dimenticati e non vedere mai la luce. Tuttavia, c'è chi effettivamente prende a cuore il messaggio che vuole lanciare, tanto da cercare di portare al grande pubblico una ricostruzione in Pixel Art della propria città. È lo scenario che dipinge A Space for the Unbound di Mojiken Studio, recentemente avvistato durante la Gamescom digitale e di grande interesse per la nicchia degli appassionati di anime e manga, data la cura stilistica simile ai lavori dell'ormai iconico Makoto Shinkai. Dietro la penna fatta di nuvole c'è Dimas Novan Defiano, l'Art Director di Mojiken, con il quale abbiamo avuto il piacere di chiacchierare.

Dimas Novan D.

Quando ero un bambino, mi ricordo che mi fermavo spesso a guardare mio fratello giocare a Wild Arms (PSX) e alcune delle scene di quel gioco mi sono rimaste davvero impresse. Mi chiesi come fosse possibile che quelle scene pixellate senza alcun dettaglio mi avessero lasciato un segno così nitido, specie a livello emotivo. La risposta risiede nell'immaginazione e in quello che viene associato alle immagini sullo schermo. Il mio obiettivo è quello di ricreare quell'esatta sensazione e di permettere ai giocatori di tradurre quello che vedono con la propria immaginazione. Inoltre, grazie al Game Boy Advance, ho sempre amato la Pixel Art e l'ho ammirata spesso online attraverso il lavoro degli artisti, un po' come l'impressionismo.

La carica di Mojiken Studio arriva dal valore che i luoghi della propria infanzia hanno ancora oggi nello scenario urbano della città in cui vivono. Quando viviamo in un posto per tanto tempo può sembrarci scontato osservare questo o quell'edificio sotto cui passiamo ogni giorno, eppure a lungo andare quel luogo per noi diventa un'icona impressa nella nostra mente, tanto che allontanandocene per tanto tempo finiremo per sorprenderci nello scoprire quante sensazioni possa scaturirci quell'angolo di città su cui non ci siamo mai davvero soffermati. A Space for the Unbound, oltre la sua natura fantastica tra il sogno e l'eroismo, ci racconta proprio l'innocenza di un legame solido costruito in una piccola città rurale, dove il negozietto d'artigianato o il ponte sopra il fiume che attraversa la città sono ricordi magici con cui il giocatore può entrare subito in sintonia, lasciandosi trascinare dall'affetto che la Pixel Art convoglia attraverso la descrizione di un luogo bloccato nel passato del game designer.

Dimas Novan D.

Oggi come oggi viviamo in un tempo dove, da una parte, l'evoluzione della tecnologia grafica dei videogiochi ci permette di raggiungere un realismo mai visto prima. Dall'altra parte, invece, c'è un grande quantitativo di titoli dalla direzione artistica molto diversa, coraggiosa perfino. A Space for the Unbound potrebbe essere riassunto in una visione molto soggettiva che esiste soprattutto per la nostra personale storia, competenza e anche limitazioni. La nostra speranza è quella di ispirare le persone, mostrando come non importa quale strumento si utilizzi per fare arte, ma è solamente l'artista a tenere quegli stessi strumenti a decidere il limite della propria ispirazione.

Children of Morta – Dead Mage

Oltre ai luoghi della propria infanzia e alla ricostruzione dei legami, la filosofia dell'affetto e della forza delle relazioni passa anche attraverso un design in grado di unire il gameplay, l'estetica e la narrazione sotto un unico concetto: la famiglia. Children of Morta di Dead Mage è un progetto al cui centro non c'è un singolo avatar da dare al giocatore per tutto il resto del gioco, piuttosto è un'intera famiglia di straordinari individui dalle caratteristiche diverse nel combattimento e nell'aspetto, ma accomunata dalla facilità con cui riesce a farsi subito amare da chiunque ne segua i ricordi. Come per tanti altri, Dead Mage ha scelto la Pixel Art per amore del genere e per il budget economico, tuttavia è stato nella caratterizzazione dei vari appartenenti al nucleo familiare che c'è la vera punta di diamante dell'abilità del team di sviluppo. Ce ne ha parlato Arvin Garousi, 2D Animator di Dead Mage.

Arvin Garousi

Creare il feeling giusto per la famiglia è stato il nostro successo più grande. Siamo partiti dal concetto che le sensazioni maggiori derivano dalla faccia umana, perciò decidemmo di realizzare personaggi che avessero volti unici e con abbastanza spazio per avere delle espressioni facciali. Nella Pixel Art, questo rappresenta una sfida perché quando un personaggio è "extra large", qualche volta è difficile colorarlo e pulirlo con pixel perfetti, il che poi si traduce in un tempo d'animazione davvero lungo. Quindi decidemmo di accordarci su una risoluzione univoca e iniziammo a creare bozze di diversi personaggi fino a quando non ne selezionammo qualcuno per essere il nostro cast principale, dandogli poi i vestiti e altre caratteristiche. I poster digitali ci hanno aiutato molto nel dare il tocco finale all'identità dei Bergson, così come gli altri nostri artwork.

Children of Morta, per via dei suoi scenari e dettagli nelle animazioni tradizionali, è stato spesso accostato ai lavori dello Studio Ghibli. Chiedendo di questo paragone più che onorevole, Arvin ci ha risposto che le ispirazioni sono in realtà molteplici e partono dal modus operandi delle vecchie opere Disney e degli insegnamenti di Richard Williams. Da una parte la Disney, con le animazioni disegnate a mano, ha creato una fluidità pazzesca che è alla base del grande lavoro che ogni singolo frame di uno sprite deve avere. Dall'altra, l'influenza giapponese dimostra quanto l'emozione dei protagonisti e la bellezza dello scenario sono fattori chiave per creare scene in grado di rimanere impresse nelle mente di chi le guarda. Unendo i due valori, l'approccio alla Pixel Art è quindi quello di riuscire a dare al giocatore tutti questi fattori, insieme a un gameplay soddisfacente.

Arvin Garousi

La Pixel Art non solo non è morta, ma è più viva che mai. Vedo ogni giorno delle bellissime animazioni, idee e illustrazioni. È come se fosse un posto sicuro e colorato dove ogni artista si diverte a creare opere da mettere al suo interno. Tuttavia, dal mio punto di vista, per mantenere vivo questo stile unico bisogna continuare a impegnarsi nel creare della bella Pixel Art. Abbiamo tutto quello che ci serve, possiamo lavorare a risoluzioni più alte e aggiungere più profondità al nostro lavoro, stare più attenti ai dettagli e aggiungere tutto il tempo che vogliamo per raggiungere la perfetta e pulita perfezione. Ora come ora, ci sono tantissime possibilità ancora da scoprire!

ScourgeBringer – Flying Oak Games

Infine, non potremmo parlare di Pixel Art senza menzionare uno degli ibridi più di successo degli ultimi tempi, un perfetto esempio di come si possa prendere il telaio del passato e trasportarlo in un futuro roseo senza rivoluzionare la struttura di base. ScourgeBringer di Flying Oak Games ci ha stupito per la sua pulizia, bellezza e adrenalina, capace di raccontare l'odissea di una guerriera in un futuro distopico attraverso rapidi colpi di lama e mostri da abbattere, il tutto con uno stile artistico originale che prende la Pixel Art del passato e l'arricchisce di dettagli, idee e innovazioni. Ne abbiamo parlato con Florian Hurtaut, il principale artista del gioco, il quale ci ha rivelato di aver iniziato nel "recente" 2013.

Florian Hurtaut

In un certo senso, la Pixel Art spesso richiede di andare dritta al come le cose vengono rappresentate. L'approccio minimalistico con cui abbiamo approcciato ScourgeBringer, costruito in mesi di prototipi e un anno per le interazioni fisiche, se ben eseguito può essere veramente un aiuto nel raggiungere la "chiarezza" che volevamo avere per il nostro progetto. Ad esempio, in ogni nostra stanza ci sono degli elementi dell'ambientazione che sono animati e non statici, in modo dar loro un po' di vita anche se, magari, verranno eliminati dalla battaglia. Qualsiasi altro elemento reagisce solo a Kyhra e ciò è stato studiato per non attirare l'occhio su inutili elementi non relativi al combattimento, permettendoci comunque di dare dettaglio a qualsiasi aspetto estetico.

In aggiunta al creare livello dinamici e sempre diversi tematicamente, il lavoro su ScourgeBringer ritorna nuovamente all'importanza dei colori nella corrente della Pixel Art, in questo caso con ben 32 colori scelti dall'artista uno ad uno attraverso settimane di pianificazione. Per lo sfondo viene concessa una tonalità non completamente nera ma tendente al viola o al blu, seguendo quelle sfumature per tutti gli altri elementi fino ad arrivare ai colori distintivi dell'avatar – dai capelli scintillanti – e i proiettili dei nemici: i due fattori da far risaltare subito all'occhio. Anche gli attacchi di Kyhra hanno tonalità univoche, le quali sfruttano gli alti contrasti che i bordi nitidi della Pixel Art permette.

Florian Hurtaut

Credo fermamente che la Pixel Art abbia tanti giorni luminosi di fronte a sé. Se è ben eseguita, non invecchierà (pensate a Metal Slug) e verrà supportata dal vasto pubblico che apprezza questa corrente estetica. Si potrebbe dire che sta aumentando la sensazione di noia per via dei molti progetti in Pixel Art, ma è lo stesso con i giochi 3D dalle grafiche ultrarealistiche. In ogni caso, credo che qualsiasi stile abbia ancora tanto spazio per brillare e ci sono un sacco di nuove tecniche da imparare, insieme a tanti nuovi stili da far nascere per rinnovare l'interesse nel genere, finché si punti al divertimento.

Alcuni puristi potrebbero essere contrari, ma credo che l'ibridazione tra la Pixel Art e il 3D sia un buon modo per rinnovarne l'estetica, pensate a The last Night e a tanti altri. Ci dimostra che ci sono ancora tante cose che possiamo innovare. Del resto, quando ci fermiamo per pensarci su, Minecraft è il gioco più venduto di tutti i tempi e non è altro che un gioco 3D con delle texture in Pixel Art.