Qual è il miglior finale della storia dei videogiochi?

La storia dei videogiochi è ricca di finali eccezionali, quali sono i migliori in assoluto? Ecco che ne pensa la redazione di Game Division!

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a cura di Michele Pintaudi

Editor

Una passione
nata più di settant’anni fa, e capace da allora di unire e appassionare persone da ogni parte del mondo: la storia dei videogiochi è un racconto davvero unico, un mosaico dove ogni frammento si va a incastrare con mille altri creando un’opera d’arte pressoché perfetta. Nei decenni il mondo ha potuto ammirare tanti, tantissimi capolavori capaci di lasciare un segno indelebile nel cuore e nella mente di tutti noi, e ogni giocatore ha dal canto suo infinite storie da raccontare.

L’idea per questo pezzo corale nasce proprio da qui, in un progetto che ha voluto coinvolgere in prima persona alcune firme della redazione di GameDivision. Ognuno di noi ha gusti, background ed esperienze diverse, tutte accomunate da un grandissimo amore verso il medium videoludico. Tra queste innumerevoli esperienze ce ne sono alcune in particolare capaci di colpire più di altre, ed è da una domanda semplice ma molto personale che ha origine questo speciale.

Abbiamo chiesto ai nostri redattori: «Qual è il miglior finale della storia dei videogiochi?» e ognuno ha detto la propria, condividendo la sua personalissima visione di quanto può essere bello vivere e concludere esperienze di questo genere. Prima di lasciarvi alla lettura vi invitiamo a iniziare a pensare a quale può essere per voi la risposta a questo quesito, per poi raccontarcela nei commenti qui sotto. Non vediamo l’ora di leggerle tutte ma, nel frattempo, buona lettura!

Andrea Dall'Oglio - Persona 5

Per quanto un buon finale stupisca per la sua regia o la potenza delle battute finali, a volte un finale estremamente semplice riesce a veicolare il suo messaggio nel sottotesto. Persona 5 conclude sì la sua storia in modo epico, un gruppo di adolescenti che sfidano un dio creato dalla società che rappresenta di fatto la volontà degli uomini di non accettare il cambiamento, ma gli ultimi istanti del gioco sono dedicati al gruppo di amici che ci ha accompagnato per tutto il viaggio. È proprio quello il cuore di ogni capitolo di Persona: farci capire che coltivare i giusti rapporti è fondamentale anche per la crescita personale, ci responsabilizza e ci sprona a dare sempre il massimo e a migliorare nel caso sia necessario farlo. Conoscere nuove personalità ci dà anche occasione di venire a conoscenza delle loro storie, e ciò è sempre un bene in quanto accresce il nostro bagaglio di esperienze.

Un gruppo di amici affiatati e uniti da un obiettivo comune è capace di cose che da soli non ci si sogna nemmeno di fare, e ha anche la preziosissima abilità di rendere accessibili ostacoli che affrontati da soli sarebbero insormontabili. La scena finale raffigura un gruppo di amici che in un anno non soltanto si è formato e ha stretto dei legami indissolubili, ma è riuscito addirittura a cambiare il mondo ingiusto che li ha resi prima vittime e poi criminali dando la libertà alla gente: tutto questo grazie ad uno sforzo collettivo e alla voglia comune di cambiare davvero le cose.


Raffaele Giasi - Red Dead Redemption

Se è vero che è il viaggio, e non la meta, a definire la qualità di un'esperienza, per certi aspetti direi che l'eccezione che conferma la regola è Red Dead Redemption. Un titolo che, all'epoca, colse quasi alla sprovvista per la ricchezza e la raffinatezza della sua narrazione, capace come non mai di coinvolgere il giocatore in un mondo vivo e pulsante, in cui qualsiasi attività, qualsiasi richiesta da parte degli NPC, era stata finemente posizionata e cesellata, rendendo l'avventura di John Marston molto più di un videogame, ma una vera e propria epopea western, secondo i canoni e le regole del vecchio linguaggio cinematografico di Leone e Ford. E poiché il racconto di RDR è un racconto di redenzione e, se vogliamo, di emancipazione, così esso non può che concludersi che con un martirio, quello del suo protagonista, quasi il finale del gioco fosse nulla più che una soffusa, ma comunque evidente, allegoria cristologica.

John Marston vive quindi una vita in bilico, nella sofferenza, ma da essa cerca una qualche forma di redenzione, pur entrando spesso in contatto con le tentazioni sulla personale via di Damasco. Nel mentre si sublima il rapporto tra personaggio e giocatore, che nel corso delle ore di gioco vive e si affeziona a Marston, nella sua miseria ma soprattutto nella sua impeccabile umanità. Un rapporto ludo-narraivo che esplode con una lunga e intensa cavalcata a cavallo (And i know, the only compass that i need...) quando da parte all'altra della mappa saremo obbligati a tornare a casa per salvare la nostra famiglia, nella speranza che non tutto sia andato perduto. Sino a giungere alla fine, allo standoff, quando toccherà fare i conti col proprio passato e con i propri carnefici.

Sicché in una sparatoria inevitabile, e impossibile da vincere, essi “moderanno” la famiglia del fuorilegge (e le loro stesse coscienze) dai peccati commessi dal gringo nel corso della sua vita. E così si conclude il viaggio, con una meta triste e inevitabile, che porta su di sé il peso ineluttabile della miseria umana. È tutto inevitabile, ma sublime e perfetto.


Nicholas Mercurio - NieR Replicant

Yoko Taro, diciamocelo, è un pazzo. Prima di essere questo, però, è anche un game designer e uno scrittore intelligente, che è stato capace di creare un mondo purtroppo parecchio sottovalutato. Ne avevo già parlato in passato in diverse occasioni, e ho sempre cercato di trovare messaggi ulteriori dalle sue esperienze, pur non avendo mai approfondito Drakengard nel modo adeguato, sebbene sia assolutamente l’opera da cui è partito poi il mito dietro NieR: Automata e NieR Gestalt, datato al 2010, un’era geologica fa.

Se il secondo capitolo della serie NieR ha descritto i patemi dell’animo umano e dell’eredità dell’umanità attraverso le biomacchine e le macchine, NieR Replicant (o Gestalt) si è interfacciato con un pubblico reduce da esperienze diverse, ma allo stesso modo intimiste, trasportandolo in un universo scritto con cura e proposto proprio per cogliere le emozioni che contraddistinguono gli esseri umani, tra due dicotomie contrapposte ma, al contempo, unite da una profonda e indissolubile forza: quella del passato, che modifica il presente e plasma gli eventi futuri.

Quando si parla dei propri finali preferiti, alle volte è complicato decidere quali siano i più memorabili, iconici e travolgenti. Il finale E, l’ultimo dedicato all’esperienza di NieR Replicant, dà modo di capire le sofferenze del terzetto composto da NieR, Emil e Kainé, e si concentra quindi sulla finale dell’esperienza nella sua interezza. Nel frattempo, però, di finali se ne possono vivere quattro, che riguardano i personaggi principali e in modo specifico come essi sopravvivino alle conseguenze delle loro scelte.

In tal senso, NieR Replicant è un’opera che ha la capacità di spiegare le sensazioni in modo unico, e nel finale E, che conclude la sua lunga epopea, ci sono tutti gli strumenti per comprendere appieno le scelte dei protagonisti. Ho parlato della consapevolezza, che NieR raggiunge una volta scoperta la verità sul suo futuro, mentre Kainé ed Emil, i suoi compagni di questo lungo viaggio, si ritrovano a dover affrontare il loro passato e a cercare, nel futuro, delle speranze ulteriori cui aggrapparsi. È il tipo di metanarrazione che, non facendo spoiler ulteriori, rende il finale E di NieR Replicant coeso e approcciato con la dovuta sensibilità. Non facendo spoiler, quindi, la vera conclusione dell’opera di Yoko Taro affronta tematiche, drammi e situazioni che, viste sotto un’ottica differente, permette di capire appieno la filosofia del suo autore. Incantevole e potente, mai stucchevole e pregno di significato, il finale conclusivo di NieR Replicant ci mostra più di quanto desidereremmo. Ma meglio che chiuda qui, o potrei scriverci un libro.


Marco Padovese - Silent Hill 2

In my restless dreams I see that town… Silent Hill. Con questa innocua frase inizia il secondo capitolo di una delle saghe horror più amate di sempre pubblicata da Konami nell’ormai lontano 2001, un gioco che ha fatto la storia riuscendo a rendere un prodotto additato come “clone di Resident Evil” qualcosa di unico e iconico. Silent Hill 2 è per molti il sequel migliore mai uscito ma, al contempo, uno dei motivi per cui la saga ha iniziato un lento e inesorabile declino: tra capitoli non sempre all’altezza e idee

che sfiguravano se messe paragone con il loro predecessore, ciò che è venuto dopo ha reso Silent Hill 2 una presenza soffocante che ha portato la serie ad allontanarsi dai radar. Fino ad oggi. L’annuncio del suo remake ed un notevole lavoro di revamp della serie da parte di Konami ha portato nuovamente molto interesse su questo franchise, dando modo ai nuovi e vecchi fan di poter muovere i propri passi per questa nebbiosa cittadina.

Tornando al gioco, il protagonista della vicenda, tale James Sunderland riceve una lettera da sua moglie, morta tempo prima, che gli parla di questa città nella quale i due hanno vissuto quei pochi momenti felici. Silent Hill 2 ci presenta quindi un personaggio che a differenza dei forzuti colleghi di altre serie horror non ha un background militare e pare essere un semplice uomo spaesato che poco c'entra con la vicenda raccontata, vediamo chi ha paura di morire, paura di crescere, chi è stato bullizzato o ha ricevuto violenze di ogni tipo.

Eppure noi siamo lì, un marito buono e per bene che rimane tale più o meno fino alla fine dell’avventura, scoprendo che in realtà anche noi ci nascondiamo dietro una maschera perbenista. In questo caso il giocatore è tenuto all’oscuro fino alla fine, finché poi non è lo stesso James a spiegarci come mai siamo finiti lì e perché abbiamo dovuto affrontare tutto questo. In questo caso la rivelazione avviene tramite i finali, che come in altri casi presentano vie diverse a seconda delle scelte che facciamo durante la partita, essi prendono il nome di “In acqua” “Andare via” e “Maria” (togliamo il finale scherzoso che per dovere di cronaca è presente). Il primo ci pone in una sensazione soffocante di depressione e paura e si sblocca in maniera curiosa in quanto dobbiamo mantenere per tutta la partita i livelli di vita bassa, in questo caso il finale diventa quasi terapeutico e liberatorio. Il secondo invece ci pone in una situazione più positiva in cui riusciamo ad accettare la perdita e i nostri sensi di colpa e puntiamo ad una rinascita assieme alla piccola Laura che ci potrà in qualche modo aiutare a redimerci riuscendo in questa nuova condizione di padre con una figlia, ad andare avanti.

L’ultimo finale invece è quello più oscuro anche se da un certo punto di vista è la non accettazione del proprio destino, un attaccarsi al passato e non solo, rifiutando tua moglie scegli di stare con una versione che soddisfi i tuoi appetiti sessuali ma che proprio nel finale lascia presagire una fine non troppo dissimile a ciò che già ci è successo.

Silent Hill 2 ci pone quindi di fronte a delle paure umane e reali, esplorando i meandri intricati di una malattia mentale che poi sfocia in sentimenti che i finali raccolgono e dividono i 3 diversi percorsi. Lo stesso viaggio affrontato più volte riesce a porci nelle condizioni di capire che tutto ciò che abbiamo affrontato e le azioni macabre compiute in realtà sono nostre. Allo stesso modo ci rendiamo conto che i nemici e gli incubi incontrati non sono altro che sfaccettature della nostra mente che venivano nascosti da una maschera orrorifica in questa realtà alternativa.

Solo allora quando tutto sarà chiaro ci renderemo conto che è la rabbia della perdita e la sua accettazione o meno ad essere le vere paure che dobbiamo affrontare e i veri mostri che dobbiamo combattere. Per questo, per me, Silent Hill 2 è uno dei finali videoludici più riusciti di sempre e difficilmente riproponibile, specialmente in questo periodo storico.


Michele Pintaudi - Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots

Ho pensato molto a quale potesse essere, per me, il miglior finale mai concepito per un videogioco: molti sono già stati inclusi dai miei colleghi, ed è anche per questo che ho deciso di optare per uno di quelli non citati che considero emozionante oltre ogni modo. Il quarto capitolo di Metal Gear Solid non piacque a tutti - con una buona parte della fanbase che lo considera un po’ troppo distaccato dagli standard della saga - e arrivare dopo quel capolavoro indiscusso di Snake Eater non aiutò di certo da questo punto di vista.

Personalmente ho però sempre considerato la conclusione della serie come uno dei punti più toccanti a cui abbia mai assistito, parlando non solo di videogiochi ma di intrattenimento in generale. Mi riferisco a tutte le sezioni finali, ma in modo particolare alla fine del viaggio di Solid Snake.

Troviamo il nostro protagonista in un cimitero, in procinto di suicidarsi per evitare un’epidemia potenzialmente mortale per tutto il mondo. Non troverà il coraggio, ma poco dopo incontrerà (colpo di scena) suo “padre” Big Boss in persona. E qui ha inizio un dialogo destinato a rimanere nella storia di questo medium dove lo Snake originale, creduto morto da anni, racconta a Solid tutta una serie di elementi che vanno a rendere completa l’opera magna di Hideo Kojima. O quasi.

Alla fine i due sembrano persino ricongiungersi, con Big Boss che invita il figlio a smettere di combattere e che rende l’ultimo omaggio al suo mentore prima di morire. Solid Snake deciderà di vivere in pace gli ultimi anni della sua vita, circondato dalle persone che ama in una sequenza conclusiva davvero degna delle migliori pellicole cinematografiche.


Lorenzo Quadrini - Return to Monkey Island

Il mio finale migliore è quello di Return to Monkey Island (quindi, chi non lo ha ancora giocato, stia attento agli spoiler). Un titolo recentissimo, che ha colpito utenza e critica in modo generalmente positivo, pur se con qualche riserva. L’importanza del finale dell’ultima fatica di Gilbert non è da riscontrare nel prodotto singolo, quanto nella sua funzione di raccordo e sintesi di tutta quella che è la narrazione e la filosofia della saga di Monkey Island. Gli appassionati sapranno che The Secret of Monkey Island presentava un finale piuttosto “classico”, con il buono che sconfigge il cattivo ed una chiusura del cerchio settata su binari standard.

Monkey Island 2, invece, apre ad un approccio metafisico, nel quale l’eroe Guybrush e la nemesi LeChuck scoprono in Big Whoop in realtà una metafora del “gioco”, attraverso una sintesi metanarrativa che va a sublimare tutto quello che succede nel videogioco come una fictio dalla quale i protagonisti escono come dei bambini all’interno di un parco divertimenti. Dal terzo capitolo in poi Big Whoop viene declinato in maniera completamente diversa, cercando di unire la visione di Gilbert (che però con Return to Monkey Island riprende il proprio canone) alle trame via via proposte dai nuovi sviluppatori. Ed ecco perché il finale di Return to Monkey Island ritorna prepotentemente, nella sua semplice e incredibile bellezza: un cerchio che si chiude, sia dal punto di vista della trama del gioco, che della saga, che di Gilbert stesso. Un Guybrush più vecchio ed a tratti disilluso insegue per tutto il videogame una sorta di giovinezza perduta, agognando quella nostalgia (o meglio, nostalgismo) nel quale probabilmente tutti i giocatori si sono immedesimati.

Nel finale, di rottura con la quarta parete, Guybrush spegne le luci del palcoscenico che è stata la saga, la sua vita e la vita di tutti noi appassionati, riunendosi (stavolta senza fretta e senza semplificazioni) con Monkey Island 2 e con tutto quello che l’opera di Gilbert rappresenta. Un’opera che l’autore ha sempre voluto spingere oltre il “divertimento”, e che - oggi possiamo dirlo con la conferma dello stesso sviluppatore - si è intrecciata profondamente con la vita del suo creatore e con la sua filosofia. Direi quindi che non possa esistere epilogo migliore.


Antonio Rodo - The Last of Us

La domanda che mi è stata posta non è delle più semplici. Il mondo dei videogiochi, da che ho memoria, mi ha sempre regalato momenti indimenticabile, attimi che avrei voluto rivivere all’infinito. Spesso, i protagonisti assoluti di questi momenti sono proprio i finali, quell’ultimo filmato o sequenza giocata che precede l’arrivo dei titoli di coda. Mi sono dunque interrogato e ho cominciato a pensare a quale potesse essere per me il miglior finale della storia dei videogiochi. I primi giochi che mi sono passati per la testa appartengono tutti alla saga di Metal Gear: ci stavano MGS2, MGS3 e MGS4. Poi, però, la svolta: ho scavato a fondo e ho capito che, su tutti, è forse la conclusione del primo The Last of Us a meritare questo posto.  

Quella sequenza finale, che immagino conosciate tutti, è semplice quanto indimenticabile; è il culmine di un rapporto cominciato con indifferenza. Joel mente ad Ellie per proteggerla: le racconta che il lungo e sofferente viaggio che li ha condotti nell’ospedale delle Luci non è servito a nulla. Di certo non una cosa da poco da dire ad una ragazzina che ha sfidato sé stessa per arrivare a quel punto. 

Il mio finale preferito è dunque composto da poche battute. Battute che portano con sé il peso e il significato dell’intero viaggio, però, tutto il rapporto e la caratterizzazione dei due protagonisti. Curioso, tra l’altro, il fatto che anche dopo l’uscita di The Last of Us Parte 2, quel finale sia rimasto immutato, ancora capace di stupire e lasciare attoniti. Questo perché in fondo, non era non sapere cosa sarebbe accaduto dopo che lo rendeva così speciale, sapere se Ellie ci avrebbe creduto... No, ad essere speciali erano quelle parole, semplici e dannatamente vere, e Joel, finalmente pronto a scongelare il suo gelido cuore e tornare a vivere con meno indifferenza, amando qualcuno.


Abbiamo visto insieme quelli che, a parere della nostra redazione, sono alcuni dei migliori finali della storia dei videogiochi. Epiloghi spettacolari, capaci di lasciare un'impronta unica nel cuore dei giocatori: un finale, del resto, non è che la ciliegina sulla torta in un'opera capace di trasmettere e comunicare messaggi molto, molto importanti. Quel che vogliamo fare, in conclusione, è lasciare la parola a voi: raccontateci nei commenti la vostra personale opinione su quello che ritenete il miglior finale mai visto in un videogioco.