Max Payne 3: le pallottole al rallentatore fanno più male

Recensione di Max Payne 3, gioco d'azione in terza persona di Rockstar Games.

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a cura di Manolo De Agostini

Introduzione

Sono passati nove lunghissimi anni da Max Payne 2: The Fall of Max Payne, uscito nel 2003. Finalmente ecco Max Payne 3, capitolo atteso da chi ha giocato i primi due della serie - pietre miliari della storia dei videogiochi.

Anzitutto Max Payne è stata la massima e forse più famosa espressione del Bullet Time, cioè le scene al rallentatore con pallottole volanti che tanto ci avevano colpito guardando The Matrix. Il secondo - e forse più importante - aspetto è la trama e  la caratterizzazione del personaggi, elementi che spesso nei videogiochi sono poco sviluppati.

I primi due capitoli di Max Payne erano un mix sapiente di tutti questi elementi: in una New York cupa come i gironi di un inferno in cui Max era piombato dopo l'assassinio della moglie e della figlia il protagonista - in una famosa scena a fumetti - cambiò faccia e diventò un killer spietato in cerca di vendetta. E noi con lui.

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Un cammino proseguito a suon di pallottole nell'ottimo secondo capitolo e ora con Max Payne 3. Questa volta però cambia tutto. Max non è più a New York, ma soffre e vive di ricordi, droghe e alcol a San Paolo, in Brasile. Cosa ci faccia lì e come ci sia arrivato non ve lo diciamo, lo scoprirete giocando, ma di una cosa potete essere sicuri: le pallottole al rallentatore non hanno perso la loro cinematografica poesia, nonostante il gioco non sia stato sviluppato da Remedy Entertainment.